Prendiamo spunto dall’ultimo videocast di Beersmith con John Palmer per affrontare alcuni temi caldi per l’homebrewer. Qui sotto trovate il video integrale (in inglese) e in calce le nostre osservazioni.

1) SANITIZZAZIONE

Tutti i libri che parlano di homebrewing non fanno altro che ripeterci in continuazione quanto la sanitizzazione sia fondamentale per produrre buona birra con continuità. Ce lo ripetono in tutte le salse. E allora, perché ne stiamo parlando ancora? Dovrebbe essere ovvio, no? E invece no, non lo è. Vi spiego come è andata per me.

Ho scoperto l’homebrewing qualche anno fa. Inizialmente sanitizzavo tutto (comprese le mie mani, i peli del naso, la cucina intera) con una cura estrema (maniacale, direi) poiché avevo il terrore che la birra si infettasse. Con il tempo ho acquisito confidenza (leggi spocchia) e sono gradualmente uscito dal tunnel della sanitizzazione compulsiva iniziando piano piano a trascurare il lavaggio accurato di alcune parti dei fermentatori (tipo i rubinetti).  In generale, ho ridotto il tempo e l’attenzione che una volta dedicavo alla fase di sanitizzazione.

Ancora nessuna infezione. Ero felice come una Pasqua.radiation_suit

Sono arrivato velocemente alla fase della spocchia totale: andavo in giro blaterando che secondo me il problema della sanitizzazione era sopravvalutato dagli homebrewers, che erano tutti scemi quelli che usavano l’acido peracetico e che la fioretta la si combatteva cantando le canzoni dei Gorgoroth durante la fermentazione.

E’ arrivata così la prima infezione. E poi la seconda.

E sapete cosa? Ho iniziato a tappare bene i fermentatori, a lavare meglio i rubinetti e a fare un giro di acqua e candeggina nei fermentatori prima di passare la soluzione sanitizzante. Ho anche smesso di ascoltare di Gorgoroth.

Vi dirò di più: il problema vero non è nemmeno l’infezione totale in sè (quella che trasforma la birra in una melma puzzolente): è facilmente individuabile. Il punto cruciale è che per ottenere un flavour veramente fine e pulito dobbiamo fare in modo che nella birra lavori solo il nostro lievito. Spesso l’infezione non è evidente ma si nasconde nei dettagli. Come mai le vostre birre non hanno quel meraviglioso profumo di fiori o erba tagliata di fresco ma piuttosto un odore di erba tagliata quattro giorni fa?  Le ragioni possono essere molte, è chiaro, ma dedicare il giusto tempo e attenzione alla sanitizzazione fa la differenza tra birre buone e birre ottime. 

2) CONTROLLO DELLA TEMPERATURA DI FERMENTAZIONE

ACC304-30ml-sandSu questo punto non possiamo che essere d’accordo con Palmer. Quante volte ho assistito a discussioni infinite sugli step da applicare al mash per fare un’ottima tripel? Poi, dopo ore di estenuante discussione, scopri che queste birre verranno fermentate a  temperatura ambiente senza alcun controllo sulla temperatura. Quanti homebrewers spendono capitali per controllare la temperatura di mash e poi non hanno nemmeno una camera di fermentazione?

Non avete i soldi per un frigo? Fatevi una camera di fermentazione in polistirolo (qui vi raccontiamo come). Non potrete certo lagerizzare le vostre birre, ma mantenerle a 18 gradi per venti giorni sarà una passeggiata.

E questo, non gli step del mash, faranno la differenza nelle vostre tripel.

3) YEAST STARTER

Su questo punto è scattato l’applauso. Le nostre (già ben note) posizioni sul tema le trovate in quest’altro post.

4) RICETTA

Una volta dominati tutti i punti di cui sopra, possiamo iniziare a pensare a come migliorare le nostre ricette. Come dice giustamente Palmer, una birra ben fermentata con una ricetta sballata sarà quasi sempre bevibile. Una birra con una ricetta fantastica ma fermentata male (o peggio ancora infetta) finirà nel lavandino.

Quindi, anzitutto, dobbiamo padroneggiare i tre punti precedenti.

Detto ciò, sottolineiamo un aspetto cruciale toccato da Palmer nel video: ricette semplici. La maggior parte delle birre più buone in circolazione si basa su ricette quasi banali (passateci il termine) che fanno uso di due, tre, al massimo quattro malti. Utilizzare un certo malto ha senso solo se ne riuscite a percepire il sapore nella birra finita. Altrimenti, toglietelo dalla ricetta: non serve (questo non vale ovviamente per i malti utilizzati per dare colore).

Semplificare. Semplificare. Semplificare.

5) L’ACQUA

Anzitutto è importante capire perché si sta modificando l’acqua e soprattutto cosa si vuole ottenere: un discorso è modificare l’acqua per abbassare (o, in rari casi, alzare) il pH durante il mash, tutt’altra impresa è aggiungere sali per influenzare il profilo gustativo della birra finita.

Nel primo caso (gestione del pH) ce la caviamo con un po’ di acido lattico e un misuratore di pH. Non c’è bisogno di fare molti conti: si va per tentativi finché non si raggiungono i risultati desiderati (è sufficiente un po’ di esperienza). Modificare l’acqua per alterare il profilo gustativo della birra merita un approccio più analitico. In questo caso, se non si ha un minimo di padronanza nella gestione dei sali, si possono fare facilmente dei veri e propri disastri. waterdrop

Conveniamo anche noi, per esperienza personale, che produrre birra utilizzando acqua con il giusto contenuto di sali può migliorare sensibilmente la qualità delle vostre birre.

In un paio di post abbiamo affrontato (a grandissime linee) il tema della modifica del pH e dell’alterazione del contenuto di sali dell’acqua. Per padroneggiare il secondo punto, consigliamo vivamente l’utilizzo del tool excel di Martin Brungard (scaricabile gratuitamente qui). In passato abbiamo fatto anche un breve tutorial su come utilizzare questo file (non è il massimo, ma rende l’idea).

 

1 COMMENT

  1. Ottimo, articolo. Questo articolo dovrebbe essere linkato in tutti i siti/forum che si occupano di homebrewing. Nella mia breve esperienza di homebrewer autodidatta ho fatto due cotte in kit e con la spocchia di chi vuole saperla lunga ho incominciato a fare e+g che non mi hanno mai soddisfatto. Finché non ho capito che dovevo ritornare al metodo in kit per imparare bene le basi. Molti in internet ti mettono fretta nel farti incominciare con il metodo e+g, ma secondo me chi inizia da autodidatta dovrebbe imparare a controllare con estrema sicurezza e agilità i primi tre punti di questa lista, poi passare all’e+g, altrimenti si mette troppa carne sul fuoco.

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