Era da diverso tempo che avevo in mente di lanciarmi nella produzione di una Strong Scotch Ale, altrimenti nota come Wee Heavy. Wee è un aggettivo usato informalmente in UK (specialmente in Scozia): letteralmente significa piccolo.  Wee Heavy è una sorta di gioco di parole che ironizza sul grado alcolico di questo stile (può arrivare anche a 10% ABV). Da non confondere con le Scottish Ale, altro stile scozzese che riprende le bitter inglesi accentuandone le note maltate. Si tratta di birre molto meno alcoliche rispetto alle Wee Heavy (si suddividono in tre sottostili, proprio come le bitter); gli esempi ai limiti dello stile (le Scottish Export) possono ricordare le Scotch Ale come carattere di base, ma sono decisamente meno intense (sfiorano al massimo i 6% ABV).

Come sempre, per costruire la ricetta sono partito dall’assaggio. In particolare segnalo due birre che secondo me rappresentano molto bene questo stile, entrambe prodotte da birrifici scozzesi ma facilmente reperibili in bottiglia anche in Italia: la Wee Heavy 90/~ (Belhaven Brewery) e la Skull Splitter (Orkney Brewery).

Skull Splitter Belhaven Scotch Ale Orkney

La prima è la meno alcolica tra le due (7.4% ABV) ed è anche quella in cui spiccano di più le note di caramello. La Skull Splitter sale più in alto con il grado alcolico (8.5% ABV) ed è mediamente più intensa; oltre al caramello, sviluppa decise note di liquirizia al naso ma soprattutto al palato. La Belhaven è forse più facile da bere, ma la Skull Splitter ha uno spettro aromatico più complesso (probabilmente accentuato dagli esteri del lievito che ricordano vagamente le ciliegie sotto spirito).

Partendo dagli assaggi e dalla descrizione del BJCP (che lascia al birraio, come sempre, un certo margine di libertà), ho elaborato quelli che per me sono i tratti caratteristici di questo stile:

  • caramello/toffee – rappresenta la base imprescindibile su cui costruire la ricetta di una Scotch Ale. La difficoltà è renderlo evidente senza pregiudicare la bevibilità: si rischia facilmente di trasformare la birra in una Alpenliebe.
  • luppolo – l’amaro deve essere modesto, dosato con attenzione per bilanciare il finale dolce senza sovrastarlo (anche questo aspetto non è semplice da gestire). Il BJCP concede un leggerissimo aroma di luppolo al naso, ma io ho deciso di eliminarlo del tutto per far brillare il malto.
  • alcol – come in tutte le birre alcoliche sotto i 10 gradi, deve essere rotondo e non pungente. Al naso si dovrebbero evitare note di solvente, al palato può scaldare ma non deve bruciare. Ho scelto di non salire troppo con la gradazione perché non amo le birre troppo alcoliche: orientandomi sull’8% ABV, la birra si dovrebbe bere con piacere in qualsiasi occasione (non necessariamente in inverno davanti al camino).
  • altri aromi – oltre al caramello, vorrei fossero presenti al palato anche un po’ di nocciola e crosta di pane, per rendere più rotonda la birra. Assolutamente fuori luogo l’affumicato, spesso presente nelle versioni americane dello stile per via di una interpretazione (sbagliata) della ricetta (si è fatta confusione con il torbato dello Scotch Whisky). Il BJCP parla di note leggermente affumicate derivanti dall’uso di malto molto tostato (e non dal peated). Questa affermazione mi ha sempre lasciato abbastanza perplesso: secondo me è piuttosto priva di riscontro e soprattutto crea confusione.
  • lievito – poco invasivo, può apportare aromi di frutta secca (datteri, pugne). A mio avviso questi aromi sono spesso prodotti anche dal malto, quindi è possibile giocare tra le due componenti.
  • diacetile – può essere presente in piccole dosi ma vorrei evitarlo perché non lo gradisco affatto (specialmente al palato: rende la birra viscosa).
  • colore – marrone molto scuro (mogano). Sembra quasi una porter (o anche una stout) a prima vista, ma in controluce si notano evidenti riflessi rubino. Questi si ottengono facilmente con una piccola percentuale di malto scuro molto tostato (black o roasted) che in questo caso può anche contribuire con un leggerissimo sapore tostato, anche per aiutare a snellire il finale.
  • carbonazione: medio-bassa, per una schiuma a bolla fine e un mouthfeel morbido..

IL PROCESSO

Veniamo ora al processo. Si dice (e si legge) molto spesso che le Scotch Ale vengano prodotte con solo malto base e che il colore e le note aromatiche di caramello derivino dalla lunga bollitura (tra le due e le tre ore) per effetto della caramelizzazione del mosto (in tempi passati favorita dal contatto della caldaia con la fiamma libera.) C’è chi riproduce questo effetto in casa facendo bollire a parte un piccolo campione di mosto (uno o due litri) fino a farlo diventare quasi una melassa. Questo viene poi aggiunto al resto del mosto a fine bollitura.

Chi mi conosce sa che non amo riprodurre le tecniche tradizionali in casa e che, se posso, evito qualsiasi pratica che complica o allunga la giornata dedicata alla cotta. Tra l’altro, non tutti gli storici sono concordi su questa pratica della lunga bollitura: Jeff Alworth, nel suo libro The Beer Bible, sostiene che questa sia più che altro una leggenda costruita nei secoli; se non erro, anche mentre Noonan nella sua monografia dedicata allo stile afferma qualcosa di simile afferma il contrario (ma si tratta di un libretto piuttosto datato).

Jeff Alworth Scotch Ales
Dal libro “The Beer Bible” di Jeff Alworth

Vero o non vero, poco importa: io ho deciso di non percorrere la strada della lunga bollitura rimanendo sui canonici 60 minuti, scegliendo invece di puntare su una attenta scelta dei malti per ottenere le note aromatiche desiderate. Considerando che questa ricetta era tra le papabili per essere replicata in birrificio (sempre con i ragazzi del Jolly Roger di Fregene), ho cercato di eliminare alla base qualsiasi complicazione del processo.

IL MALTO

Quali malti scegliere? Come base non ho avuto dubbi: il malto britannico per eccellenza, il Maris Otter, mi è sembrata la scelta più appropriata. Andando all’estremo opposto, ho optato per una piccola percentuale di malto tostato (intorno ll’1%) per scurire e dare qualche nota rubino in controluce. Tra i malti tostati ho scelto il Carafa III dehusked della Weyerman per evitare note troppo acri.

Maris Otter

Quali malti usare per tirare fuori un buon caramello/toffee?

In questo caso mi è tornato molto utile questo post scritto qualche mese fa, dove ho analizzato le caratteristiche aromatiche dei vari malti della Weyermann in funzione del livello di tostatura. Come ricordo sempre, è infatti molto importante scegliere il malto in base alle caratteristiche organolettiche e non in base al suo nome. Il CaraRed non si chiama così perché colora di rosso la birra (abbiamo visto che questo effetto si ottiene con piccole percentuali di malto molto tostato), il CaraMunich non è semplicemente un malto Munich caramellato e così via.

Le note di caramello apportate dai malti possono virare dal toffee al caramello bruciato, a seconda del livello di tostatura del malto. Solitamente i malti sopra gli 80EBC, oltre al caramello, rilasciano aromi di frutta secca (prugne e datteri) mentre quelli meno tostati, se usati in quantità significative, tendono più al toffee. Volendomi orientare principalmente sul range toffee/caramello, ho deciso di fare affidamento sui malti meno tostati. Tra questi, il Carared sembrava il più indicato, magari da affiancare al Vienna o al Munich.

Alla fine ho optato per un 9% di Carared e un 20% di Vienna.

Come ultimo tocco, ho aggiunto una piccola percentuale (5%) di malto Melanoidin, un malto crystal che subisce un processo di tostatura specifico per mettere in evidenza i prodotti della reazione di Maillard: le melanoidine (link). Questi componenti aromatici verrebbero idealmente prodotti nel corso delle lunghe bolliture del mosto (ma non tutti concordano su questo).

IL LUPPOLO

Come per il Maris Otter, anche in questo caso la scelta è stata facile: East Kent Goldings, tipico luppolo inglese. Anche se usato solo per la gettata in amaro, dovrebbe (teoricamente) rilasciare un amaro più morbido rispetto ad altri luppoli con alfa acidi più alti. Circa 30 IBU, per un rapporto IBU/OG di 0,3. Con una FG che mi aspettavo intorno a 1020, 30 IBU mi sembravano un buon livello di amaro.

IL LIEVITO

Teoricamente per questo stile andrebbe usato un lievito inglese. Molti si orientano, per via del nome, sul liquido della Wyeast 1728 (chiamato appunto Scottish Ale). Più che per il suo profilo aromatico (che viene descritto dalla Wyeast come “neutral and clean“), si usa questo lievito per la sua tolleranza all’alcol. Nel mio caso puntavo “solo” a un 8%, quindi teoricamente qualsiasi lievito neutro sarebbe andato bene. Considerando sempre che la birra poteva (forse) essere riprodotta in birrificio, ho deciso puntare su un lievito secco facilmente reperibile. Dopo diverse ipotesi, ho ripiegato sull’US-05 della Fermentis, lievito che uso spesso e che conosco bene. L’ho fatto fermentare a temperatura molto bassa (16C) e ho poi lagerizzato a 0C per due settimane per arrotondare il profilo aromatico e pulire per bene la birra (che dovrebbe essere limpida). Unica controindicazione che vedo nell’usare l’US05 per questo stile: non accentua particolarmente il profilo del malto. Probabilmente non rappresenta la scelta migliore in assoluto, ma nel mio caso era un buon compromesso.

IL RISULTATO

Sono stato molto contento del risultato. Per essere una prima prova con questo stile, è venuta fuori una interpretazione piuttosto in linea con le mie aspettative. Caramello ben in evidenza ma non invasivo, più orientato al toffee che al caramello bruciato. Avverto anche un fondo di liquirizia dolce, ben amalgamata con il caramello. Alcol morbido, mouthfeel pieno. Sbilanciata sulla dolcezza ma non stucchevole. Buona schiuma, persistente e fine, nessun off-flavour evidente.

Quanto deve maturare? Dai diversi assaggi (di cui l’ultimo a sei mesi dall’imbottigliamento), mi è sembrata al picco dopo tre mesi. A sei mesi si beveva ancora molto bene, ma il corpo aveva iniziato ad assottigliarsi. Non la farei invecchiare di più perché potrebbero subentrare aromi derivanti dall’ossidazione (sherry, madeira) che la renderebbero più simile a un barley wine.

Altnaharra Scotch Ale

Il nome che ho scelto non è proprio vendibile, ma ha per me un significato particolare: Altnaharra è il nome di una piccola località nel mezzo delle Highlands scozzesi in cui diversi anni fa passai una bellissima serata insieme ai miei compagni di viaggio. Una serata all’insegna di musica e birra, che finì con una dormita in una tenda piantata in fretta e furia nel giardino di un hotel troppo caro per le nostre tasche.

Altnaharra Scotch Ale

QUALCHE MESE DOPO…

La birra è piaciuta molto ai ragazzi del Jolly Roger di Fregene. Nonostante non si tratti di una birra prettamente estiva, hanno deciso di produrla in birrificio per venderla a Fregene nel corso dell’estate 2016. Con qualche piccola modifica (più che altro per schiarirla e dare risalto alle sfumature rubino) è stata prodotta nel birrificio Eastside ed è attualmente in vendita al pub di Fregene (al fianco della Umpa Lumpa). Sembra stia andando molto bene.

Post Facebook Wallace

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Altnaharra Scotch Ale

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Wallace Jolly Roger

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Umpa Lumpa Wallace Jolly Roger

16 COMMENTS

  1. Ciao , complimenti per l’articolo , premesso che sono all’inizio e fino adesso non ho avuto un buon rapporto con US-05 della Fermentis, (proprio uno dei più largamente usati ) ; anche senza contare l’OG della cotta di questa birra che immagino altina, come si comporta questo lievito a 16° , si arriva a veder gorgogliare in 24h oppure bisogna allungare molto i tempi/aspettative nel primo fermentatore? penso che hai usato almeno 2 bustine senza starter per questo lievito secco.. io delle volte con temperature di fermentazione al limite ho avuto la STUPIDA sensazione che la fermentazione non partisse, vorrei capire di quanto si possono allungare i tempi considerando in media che dopo 4-6 giorni di solito trasferisco nel 2°fermentatore più per pulire che per gli off-flavours.

    In attesa di passare prima o poi a fregene per qualche assaggio e magari anche di questa Wee Heavy – Strong Scotch Ale, rinnovo il massimo rispetto per questo blog italiano.

    • Ciao Alessandro! Allora, due aspetti sono importantissimi per le birre con OG medio alta (in questo caso nemmeno troppo alta, parliamo di 1.080): ossigenazione e quantità di lievito. In questo caso ho inoculato ben tre bustine di US05 (reidratato in acqua tiepida) per 10 litri di birra e ho ossigenato per due minuti con ossigeno puro. Questo, credo, abbia aiutato il lievito a lavorare bene anche a 16C. La fermentazione è andata liscia, finita in un paio di settimane. Forse ho imbottigliato con un punto di densità residua, visto che dopo 6 mesi la birra era leggermente troppo carbonata. Secondo me se gli avessi dato tre settimane anziché due, la fermentazione sarebbe finita del tutto. In questo caso anche io ho travasato prima della lagerizzazione (di solito non travaso), dato che in totale la birra sarebbe stata nel fermentatore un mese con un contenuto alcolico piuttosto elevato. Io trovo che l’US05 sia veramente un ottimo lievito se usato bene, uno dei migliori tra i secchi (anche se ancora sono ben lungi dall’averli provati tutti). Se passi a Fregene fammi un fischio!

  2. Grazie della risposta , come al solito completa e puntuale , credo sia difficile nell’homebrewing giudicare terminata una fermentazione così delicata se non col senno di poi , ma i tuoi ragionamenti filano lisci come il mosto dopo il mash out..
    fischierò sicuramente, grazie.
    a presto

  3. Ciao Frank, la mia prossima cotta sarà una wee heavy e questo tuo articolo mi è stato molto utile come base di partenza per le varie valutazioni da fare: malti, luppoli, temperature di mash e tempi di bollitura.
    Leggendo il commento precedente mi sono reso conto che dovrò travasare e l’incubo dell’ossidazione ritorna vivo. Sono riuscito ad ossidare la mia ultima birra pur avendo fatto un cold crash a 4 gradi. Non ho ancora capito se si è osaigenata durante il travaso o durante il cold crash. Fino a quale temperatura si può scendere pee diminuire al massimo la probabilità di ossigenazione?

    • Sei sicuro fosse ossidazione? Personalmente continuo a credere che ormai si dia colpa all’ossidazione per qualsiasi cosa. Va bene farci attenzione, per carità, ma io non mi faccio paranoie estreme e non mi pare di avere birre ossidate. Tra l’altro, il contenuto alcolico rallenta di molto l’ossidazione e una wee heavy solitamente i processi ossidativi leggeri danno anche aromi piacevoli. Insomma, andrei tranquillo senza troppe paranoie.

      • La birra che ha il difetto non è una wee heavy, ma la brutta copia della tua sweet euphoria. Prima di saltare a conclusioni errate devo farla assaggiare a chi se ne intende davvero. Io purtroppo sono ancora troppo acerbo e pivello per essere sicuro che sia ossidazione. Dopo e solo dopo proverò a ripensare ai vari passi fatti e per ognuno di essi farò una valutazione dei possibili errori. Grazie!! La tua disponibilità è unica!

  4. Ciao, come hai fatto ad ottenere un mouthfeel pieno come dici? Che temperature di mash hai usato? Grazie mille per la risposta 🙂

    • Il mash era a 70 se non ricordo male, comunque il mouthfeel non è legato solo alla FG. Piuttosto è il prodotto dell’interazione di diversi elementi come minerali contenuti nell’acqua (cloruri), zuccheri residui, proteine (tipo di malti utilizzati), tannini (luppolo) e prodotti della fermentazione. La FG è il parametro più facilmente misurabile, ma la ricetta nel suo complesso è molto importante.

  5. Sì, è chiaro. Ma è anche vero che con un monostep a 63 gradi non ottieni un corpo pieno 🙂
    In ogni caso ti ringrazio, è stato un articolo molto utile! Ciao 😀

  6. Ciao Frank. Sempre preziosi i tuoi contributi. A proposito di questa birra che andrò a brassare tra non molto volevo chiederti cosa pensi della possibilità di utilizzare il coriandolo (pensavo 1 gr/l) a fine bollitura per dare dei sentori nocciola. Ho solo paura per l’agrumato che spesso accompagna questa spezia. grazie mille,gepi.

      • ho letto su un blog di un rivenditore di malti che oltre all’agrumato il coriandolo da sentori di noicciola…cosa che in cucina non avevo mai notato, tra l’altro. la mia idea era di provare su qualche bottiglia per vederene effettivamente l’effetto…ma se sto fatidico sentore di nocciola è sfuggito a te e a me non risulta, magari lo sperimento su una birra meno complessa.

  7. Ciao Frank dalla descrizione di questa birra si evince che : “Black malt gives roast aroma and taste and the Pale malt contributes a sweet biscuity note. Delicious cane sugar and caramel adds more sweetness. Challenger hops give a fresh dry hop character and moderate
    bitterness and the Goldings adds a more
    aromatic and spicy note giving quite a complex beer.”
    Tu hai utilizzato solo EK Goldings ma non il challenger? Inoltre ti volevo chiedere lo zucchero di canna può starci tra gli ingredienti e le varie adds?

      • Boh, mi sembra una descrizione commerciale. Non capisco cosa significhi che il Challenger dia un “fresh dry hop character and moderate bitterness”. A parte che il dry hop non c’entra nulla in questa birra, ma sono due cose che può dare qualsiasi luppolo esistente sulla faccia della terra.

        Lo zucchero di canna è uguale allo zucchero normale, non ci perdere tempo.

        • Infatti sono rimasto abbastanza perplesso leggendo quanto sopra nella descrizione sul loro sito della Belhaven 90

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