A un certo punto, nella storia di ogni homebrewer, scattano le passioni malsane. Stufi di produrre birre “normali”, l’interesse vira solitamente verso le produzioni acide o la maturazione in botte. Spesso, verso entrambe le cose.

Anche io non sono stato da meno: nel 2014, dopo poco più di un anno denso di produzioni “normali”, ho deciso di provare a brassare qualche birra acida. Senza eccessive pretese né aspettative, ho abbandonato in cantina qualche mosto “contaminato“. Avevo in mente di produrre, con frequenza di cinque/sei mesi, 10 litri di mosto da dedicare alle fermentazioni acide. Nel giro di un paio di anni avrei così avuto una bel pò di damigiane da 5 litri da cui attingere per creare i miei primi blend.

Tante belle idee, ma nella pratica è andata diversamente. A distanza di due anni, sono riuscito a fare due sole cotte dedicate alle birre acide e a produrre un solo blend (link). Mi sono presto reso conto di non avere voglia di sacrificare due delle mie dieci cotte annuali per la produzione di mosti per fermentazioni acide, soprattutto da quando ho ridotto le cotte per mancanza di tempo libero. Imbottigliato il primo e unico blend, ho deciso di cambiare approccio.

I punti deboli del mio precedente modo di operare sono i seguenti:

  • Il box in cui tenevo le damigiane era troppo lontano da casa. Spostarmi anche per fare solo una misura di densità mi portava via almeno un paio d’ore. Risultato: le damigiane sono state lasciate diversi mesi (anche un anno) in balìa di loro stesse. Per carità, non che questo sia un male in assoluto: la pazienza e l’attesa sono fondamentali per produrre buone birre acide. Ma è anche vero che si impara molto assaggiando le evoluzioni della birra nel tempo, almeno  per chi è alle prime armi.
  • Sacrificare una cotta per produrre una birra che sarà pronta, se va bene, nel giro di un anno, non fa per me. Almeno non in questa fase della mia vita. Ho fatto finalmente pace con questa cosa.
  • Produrre simil-lambic senza tenere in piedi colture di lieviti e batteri e senza un passaggio in botte è molto limitativo. Ma non ho tempo per gestire colture e non ho competenze per gestire delle botti (né voglia, per il momento).

Non volendo fermare del tutto la produzione di birre sour, ho deciso di provare una strada diversa. Abbandonata l’idea di avvicinarmi alle elaborate produzioni in stile belga, ho deciso di virare su sperimentazioni di birre sour con tempi di fermentazione/maturazione più brevi. Sicuramente risulteranno meno complesse, ma non è detto che siano meno buone. Come fare? Ecco alcune linee guida che vorrei seguire.

PRODUZIONE DEL MOSTO

Due le possibili strade da percorrere per ottimizzare l’impegno: partire da estratto di malto, oppure utilizzare parte del mosto recuperato dalle cotte standard già in programma. Ho scelto la seconda.

La via più semplice consiste nel produrre 5 litri di mosto in più e dirottarlo in una damigiana per il successivo inoculo con lieviti selvaggi o batteri. Ho sperimentato questo approccio con successo nell’ultima cotta di Irish Red Ale. Recuperati 5 litri di mosto dalla cotta standard, li ho messi in damigiana e ho inoculato due fiale di WLP670 American Farmhouse Ale della White Labs, mix di lieviti saison e selvaggi (si vocifera che il bland derivi dal birrificio Lost Abbey di Tomme Arthur).

Questo metodo è estremamente agevole ma non sempre adatto. Il mosto della Irish Red Ale, stile poco luppolato, si è prestato allo scopo. Se avessi prodotto una IPA, o se avessi voluto acidificare con batteri lattici (come ho fatto con la Berliner Weisse) avrei avuto bisogno di un mosto con IBU inferiori a 5. Come fare?

Ho ipotizzato quindi un secondo metodo, illustrato nella opzione 2 della figura sotto. Si tratta sostanzialmente di prelevare una parte di mosto dopo il mash e farlo bollire a parte. In questo modo è possibile personalizzarlo con un livello di IBU consono allo scopo e utilizzarlo per qualsiasi fermentazione acida.

processo-sour-brewind-bad

L’opzione 2 è leggermente più complessa da gestire: oltre a dover seguire due bolliture in parallelo, bisogna anche avere una certa padronanza con efficienza e simili dato che si deve fare un mash per un batch da 15 litri mentre si portano avanti due bolliture parallele per batch da 10 e da 5 litri. Vanno quindi dimensionate opportunamente le gittate di luppolo e calcolata ad hoc l’efficienza complessiva. Una volta presa la mano, comunque, dovrebbe essere abbastanza semplice.

Per incastrare le varie fasi senza impazzire in raffreddamenti contemporanei di due mosti diversi, ho ipotizzato di far bollire il mosto sour solo 30 minuti. L’ho fatto per la Berliner Weisse senza riscontrare traccia di DMS nella birra finita, quindi ci riprovo. Nel caso non fosse sufficiente, potrei allungare la bollitura standard a un’ora e mezzo e quella sour a un’ora. Ovviamente si deve tener conto anche dei livelli di evaporazione in pentola, quando si preleva il mosto.

Con questi due metodi non è possibile disegnare una ricetta ad hoc per la birra acida, ma non mi interessa. Come ho già detto, non ho l’ambizione di produrre simil-lambic ma solo voglia di sperimentare fermentazioni diverse. I lieviti selvaggi e i batteri (e le combinazioni tra i due) sono tante e possono adattarsi a qualsiasi tipo di mosto (alle brutte si potrebbe provare una fermentazione 100% Brett).

FERMENTAZIONE

Lo so che qualche purista delle fermentazioni acide potrebbe storcere il naso, ma come ho detto non sto cercando di produrre simil-lambic in stile tradizionale. Li adoro, sia chiaro, ma li lascio produrre ad altri. Il mio obiettivo è avere birre bevibili nel giro di sei mesi al massimo. Come fare? È sufficiente scegliere i batteri e i lieviti con attenzione. Si può usare la tecnica del fast-souring (link), oppure fermentare solo con Brettanomyces per avere un tocco funky e una fermentazione breve. Oppure usare dei blend con Brett e Saccaromyces. Insomma, i metodi sono tanti e vanno individuati di volta in volta. Consiglio di leggere questo post del SourBeerBlog dove viene ben descritta la tecnica di acidificazione veloce (mi riferisco al metodo che lui chiama “Staggered Microbe Addition”, descritto verso la fine del post).

Man mano che lancerò le prime produzioni, mi impegnerò a descrive su questo blog il metodo utilizzato, cosa mi aspetto e cosa ne verrà fuori.

CONTROLLO DELLA TEMPERATURA

Avendo a disposizione un solo frigo, ho deciso che di non controllare la temperatura di fermentazione delle birre acide. Come detto sopra, non ho intenzione di portare le damigiane al box (dove la temperatura si mantiene decente anche in estate). Le terrò in casa, dove la temperatura, da ottobre ad aprile, in genere non supera i 25 gradi. Del resto, è pieno il mondo di birrifici che non controllano la temperatura di fermentazione delle birre acide (Jester King, Libertine, etc…). Se proprio ne avrò bisogno, potrei tenere la damigiana in frigo per i primi giorni di fermentazione, insieme al mosto della cotta “principale” non acida. Alla fine, l’importante è che la temperatura non sia elevata nel primo periodo di fermentazione; se in una fase successiva salisse, gli effetti non dovrebbero essere drammatici. Vedremo.

Per evitare cross contaminazioni, utilizzo due linee separate per fermentazione e imbottigliamento.

E ORA SI PARTE! 

Questi i buoni propositi della nuova stagione brassicola. Non so se riuscirò a tener fede a quanto scritto, ma sicuramente ci proverò. Per ora, ho nel frigo una Irish Red Ale che fermenta e fuori dal frigo una damigiana con lo stesso identico mosto in cui ho inoculato due fiale del blend  WLP670 American Farmhouse Ale della White Labs che include diversi ceppi di lieviti saison e alcuni ceppi di Brettanomyces. A presto aggiornamenti.

avvio-fermentazione
Sullo sfondo le due damigiane con fermentazioni canoniche, in primo piano la damigiana con l’avvio della fermentazione acida (WLP670) a temperatura controllata. Dopo tre giorni è stata tolta dal frigo e lasciata a temperatura ambiente, dove rimarrà per diversi mesi.
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Ingegnere elettronico prestato al marketing, da sempre appassionato di pub e di birre (in questo ordine). Produco birra in casa a ciclo continuo dal 2013. Insegno tecniche di degustazione e produzione casalinga. Sono un divoratore di libri di storia e cultura birraria. Dal 2017 sono giudice BJCP (Beer Judge Certification Program). Autore del libro "Fare la birra in casa: la guida completa per homebrewer del terzo millennio"

6 COMMENTS

  1. Anche io pensavo a qualcosa di simile, partendo da estratto secco e sperimentando in cantina, sempre per mancanza di tempo. Riducendo i volumi e eliminando il mash potrei farlo una sera in casa. Tienici aggiornati e complimenti per il blog!

    • Grazie Elio! Anche l’utilizzo di estratto non è male per la sperimentazione sui lieviti. Buon divertimento!

  2. Ecco.. sono molto interessato anche a questo argomento visto che sto per fare la mia prima acida.
    Anch’io la penso (e sono costretto) come te ad ottimizzare i tempi e gli spazi dedicati a questa passione e seguo quindi la tua strada trovando sempre ottimi stimoli.
    Il tuo metodo è interessantissimo ma mi sorge un dubbio: ma far fementare una acida (magari con i brett) nella stessa stanza dove lavori e fermenti altra birra “normale” non ti infetta tutto???
    Mi è stato detto da profani dello stile che le cross contaminazioni sono micidiali e che è necessario avere forzatamente due ambienti di produzione e maturazione…
    Se ti infetti di Brett la casa che fai? 😀
    Sono inesperto in materia e sono a chiedere a te delucidazioni scientifiche 😉
    Grazie come sempre Frank

    • Direi che non si corrono particolari rischi, a meno di scenari apocalittici in cui esplodono bottiglie che imbrattano di birra infetta tutta casa. Seguendo delle buone pratiche di pulizia e sanitizzazione e utilizzando linee separate (anche se nello stesso ambiente), il rischio non è più alto di quanto lo sia già (lieviti selvaggi e batteri sono presenti nell’aria, specialmente per chi lavora in cucina dove gira frutta e verdura). Con linee separate intendo fermentatori, airlock, sifoni, tubi e tutto quello che tocca la birra a freddo (bottiglie comprese). C’è chi riutilizza anche i fermentatori (specialmente se in inox o vetro), ma io preferisco dedicarne una parte alle fermentazioni acide (tenendoli in un altro armadio).

      • Quindi dici che dal gorgogliatore non escono batteri o lieviti selvaggi che possono andare a infettare la zona di produzione?
        Mi hanno spaventato a morte dicendomi il contrario ma credo nella tua opinione.. sei molto scientifico sugli argomenti.
        Ti rifai ad esperienze altrui o qualche libro/articolo da leggere?

        • Sinceramente mi sembra esagerato. Cmq anche mike tonsmeire (the mad fermentationist) non si fa questi problemi. E se non se li fa lui..m

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