L’ossidazione è un tema molto complesso. Il principio base è semplice, quasi banale, ma gli effetti che ne derivano sono estremamente variabili. Si parte dal semplice scambio di un elettrone e si arriva a un risultato che può cambiare totalmente in base agli elementi coinvolti nella reazione.

Questa estrema variabilità negli effetti ha trasformato l’ossidazione nel capro espiatorio per quasi tutti i difetti che affliggono le birre, specialmente quelle prodotte in casa. Ho letto dei più disparati difetti che vengono attribuiti all’ossidazione, mentre frotte di homebrewer si dannano l’anima nel tentativo di incamerare meno ossigeno possibile durante la produzione. Ci manca solo che qualcuno si metta a imbottigliare la birra in apnea per evitare che l’ossigeno che non viene assorbito dai polmoni finisca nella birra.

Siamo di fronte a una nuova psicosi collettiva, dopo quella dei travasi.

Con questo non voglio dire che l’ossidazione sia un falso problema: lo è, ed è assolutamente ragionevole cercare di minimizzare l’ingresso dell’ossigeno nella birra durante la produzione. Ma è anche vero che se la lotta contro l’ossidazione acquista un carattere quasi mandatorio per i birrifici che devono garantire una certa stabilità del prodotto nel tempo, lo è meno per noi produttori casalinghi che nella maggior parte dei casi seguiamo le nostre bottiglie di birra dall’imbottigliamento alla bevuta e non dobbiamo preoccuparci di garantire una shelf-life di mesi.

Come sempre, è bene contestualizzare e soprattutto valutare il rapporto costi/benefici. Ha senso mettersi a imbottigliare in contropressione, con tutte le difficoltà e i costi del caso, quando magari sarebbe sufficiente produrre meno birra per consumarla in meno tempo o magari semplicemente conservarla al fresco per rallentare i fenomeni ossidativi?

Con il post di oggi provo a ripercorrere tutte le fasi produttive “a freddo”, ovvero quelle che vanno dal post raffreddamento del mosto all’imbottigliamento, soffermandomi sui passaggi in cui è possibile che l’ossigeno entri in contatto con il mosto o con la birra. Per ciascun passaggio ho raccolto le soluzioni più comuni messe in atto dagli homebrewer per minimizzare l’introduzione di ossigeno.

 Ossidazione prima dell’inizio della fermentazione   È ormai noto che il lievito ha bisogno di ossigeno nella fase di moltiplicazione cellulare. È noto anche che questo è l’unico frangente in cui l’ossigenazione del mosto è necessaria. Il rischio, dicono alcuni, è di sovrasaturare il mosto di aria, ovvero introdurre una quantità di ossigeno superiore a quella che il lievito consuma per produrre nuove cellule. Questo surplus di ossigeno non consumato dal lievito potrebbe ossidare la birra.

Tranquillizziamo subito chi usa metodi tradizionali di ossigenazione (paletta, scuotimento del fermentatore, pompetta da acquario): con questo approccio è praticamente impossibile dissolvere nel mosto più dei 10 mg/l considerati ottimali per una buona fermentazione. Dal sito della Wyeast leggiamo infatti i seguenti valori:

Oxygenation wortQualche dubbio esiste ancora sull’ossigenazione tramite ossigeno puro, praticata utilizzando una bombola collegata a un diffusore (il metodo che da più di un anno utilizzo, vedi link). Con questo metodo, teoricamente, è possibile sovrasaturare. Bisogna però riflettere meglio sul contesto in cui ci stiamo muovendo. La solubilità dell’ossigeno in un liquido dipende da diversi fattori, tra cui: la densità del liquido (maggiore la densità, minore la solubilità), la pressione (maggiore la pressione, maggiore la solubilità) e la temperatura (maggiore la temperatura, minore la solubilità).

Nel grafico che segue (fonte: link) risulta evidente come la solubilità dell’ossigeno in acqua dipenda fortemente da temperatura e pressione. Alla pressione atmosferica (1 bar) e a temperatura ambiente (20°C), la solubilità massima dell’ossigeno non supera i 10 mg/L (ovvero le 10 ppm) che rappresenta il valore ideale per una buona fermentazione. Questo valore aumenta sensibilmente con l’aumentare della pressione (ovvero se si ossigena il mosto con il fermentatore ermeticamente chiuso). Nei nostri fermentatori da 25 litri (il mio è addirittura da 15 litri), il mosto è praticamente sottoposto alla pressione atmosferica poiché il contenitore non è chiuso chiuso ermeticamente: il gorgogliatore fa uscire gas fino a quando la pressione interna non si allinea a quella esterna e si ristabilisce una condizione di equilibrio (ringrazio Francesco Maiorano che nel primo commento al post ha corretto il mio ragionamento iniziale). In sostanza, con ossigeno puro è possibile sovrasaturare inizialmente ma in breve tempo l’ossigeno in più fuoriesce dalla soluzione e torna nell’atmosfera (accade la stessa cosa con la CO2 che esce dalla birra una volta aperta la bottiglia, fino a renderla quasi completamente sgasata).

Oxygen Solubility in water

In conclusione, non mi preoccuperei troppo dell’ossidazione in questa fase, nemmeno nel caso in cui utilizzassimo bombola con ossigeno puro. Considerando poi che il mosto è più denso dell’acqua, la concentrazione di ossigeno effettiva sarebbe più bassa rispetto ai valori riportati nel grafico sopra (minore solubilità).

AGGIORNAMENTO al 10.08.2017 – Questo tema della solubilità dell’ossigeno puro nel mosto è piuttosto complesso. Ognuno sembra avere la sua opinione, perfino leggendo su fonti piuttosto autorevoli. Ci tenevo a segnalare un articolo uscito sull’ultimo numero di Brew You Own Magazine, dove l’autore sostiene che con ossigeno puro si possono raggiungere saturazioni fino a 40 ppm nel mosto. Nell’articolo conferma che, dopo un certo intervallo di tempo, l’ossigeno tende a tornare nell’aria; tuttavia, questo tempo di transizione sarebbe comunque troppo lungo. Secondo l’autore dell’articolo, l’ossigeno fuoriuscito dal mosto rimarrebbe nello spazio vuoto del fermentatore, andando ad aumentare la concentrazione dell’ossigeno nell’aria all’interno del fermentatore e variando quindi la costante di equilibrio. Questo significa che una maggiore quantità di ossigeno rimarrebbe nel mosto. Non essendo il fermentatore sotto pressione, alla fine tutto tornerebbe in equilibrio con l’aria all’esterno del fermentatore, ma con tempi molto lunghi. Diversamente da quanto si legge in giro, l’autore sostiene anche che il troppo ossigeno verrebbe comunque interamente consumato dal lievito generando una crescita cellulare maggiore del previsto. Questo potrebbe portare a condizioni simili a quelle di overpitching. Sarà vero? Non sarà vero? L’unico esperimento pratico con misure che ho trovato sul web è questo, da cui si evince che con O2 puro si possono superare di molto le 10ppm. Non vengono però specificate le tempistiche di misurazione dell’ossigeno disciolto, quindi potrebbe anche darsi che uno seconda misura a distanza di qualche ora avrebbe dato valori ridotti. Bah, per ora non sono riuscito a trarre conclusioni definitive.

Dal numero di Settembre 2017 della rivista Brew Your Own

 

L’unico caso in cui il mosto potrebbe ossidarsi in questa fase è se il lievito tarda ad attivarsi. Nel caso in cui inoculassimo un lievito con un tasso di vitalità troppo basso (buste vecchie o mal conservate), il lievito potrebbe consumare l’ossigeno troppo lentamente (lag time elevato). In questo lasso di tempo, il mosto potrebbe parzialmente ossidarsi, per esempio scurendosi. Anche per questa ragione è importante inoculare un lievito con un buon tasso di vitalità. Se utilizziamo lievito liquido, la preparazione di uno starter ci mette al riparo da questo rischio.

 Ossidazione durante la fermentazione tumultuosa  Mi sento di dire che la possibilità di ossidazione nel corso della fermentazione tumultuosa è praticamente nulla. Anzitutto perché a questo punto il mosto dovrebbe essere privo di ossigeno; anche se ci fosse ossigeno residuo, la produzione continua di CO2 da parte del lievito lo accompagnerebbe gentilmente fuori dal fermentatore tramite il gorgogliatore. Basta pensare ai tanti birrifici che praticano una fermentazione tumultuosa in contenitori aperti a contatto con l’aria, come per esempio la Anchor Brewing per la famosissima Anchor Steam Beer.

Fermentazione
Immagine presa dal sito www.anchorbrewing.com

Alcuni consigliano di praticare il dry hopping durante la fase tumultuosa proprio per scongiurare il rischio di ossidazione: l’ossigeno introdotto con il luppolo verrebbe infatti portato via dalla CO2. Il problema è che insieme all’ossigeno vengono portate via anche le componenti aromatiche del luppolo (sia dalla CO2 che dal lievito che successivamente si deposita sul fondo), rendendo meno efficace il dry hopping. Inoltre, il lievito attivo nel mosto opera una trasformazione di alcuni componenti del luppolo variandone l’impatto aromatico (ne ho parlato qui). Il dry hopping in fase tumultuosa può essere fatto ma con cognizione di causa. 

 Ossidazione durante la fermentazione secondaria  Quando la fermentazione tumultuosa finisce, il lievito inizia a depositarsi sul fondo del fermentatore e la produzione di CO2 si arresta. A questo punto, il mosto si è trasformato in birra ed è a rischio di ossidazione. Qualsiasi operazione che possa introdurre ossigeno in questa fase dovrebbe essere evitata. Purtroppo, è proprio in questa fase che solitamente introduciamo il luppolo in dry hopping: il fermentatore viene aperto, il luppolo “lanciato” nella birra e un po’ di ossigeno finisce inevitabilmente in soluzione. Per questa ragione è meglio limitare il più possibile le gettate in dry hopping (anche se alcuni dicono che gettate in tempi successivi migliorano la carica aromatica: al solito, dobbiamo trovare il giusto compromesso). È opportuno anche evitare i travasi, praticamente inutili nella maggior parte dei casi (link). Lasciare il più possibile in pace il fermentatore è l’opzione migliore in questa fase.

La soluzione ideale sarebbe quella di fermentare in un contenitore che può essere chiuso ermeticamente dopo la tumultuosa e messo sotto pressione, come ad esempio un fusto jolly che può anche essere saturato con CO2 dopo il dry hopping, evitando quasi completamente il contatto con l’ossigeno. Questa configurazione rende tutto più complicato (compresa la pulizia del fusto dopo la fermentazione) e forse il gioco non vale la candela.

Fusto Jolly 18 litri
Fusto jolly da 18 litri

Dal mio punto di vista, l’importante è evitare travasi inutili, limitare le gettate in dry hopping e utilizzare luppoli in pellet (i luppoli in coni intrappolano una quantità maggiore di ossigeno, rilasciandola poi nella birra). Per un periodo ho provato a immettere CO2 sopra la birra nel fermentatore con una piccola bombola: teoricamente la CO2 dovrebbe formare un velo di protezione  poiché è più pesante dell’aria, ma in molti sostengono che tramite il gorgogliatore alla fine entri comunque aria creando una situazione di equilibrio all’interno del fermentatore e quindi un mix CO2/aria. Non ho notato evidenti vantaggi, quindi ho smesso di praticare questa tecnica che secondo me ha senso solo se la CO2 può essere pompata a contenitore chiuso (il fusto jolly di cui sopra).

 Ossidazione in fase di imbottigliamento  Ed eccoci giunti alla fase più pericolosa per l’ossidazione: l’imbottigliamento. A meno di non aver messo in piedi una strumentazione piuttosto sofisticata (ne parleremo più avanti), l’introduzione di una piccola quantità di ossigeno in questa fase è praticamente inevitabile. Fortunatamente abbiamo dalla nostra parte il lievito che riassorbe una parte dell’ossigeno durante la rifermentazione in bottiglia. Quanto? Non saprei, non ho trovato documenti specifici sull’argomento ma è noto che il lievito agisce come parziale protezione dall’ossidazione in questa fase. 

Una prima introduzione di ossigeno avviene con il travaso che è (quasi) inevitabile a questo punto. Si travasa per rimuovere i residui dal fondo del fermentatore prima di sciogliere lo zucchero nella birra e passarla nelle bottiglie. Possiamo applicare tutta l’attenzione del mondo, ma il trasferimento tra contenitori aperti introduce necessariamente una piccola quantità di ossigeno. Per evitare questo travaso (almeno nelle birre molto luppolate che risentono maggiormente dell’ossidazione), alcuni homebrewer imbottigliano direttamente dal fermentatore utilizzando un sifone che pesca dall’alto. Lo zucchero per il priming viene inserito direttamente nelle singole bottiglie in forma di soluzione di zucchero e acqua. Questa operazione può essere notevolmente velocizzata acquistando su ebay una pistola graduata che permette di inserire in ogni bottiglia uno “shottino” di soluzione con un volume prefissato. Per quanto riguarda i calcoli della quantità di zucchero e di soluzione da utilizzare, vi consiglio di scaricare il file excel dal sito di Sgabuzen Homebrewing (link).

Pistola priming
Pistola regolabile per vaccinazioni di pollame

Ho utilizzato questo metodo di priming una sola volta qualche mese fa per l’imbottigliamento di una birra dalla damigiana di 5 litri e non mi sono trovato affatto male. Al posto della siringa vaccina-pollame ho utilizzato una semplice siringa graduata dato che le bottiglie erano molto poche.

Altro ossigeno può entrare in soluzione durante il passaggio della birra nelle singole bottiglie. Qui c’è poco da fare, se non utilizzare setup piuttosto complicati che permettono di saturare le bottiglie di CO2 prima del passaggio della birra, trasferendo quest’ultima tramite una “spinta” di CO2.

Imbottigliamento in contropressione
Setup per l’imbottigliamento in contropressione (foto dal Forum della Birra – gruppo Facebook)

Un numero sempre maggiore di birrifici ha scelto la via dell’imbottigliamento in isobarico, ovvero il passaggio da fermentatore a bottiglia in un ambiente ermetico che mantiene la pressione e la carbonazione, quindi senza alcun contatto con l’ossigeno. Molti homebrewer cercano di emulare questo metodo anche in ambito casalingo, ma l’attrezzatura necessaria non è banale da reperire, è costosa e richiede una certa competenza per assemblarla in modo corretto. Questi sistemi casalinghi non sono propriamente isobarici, vengono definiti più correttamente sistemi a contropressione: il contatto con l’ossigeno viene minimizzato, ma la tappatura della bottiglia, seppure praticata velocemente, avviene con presenza di aria e di ossigeno (minimale). Se siete interessati al tema, iscrivetevi al gruppo Facebook Il Forum Della Birra: la discussione (da cui ho tratto la foto sopra) la trovate a questo link. 

A mio avviso arrivare a un sistema del genere è esagerato: oltre al costo del setup, questo approccio rende l’imbottigliamento ancora più lungo e complicato (apri il rubinetto, chiudi il rubinetto, tappa di corsa e via dicendo). Ognuno poi è libero di fare le scelte che reputa più adatte al proprio scopo, soprattutto se l’assemblaggio di questo sistema diventa esso stesso un divertimento (come per gli amanti del fai da te). Per me non lo è, quindi mi accontento del mio sistema classico e al limite, per alcune birre molto luppolate, passerò all’imbottigliamento senza travaso con priming nella singola bottiglia.

 Ossidazione per contatto con altre sostanze ossidanti  Una piccola nota finale su un aspetto che spesso viene trascurato: l’aria, e quindi l’ossigeno, non è l’unico elemento ossidante che può venire a contatto con la birra durante il processo di produzione. Molti prodotti sanitizzanti uccidono i microrganismi indesiderati proprio tramite ossidazione delle pareti cellulari. L’acido peracetico e la candeggina sono due sanitizzanti molto utilizzati che possono ossidare la birra se non correttamente utilizzati. Mentre la candeggina solitamente viene risciacquata con acqua calda per evitare la formazione di clorofenoli nella birra, l’acido peracetico viene spesso utilizzato senza risciacquo. Non è chiaro quanto questo possa contribuire all’ossidazione della birra (non ho trovato documenti al riguardo), ma è ragionevole pensare che una piccola quantità residua (qualche goccia) non dovrebbe arrecare danno. A ogni modo, è bene fare attenzione a non lasciare troppi residui nelle bottiglie o nel fermentatore.

Anche l’acqua è ossidante poiché, come detto all’inizio dell’articolo, a temperatura ambiente può contenere una discreta quantità di ossigeno. Evitate quindi di diluire la birra con acqua una volta finita la fermentazione e fate attenzione a non lasciare troppa acqua nelle bottiglie. Una breve bollitura di 5 minuti può essere sufficiente per far evaporare buona parte dell’ossigeno dall’acqua.

 In conclusione  Penso che il mio punto di vista sulla questione sia chiaro (del resto è sempre lo stesso): produrre la miglior birra possibile con il minimo sforzo possibile. Non credo mi vedrete mai mettere in piedi un sistema di imbottigliamento in contropressione, anche se non è escluso che un giorno non mi metta a fermentare nei fusti jolly. Per ora ho prodotto birre luppolate discrete anche con il sistema classico. Certo la carica luppolata non dura all’infinito, ma il mio approccio è sempre quello di produrre poca birra e berla in poco tempo. Le birre che lascio maturare più a lungo non sono luppolate e in genere sono acide o con un tasso alcolico medio-alto, entrambe barriere naturali contro l’ossidazione. La shelf-life in assoluto mi interessa poco come produttore casalingo, ma ognuno è libero di focalizzarsi sull’aspetto della produzione che gli piace di più. L’importante è farlo con cognizione di causa.

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59 COMMENTS

  1. Bel post, ci voleva per fare un pò di buona informazione 🙂
    Un unico appunto per chiarire. Quando parli della pressione nei tini di fermentazione pro (in birrificio) hai fatto riferimento alla pressione idrostatica mettendola in correlazione con la solubilità dell’ossigeno nel mosto. In realtà quello che conta (vedi legge di henry) è la pressione parazile del gas e non la pressione idrostatica del fluido. Faccio un esempio: se nello spazio di testa del fermentatore la pressione viene portata a 0,5 bar (quindi in condizione di semi-vuoto) e dal basso viene insufflato ossigeno, la concentrazione dell’ossigeno nel mosto (avendo dato al sistema il tempo di raggiungere l’equilibrio) dipende dalla sua pressione parziale in fase gas (cioè 0,5 bar moltiplicata per la sua concentrazione, che in aria è del 21%) e non dalla pressione idrostatica sul fondo del fermentatore. Le modalità con cui questa dipendenza si verifica, come detto, sono descritte dalla legge di henry.

    • Grazie della precisazione! Hai assolutamente ragione, ho semplificato estremamente. Comunque il discorso era principalmente rivolto ai fermentatori casalinghi di piccole dimensioni, dove l’ossigeno non dovrebbe riuscire a raggiungere concentrazioni troppo alte.

  2. Ottimo post come al solito specialmente perchè molto chiaro. In fondo le psicosi nel nostro hobby nascono spesso perchè le informazioni non sono complete e contestualizzate o spesso perchè si legge tutto e il contrario di tutto . Così nasce la ” moda” di fare questo o quello senza sapere fino a che punto quella procedura serva, in modo da (come dici giustamente tu) poter scegliere con cognizione di causa.

  3. Bellissimo articolo! Ragazzi avrei bisogno di un parere ma per quel che mi riguarda io credo di avere problemi di ossidazione abbastanza evidenti: ricette da 6,5ebc diventano birre ambrate in bottiglia con leggeri sentori di liquore sherry in aroma. Per spiegare perché credo sia ossidazione vi spiego come produco il mosto e poi quali problemi riscontro. Ho un impianto a 3 tini alimentato a gpl così composto:
    – pentola 60L per sparge a caduta
    – pentola mash/boil 110L con agitatore motorizzato a 2 pale (solo parte bassa della pentola sempre sotto battente giri Max 60/min)
    – tino filtro coibentato da 80L con fondo filtrante
    Eseguo il mash nella pentola da 110L scaldata da un bruciatore da 10kw. La pentola è priva di sistemi filtrantanti, il mash viene tenuto sempre in leggero movimento tramite un mescolatore a due pale inclinate di 45° poste sul fondo della pentola che copre tutto il diametro del fondo. Finito il mash procedo al travaso dalla pentola di mash al tino filtro tramite tubo che arriva fino al doppio fondo. Qui effettivamente le trebbie rimangono per circa 1min scoperte fino a che il livello di liquido non sale fino a sopra il doppio fondo. Quando la pentola di mash è quasi vuota, gli ultimi 5-7 litri di mosto lì rovescio direttamente dalla pentola al tino filtro splasciando un po. L’operazione dura in tutto max 10 minuti. A questo punto inizio a riciclare la soluzione nel tino filtro mentre preparo la pentola di mash per il boil. Bollitura poi wirlpol di 2min con paletta bacbrewing. Raffreddamento di 45 minuti con scambiatore a piastre in diretta al fermentatore . Prima di inclulare il lievoto ossigeno gli 80-82 litri di mosto con pitra porosa inox da 0.5 micron e ossigeno puro per 6 minuti. Fermentazione a T controllata da frigo, poi a fg raggiunta, dryhop con pellet (per gli stili luppolati). Tutto questo lo eseguo senza travasi, nello stesso contenitore. Finito il tempo di dryhop abbatto la temperatura per 7 giorni a 2°. A questo punto travaso il tutto per caduta dal rubinetto del fermentatore alla pentola di mash con agitatore, eseguo il priming con zucchero sciolto in acqua e riempio le bottiglie tramite depressione usando la riempitrice enolmatic. Qui penso inizino i miei problemi…
    1) per paura che lo zucchero si stratifichi tengo il mosto sempre in leggerissimo movimento tramite l’agitatore ;
    2) questa riempitrice crea il “vuoto” nella bottiglia che a questo punto aspira la birra dalla pentola: per mantenere la depressione nella bottiglia il beccuccio rimane nella parte alta della bottiglia facendo cadere il liquido dall’alto con conseguente formazione di schiuma e contatto con la poca aria rimasta.
    Teoricamente il fatto che il mosto splasci sotto vuoto non dovrebbe creare troppi problemi (secondo il produttore) ma in realtà credo proprio che sia questa la natura del problema in quanto durante il travaso dal fermentatore al tino di priming il colore della birra rispecchia quello previsto in ricetta. Proverò a tornare alla vecchia bacchetta riempitrice ma sarà dura perché a livello pratico la enolmatic è davvero comoda per me in quanto mi permette di muovere il mosto per gravità senza il bisogno di dover travasare in due contenitori per poter movimentare 80 litri di birra.
    Voi cosa ne pensate?
    avete mai avuto problemi di inscurimento e aromi liquorosi in birre pils/blanche in così poco tempo nelle vostre birre?

    • I difetti che descrivi mi sembrano effettivamente dovuti all’ossidazione. Anzitutto 6 minuti di ossigenazione con ossigeno puro mi sembrano troppi, anche per il tuo litraggio. È anche vero però che è difficile sovraossigenare se il contenitore non è sottopressione, quindi anche se fossero esagerati il problema non dovrebbe essere qui (anche perchè da quello che scrivi il cambiamento di colore avviene dopo l’imbottigliamento). Sulla Enomatic so che la usano diversi hb che non hanno riscontrato i tuoi problemi. Non mi piace per niente invece l’agitazione continua durante l’imbottigliamento: sarebbe meglio dare una piccolissima girata ogni tanto, ma forse nemmeno servirebbe.

      Qualche lieve scurimento nel tempo mi è capitato, ma aromi liquorosi in un breve periodo no.

    • Lorenzo, potresti avere problema di ossigenazione a caldo, cioè l’errore potrebbe essere far splashare la birra calda dal tino di ammostamento al tino filtro, e in generale forse una agitazione troppo vigorosa operata dalle pale durante l’ammostamento. L’ossigenazione a caldo è molto pericolosa. Anche l’ossigenazione con bombola prima dell’inoculo andrebbe sicuramente limitata, tutte le fonti che leggo parlano di 1 minuto, magari per 80 litri sarà di più, ma 6 minuti li eviterei. Anche l’abbattimento a 2°C può dare problemi di ossidazione perché la birra risucchia aria dall’ambiente esterno, andrebbe fornita CO2 cioè la birra andrebbe raffreddata in un ambiente saturo di CO2 non di aria ambiente.

  4. Ciao Frank!
    Mesi fa ho voluto produrre la birra in due fasi, la sera ho fatto il mash e raffreddato il mosto, l’ho messo in un contenitore chiuso con tappo “a vite”, ed il giorno dopo ho utilizzato tale mosto, insieme ad altro prodotto al momento (acqua + estratto) e portato a bollitura.
    La birra, una imperial stout, assaggiata dopo 2 mesi e mezzo, avevo odore e sapore strano, credo qualcosa che ricordi le verdure cotte (ma sul carattere dell’odore strano potrei sbagliarmi in quanto il mio olfatto è scarso).
    La pratica che ho utilizzato è portatrice sana di ossidazione? 🙂
    Ciao e grazie.
    Carlo

    • Verdure cotte = DMS. Questo viene prodotto durante il riscaldamento del mosto (quindi durante il mash) ed evapora con la bollitura. Se non fai la bollitura dopo il mash, il DMS rimane nella birra. E questo è un primo problema. Ma il DMS può essere anche prodotto da alcuni batteri. Il fatto che tu abbia raffreddato e bollito il giorno successivo può aver lasciato in vita alcuni batteri che hanno prodotto DMS durante la notte. La permanenza del mosto sopra ai 65°C per un’ora opera una sorta di pastorizzazione, ma può non essere efficace come la bollitura nell’eliminazione di lieviti e batteri indesiderati, sempre presenti sui grani. Ecco quindi un altro caso in cui si attribuiscono all’ossidazione colpe che non ha. 🙂 Se proprio devi fare la birra in due fasi (cosa che sconsiglio sempre anche se molti lo fanno), fermati dopo la bollitura e mai prima.

      • Ma il giorno dopo ho bollito tutto per 75 minuti, questo non dovrebbe aver eliminato ogni sorta di batterio indesiderato?
        Ciao
        Carlo

          • Ah, tu dici che il mosto aveva quindi un eccesso di DMS (in quanto prodotto da batteri) che la bollitura non è riuscita a eliminare.
            Eh sì… potrebbe essere così
            Grazie
            Carlo

            • Potrebbe, anche se il DMS dovrebbe essere abbastanza volatile. Ma quando il mosto è contaminato non sai mai cosa potrebbe succedere. Sono solo ipotesi, per carità, ma una cosa è certa: mai conservare il mosto senza averlo prima bollito. Su questo non ci piove.

      • Il DMS evapora durante la bollitura ma viene “creato” nel mosto caldo e se il raffreddamento è lento quello che si crea durante la fase di raffreddamento rimane nella birra, in sostanza una causa del DMS nella birra è un raffreddamento lento.

  5. Grazie per l’aiuto!!
    Ok, sull’ossigenazione proverò a diminuire i tempi a 4 minuti. Proverò anche a mischiare il meno possibile il mosto in modo da evitare miscelazione con l’aria. Non ho specificato che la fase di imbottigliamento in cui la birra sta fondamentalmente esposta all’aria nel tino di priming dura circa 2 ore. Quello che mi fa impazzire è il fatto che la birra prima di essere imbottigliato ha il colore giusto poi dopo circa 2 mesi che è in bottiglia cambia colore

  6. Non sono d’accordo con quello che leggo in questo articolo. Produciamo in casa alcune birre molto luppolate e la nostra battaglia all’ossigeno non è una psicosi ma un esigenza. Sono convinto che la birra in generale per aumentarne la qualità non vada rifermentata (in primis birre luppolate e bassa Fermentazione chiaramente) e sono convinto che infustare e gasare forzatamente ci faccia raggiungere livelli altissimi anche in casa.
    Non bisogna parlare di psicosi quando ci riferiamo invece ad una cosa fondamentale, anche perché dopo si leggono frasi del tipo, dopo due mesi cambia colore la birra o altro, senza far capire il perché è sopratutto i tempi che andrebbe conservata una birra fatta in casa

    • Ciao Aldo, ovviamente il termine “psicosi” è una provocazione. Sono d’accordo con te (e l’ho anche scritto) che l’ossidazione è uno dei nostri acerrimi nemici. Il punto, a mio avviso, è valutare il rapporto sforzi/benefici: a volte magari, per qualcuno, tipo me, non vale la pena (almeno per ora) metter su un sistema complesso per far durare la birra qualche settimana in più. Per esperienza personale ho prodotto IPA pessime (da subito) e IPA più che piacevoli (magari non perfette) anche senza infustamento o saturazione di CO2. Il termine psicosi è riferito più che altro alla tendenza diffusa di attribuire qualsiasi difetto all’ossidazione. Credimi, ne ho sentite di tutti i colori (la mia birra puzza di verdura bollita, colpa dell’ossidazione!). E, soprattutto, all’idea che si sta diffondendo secondo la quale non è possibile produrre una IPA decente senza impiccarsi con infustamenti e imbottigliamenti in contropressione. Questo scoraggia gli hb e non mi piace (come quando si dice che una bassa rifermentata in bottiglia non è una vera bassa e a quel punto meglio non farla proprio).

      L’obiettivo di questo post è semplicemente cercare di chiarire i passaggi in cui la birra si può ossidare, non mi pare di aver negato mai che questo possa essere un non problema. In conclusione ho scritto la mia opinione, sottolineando che rimane la mia opinione e che ciascuno troverà il metodo con cui si sente a proprio agio.

      Chiaro che poi l’ossidazione spinta può avere effetti importanti anche nel breve periodo, specialmente sulle birre luppolate. Non capisco la fine del tuo commento: su questo blog si è sempre parlato di tempi di maturazione delle birre e di conservazione, nessuno ha mai scritto che tutte le birre vanno bevute indiscriminatamente giovani. Rispetto il tuo approccio ma in parte non lo sento mio, anche perché non ci trovo assolutamente nulla di male a rifermentare le basse in bottiglia. A ogni modo buona birra!

      • Ci sono conoscenze sul fatto della rifermentazione in bottiglia e sui tempi che in pochi hanno,me compreso.
        Il tuo articolo in effetti è ben fatto dal punto di vista Delle spiegazioni sulle varie fasi, però non voglio scoraggiare nessuno assolutamente. Mi consenti comunque il.fatto di dire che le birre luppolate e le basse fermentazioni sono di un altro pianeta quando non rifermentate? Altrimenti mi pare di prendere in giro la gente nel non sottolinearlo e mi pare di esser preso in giro anche a me. Ho ben in mente ciò che provo di altri HB, di birrifici o che faccio io e in tutti settori tra una cosa e l’altra c’è in di mezzo un mare di differenza, anche tra una IPA rifermentata di un Birrificio rispetto ad una isobarica.

        • No, non te lo consento. 🙂 Scherzo.

          Il punto è che non si può fare un discorso così generico. L’isobarico in se’ non garantisce la bontà di una birra luppolata. Tra l’altro, se non vene eseguito alla perfezione e la birra prende anche un pelo di ossigeno da qualche parte, il risultato è pessimo. Mi è capitato tante volte di bere IPA rifermentate in bottiglia ottime e birre imbottigliate in isobarico pessime. Il discorso è molto complesso e dipende da mille fattori. Il lievito in bottiglia può essere anche un nostro ottimo alleato nel ridurre l’ossigeno; soprattutto quando, specialmente per chi fa birra in casa, i processi non riescono a essere del tutto oxygen-free.

          Per farti un esempio, la Calibro 7 di Birra Perugia è una delle migliori APA italiane (a detta di molti, e io concordo) e non credo sia imbottigliata in isobarico.

          Insomma, secondo me dire che le IPA e le lager non rifermentate in bottiglia siano migliori in assoluto non dà una visione realistica del problema. Soprattutto per gli homebrewer, che prima di pensare alla contropressione dovrebbero risolvere tanti altri problemi, in primis trovare fornitori decenti di luppolo e imparare a capire quando un luppolo è arrivato oppure no.

          Questa la mia visione, del tutto personale.

  7. Scusate, non per contestare o inasprire il dibattito, ma a questo punto vorrei capire da Aldo se lui usa l’imbottigliamento in contropressione o no, e soprattutto se in eventuale passaggio da un sistema di imbottigliamento tradizionale nel passaggio al contropressione abbia notato differenze importanti e se si in quali birre…
    Non vorrei che si parlasse per sentito dire, tutto qui
    Grazie

    • Non è sentito dire. Siamo ben attrezzati e entro pochi mesi imbottiglieremo in contro pressione. Ora posso affermare che le nostre birre infustate in totale o quasi totale assenza di ossigeno e gasate forzatamente sono nettamente migliori rispetto alle medesime birre che rifermentiamo. Considera che abbiamo duei tronco conico da 40l e uno da 115l e quindi non facciamo travasi e teniamo sempre sotto co2 qualsiasi procedimento quindi diciamo che l’unico ossigeno che vede la birra , a differenza di molti hb, è solo quello che prende dalla fine dello riempimento bottiglia alla tappatrice, purtroppo anche se saturiamo lambottiglia lì qualcosa prende senz’altro

      Per sentito dire non c’è nulla

      A differenza di molta gente che sta sempre dietro la tastiera a scrivere io se scrivo lo faccio solo se ho provato sulla mia pelle le cose e non per sentito dire.
      Sono disponibile a confrontarmi e farvi provare le nostre birre tranquillamente, o al rurale o ad Hammer o a Menaresta dove mi trovo spesso per bere birre buone e per far provare le mie birrette ai birrai.
      Avremo una IPA pronta intorno al 10 agosto
      Poi un altra a fine ottobre e poi ancora a inizio dicembre.
      Disponibili a bere con voi

      Per sentito dire…..non c’è nulla

  8. Mi permetto di intervenire, non lo avrei fatto, ma mi sembra che la questione vada un pochino chiarita meglio, dal mio punto di vista..
    Premessa: seguo il blog e ritengo Francesco una delle persone (non il blogger, ma la persona) più preparate nel panorama HB italiano. Ho apprezzato e apprezzo i suoi articoli che fanno informazione e non disinformazione, del resto Brewing Bad non sarebbe uno dei blog italiani più seguiti in ambito HB.
    Detto questo ho spesso apprezzato la stesura di un articolo dopo aver testato in prima persona quello di cui stessi scrivendo, cosa che, in questo caso, non mi sembra sia avvenuta.. Quindi il “per sentito dire” o “il giudizio personale” mi sembrano più che legittimi nel caso specifico dell’articolo, non nella risposta di Aldo.
    Poi ci sarebbero da fare due precisazioni, che riguardano oggettività e soggettività..
    Che l’ossigeno sia il nemico numero uno della birra è un fatto OGGETTIVO, che alcuni lo sappiano o lo riconoscano è SOGGETTIVO.
    E’ indiscutibile che l’ossigeno abbia effetti negativi, soprattutto su alcune tipologie di birra, come giustamente indicato le luppolate e le basse fermentazioni sono le più fragili sotto questo punto di vista..
    Il titolo dell’articolo è fuorviante, e non provocatorio, perchè un blog seguito come questo rischia di creare confusione generale sull’argomento, non chiarirne gli aspetti (dato che non sono stati sperimentati in prima persona) che sono FONDAMENTALI per comprendere la differenza tra una birra luppolata rifermentata ed una confezionata in contropressione.
    E’ anche vero che ci sono diversissime tipologie di homebrewers, che chi fa birra in casa lo fa per diversi motivi, ma solitamente generalizzare non è mai la soluzione migliore.
    Se un homebrewer inesperto, che produce birre da kit leggesse questo articolo avrebbe un’opinione, sbagliata, sul fatto che chi si prodiga ad imbottigliare in contropressione, possa essere un esaltato o semplicemente un pirla perchè intanto anche la birra fatta con i kit è buona e si può bere.
    Un Homebrewer un po’ più esperto o con la voglia di ricercare sempre qualcosa di nuovo potrebbe essere intimorito perchè pensa che il gioco non vale la candela, mentre altri Homebrewers, me compreso, riflettono e pensano “ma che cavolo sta dicendo questo…”
    Bisogna sempre pesare le parole, prima di scrivere, pensando che il bacino di utenza di chi legge è molto variegato, e far passare il concetto che CONTROPRESSIONE E’ PER PSICOTICI è SBAGLIATO, punto.
    Ti invito a rivedere l’articolo e soprattutto il titolo, se poi a te piace bere le tue IPA perfette i primi 10 giorni e ossidate subito dopo, liberissimo di farlo, ma non obbligare tutti a fare altrettanto 😉

    • Christian, capisco il tuo punto di vista e non dico che tu non abbia ragione. Il titolo è fuorviante e provocatorio, certo, ma è fatto apposta. Se ci si limita a leggere il titolo e non l’intero post (e magari anche questi interessanti commenti) è un problema di chi legge. Secondo me la psicosi da ossidazione c’è, ma questo non significa che chi imbottiglia in contropressione sia psicopatico. Non lo penso e non è vero. Detto ciò, io affermo semplicemente che produrre birra con il metodo “classico” può portare a risultati più che sodfisfacenti. Magari non perfetti, ma accettabili. Questo ho scritto e questo penso. Il mio obiettivo è quello di far capire che non è NECESSARIO imbottigliare in contropressione per produrre buone IPA. E questo l’ho sperimentato personalmente. Le mie birre non sono ossidate dopo 10 giorni (non tutte almeno) e questa è un concetto che volevo trasmettere. Per il resto si può sempre fare di meglio, ma il mio approccio valuta sempre il rapporto costi/benefici che è molto personale. A ogni modo grazie per il commento, ogni punto di vista è sempre il benvenuto qui.

      • Se rifermenti e dopo aver lasciato al caldo le birre per il tempo necessario, le tue birre luppolate resistono senza perdere o senza ossidare più di 15/20gg continua così che sei fortunato. Dovrei però capire cosa intendi per luppolate perché secondo me può essere che la tua luppolatura sia nettamente inferiore alla mia
        Noi abbiamo birre che tra cottura e dryhop vedono 15/18gr al litro di luppolo e le beviamo bene bene ,imbottigliate rifermentata, per circa 15giorni poi si degradato a vista d’occhio. Fai conto he abbiamo solo tronco conico con saturazione di co2 per ogni passaggio fatto compreso dryhop e saturiamo anche le bottiglie prima di imbottigliare. Le stesse birre in fusto e gasate forzatamente durano di più ma soprattutto sono ancora migliori qualitativamente poiché non vedono il minimo ossigeno in nessuna fase, poiché abbiamo un sistema che mantiene sotto co2 anche i tubi di travaso oltre che i fustini che riempiamo chiaramente

        • In genere la mia luppolatura si attesta sui 12 grammi litro in totale, quindi sicuramente è minore. Da quello che scrivi mi pare che avete un metodo solido e ben strutturato, che sicuramente avrà richiesto soldi, impegno e competenze per metterlo in piedi. A me piace focalizzarmi su altro, anche perché non sono un iper appassionato di birre luppolate. Come ho scritto nell’articolo, sono (per ora, magari cambierò idea) delle mie luppolate e della loro durata. Ma non è detto che non cambi idea in futuro. Quello che è sicuro è che se ci si beccasse un giorno mi farebbe super piacere assaggiare una vostra birra!

  9. Mi spiace, ma il titolo è importante..
    Quando qualcuno vorrà fare riferimento all’articolo lo farà in base al titolo, non certo in base ai commenti, interessanti o meno che siano.
    Per questo mi sono soffermato sull’importanza del titolo..
    Noi Hb spendiamo un sacco di soldi in cazzate, tra mega pid, densimetri wireless, troncoconici in plastica ecc. E dire che si cerca di trovare il giusto compromesso tra costi e benefici mi fa sorridere, ma giustamente ognuno è libero di operare come meglio crede (o può) 😉

  10. Sostenere che il titolo “Ossidazione: la nuova psicosi collettiva” sottointenda inequivocabilmente la pazzia di chiunque imbottigli in contropressione è sintomo o di imbecillitá o di malafede.
    E parlo di lingua italiana, non di competenza di homebrewing.

      • Rigirala come ti pare, rispondi pure “specchio riflesso, se ti muovi…”; resta il fatto oggettivo che un titolo “Ossidazione: la nuova psicosi collettiva” non implica la ridicolizzazione dell’imbottigliamento in contropressione in quanto tale. Su questo non sono ammissibili discussioni né opinioni.

  11. Come Christian anche io uso questo sistema di imbottigliamento da quasi 5 anni a completamento di un percorso hb iniziato nei primi anni 2000 e anche a me il titolo ha dato impressione di essere piu’ una provocazione, anche perche’ a differenza degli altri articoli qui l’autore sembra essersi lasciato andare in considerazioni soggettive piuttosto che oggettive. Capisco che il blog viene fruito da homebrewers che hanno un diverso background e diversa esperienza e quindi appunto per non creare confusione sarebbe stato meglio porre subito dei netti distinguo.

    • Che il titolo sia provocatorio siamo tutti d’accordo. Può piacere o non piacere, ci sta. Nulla da aggiungere al riguardo. Quello che non capisco è dove sia il problema sulle valutazioni soggettive. Nell’articolo ho cercato di spiegare (oggettivamente) in quali passaggi della produzione la birra può incamerare ossigeno. Se ci sono errori concettuali, segnalatemeli: li correggo volentieri. Infine, dal mio personale punto di vista, dico che riesco a produrre IPA soddisfacenti anche con il metodo “classico”. Non mi pare di aver scritto che non ci sia differenza rispetto al metodo isobarico in contropressione, né ho scritto che chi pratica tale metodo sia psicopatico. La psicosi (termine volutamente provocatorio, ripreso da un vecchio post che si intitolava “la psicosi dei travasi”), si riferisce al fatto che molti hb alle prime armi hanno iniziato ad attribuire all’ossidazione qualsiasi difetto compaia nelle proprie birre. Tutto qui. Io non metto assolutamente in dubbio i vostri metodi e, anzi, sono convinto che le birre luppolate di Christian e probabilmente anche le tue, Gianni, siano migliori delle mie. Ciò non toglie che mi sento di poter dire di aver prodotto qualche IPA decente, tutto qui. E, oltretutto, mi è capitato di berne alcune di birrifici che imbottigliano in isobarico che erano completamente andate (probabilmente a causa di un impianto ancora da tarare). Detto ciò, come ho già scritto, ben vengano i commenti e i punti di vista differenti dal mio. Altrimenti questo mondo sarebbe una noia mortale e faremmo tutti le stesse cose.

      P.S. non è detto poi che un giorno non mi converta anche io alla contropressione, come è accaduto con il protein rest (che non faccio sempre, ma ogni tanto ci sta).

      • Assolutamente ho trovato ben fatta la parte dove spieghi le possibilità che ha la birra di incontrare ossigeno durante tutte le fasi. Ho già detto che è articolo utile per HB sotto quel punto di vista

    • Concordo con te.
      L’ossigeno purtroppo va eliminato dalla birra poiché principale nemico.
      Poi ognuno è libero di rifermentare ciò che vuole anche perché tuttora molti Birrifici rifermentano con grande soddisfazione. Non voglio mica dire che son tutti scemi: non permetto anche perché loro sono il mercato è o professionisti mentre noi ci divertiamo e basta

  12. Concordo pienamente con te Frank sul fatto che anche in rifermentazione si possono produrre ottime birre, qui credo che il perno del discorso non sia la superiorita’ di un sistema piuttosto che un altro, ma principalmente quello di fare chiarezza. Da mettere in evidenza inoltre che quando si parla di contropressione c’e’ da specificare se si tratta di solo riempimento in contropressione e successiva rifermentazione (metodo da me usato per gli stili belgi o per birre a lunga maturazione) o se si tratta di carbonazione forzata e successivo riempimento in contropressione, ottimo metodo per birre iperluppolate da bere freschissime e per stili a bassa fermentazione quali pils, helles, dunkel etc…..qui il gioco a casa si fa duro in quanto coi sistemi casalinghi hai un minimo pickup di ossigeno, che ti accorcia drasticamente la shelf life della birra, altro discorso quest’ultimo metodo viene usato esclusivamente in keg e somministrazione alla spina. Spero di essere riuscito a sintetizzare un discorso non semplice da fare.

  13. Scusa Aldo, non vorrei averti offeso insinuando che parlassi per sentito dire, volevo solo essere certo che avessi provato il sistema a contropressione o fermentazione in pressione di persona perché da come avevi scritto i messaggi precedenti la tua conferma, non ne ero certo…detto questo se posso chiedere vorrei capire bene come funziona il tuo setup. Hai due fermentatori troncoconici che possono andare in pressione da 40L + uno da 115L sempre presurizabile, mi piacerebbe sapere marca e modello.
    Se non ti dispiace mi piacerebbe conoscere nel dettaglio il tuo sistema e setup magari in privato così da non importunare nessuno.
    Grazie!

  14. Parlando di ossidazione il mio personale tallone d’Achille è l’autosifone di cui so che tu sei un grande sostenitore. In linea di massima lo sono anch’io, lo uso parecchio anche perchè faccio parecchie birre con secondaria in dame da 5 o 10 litri dove spesso aggiungo frutta. Li è dura non ossigenare con il travaso quando si tratta di tirarla fuori dalla frutta..sarò particolarmente imbranato ma basta che un solo pezzettino di frutta si incastri nell’imbocco del sifone (e con il risucchio questo spesso succede) ed inizi a produrre tante belle bollicine che neanche un metodo classico… Secondo me l’autosifone per i travasi di mosti “puliti” dove non c’è dry-hopping “pesante” o frutta va bene così com’è, se invece c’è da filtrare tanta roba spesso sono c…i amari! Al momento non ho ancora trovato una soluzione che mi semplifichi il lavoro e mi dia la garanzia di non ossigenare così stupidamente in quel frangente.

    • È vero, il sifone tende a sforzare se si occlude dalla base, tirando dentro aria probabilmente dalla guarnizione che chiude l’interno.

    • Non ho questo problema ma proverei ad installare all’ingresso del sifone una sorta di armatura fatta con del filo di acciaio piegato a mano (o bambù piegato a mano ecc. qualcosa di sano e sanitizzabile) che fornisca il volume, attorno a questa struttura metti una “hop bag” che impedisce che le particelle arrivino all’imbocco del sifone, fissandola con una fascetta d’acciaio. La struttura tiene aperta la hop bag proprio come un guardinfante tiene aperta una gonna. Dico in teoria, non ho provato nella pratica, a me la birra piace com’è 🙂

  15. Ciao Frank. Vorrei disturbarti per una cosa che mi è successa.
    Ho fatto due birre. Una Ordinary Bitter e una American Stoit. Dopo 6/7 mesi di maturazione sono cambiate radicalmente nel giro di un mese. A ottobre avevano.un buon corpo, a fine novembre il sentore è diventato alcolico, quasi privo di quelle buone caratteristiche che avevano. Che può essere successo? Così repentinamente….le conservo in cantina al buio totale.

    • Nello specifico non saprei, la descrizione è troppo vaga. Sicuramente 7 mesi sono tantini sia per una bitter dal corpo leggero sia per una stout americana bella luppolata. Certo non dovrebbero completamente rovinarsi, ma sicuramente per un classico imbottigliamento casalingo 7 mesi a temperatura di cantina non sono pochi per questo tipo di birre.

  16. Grazie Frank per la risposta. Questo deterioramento può dipendere da una fermentazione a temperatura elevata? 24/26°. Tieni presente che ho fatto all grain.

  17. La variabile è la temperatura. Fino ad un mese fa stavano a circa 16/18 gradi , ora stanno a 8/10. Chi ci capisce….
    Anche la schiuma prima era abbastanza persistente ora svampa in 30 secondi. Quasi quasi te ne spedisco un po di bottiglie. 🙂 …cosi mi dici che ne pensi..

  18. Comunque sia ti ringrazio veramente per la risposta e mi complimento con te per tutto l’immane lavoro che stai facendo. bravissimo

  19. Ho fatto una prova. Ho messo in freezer una bottiglia di american stout e l’ho lasciata un’oretta. L’ho stappata e il sentore di alcol è quasi sparito. Sto pensando all’aldeide che a basse temperature si tramuta in etanolo. Dico stupidate? Che cosa strana, ha ripreso un po di corpo.

  20. Non mi risulta che le aldeidi si trasformino in alcol a bassa temperatura. Semplicemente ti si atrofizzano le papille gustative 🙂

  21. Avevo letto il post all’uscita ma mi ero perso tutta la carrellata di commenti nel tempo 😀
    Comunque ho una domanda da farti essendo tu molto preparato sull’argomento: E’ incisiva un’ossigenazione del mosto nella fase del mash? Ossia, durante il ricircolo del mosto (come fai anche tu) pensare che il mosto splashi ossigenandosi o meno può avere effetti?
    Ho cercato di guardare diversi impianti anche professionali ma ho visto di tutto…

  22. Ciao Kead, il problema dell’ossidazione a caldo è che è molto più veloce di quella a freddo, essendo la temperatura più alta. Il lato positivo è che l’ossigeno fa più fatica a solubilizzarsi nel mosto caldo. Di fatto, per la mia esperienza, gli effetti a livello hb sono modesti (se non nulli) e soprattutto emergono nel lungo periodo. Questo perchè, se non ho capito male, a ossidarsi sono soprattutto i lipidi che tendono poi a introdurre off-flavours nel lungo periodo (tipo cartone bagnato). Ma questo accade se l’ossidazione è alta, le birre molto delicate (es lager) e se la birra viene trattata male durante lo stoccaggio (vedi scaffali dei supermercati). Queste tre condizioni (specialmente la seconda e la terza) in genere non si verificano nelle produzioni casalinghe, quindi non ritengo che l’ossidazione a caldo sia un grande problema per noi. Certo, sempre meglio evitare di splashare a destra e a sinistra, ma senza enormi paranoie.

    • Difatti in molti impianti vedo che hanno un piatto di immissione che crea una cascata a cerchio sul raggio della pentola di mash. Questa caduta per forza crea ossigenazione ma mi confermi che non deve essere preoccupante.
      Ti ringrazio ancora una volta per la tua disponibilità e competenza.

  23. Buongiorno Frank
    Ho trovato molto interessante questo tuo articolo e a riguardo volevo sapere se conosci e-o hai avuto modo di usare antioxin SB che dalle specifiche protegge la birra dal ossidazione
    Grazie

    • Mai provato, no. Ma leggo che si tratta di un antiossidante da usare in mash per limitare l’effetto negativo degli enzimi lipossigenasi. Questi agiscono sull’acido linoleico (contenuto nel malto) e possono indurre, nel lungo periodo, reazioni successive che portano alla formazione dell’aldeide T2N (aroma di cartone bagnato). Si tratta di un difetto molto comune nelle lager industriali che sono mal conservate (spesso tenute al caldo sotto il sole nei depositi), ma non è un difetto molto frequente per chi produce birre in casa (almeno per la mia esperienza). Anche se l’acido linoleico viene ossidato durante il mash (e questo probabilmente avviene quasi sempre), servono una serie di altre razioni dopo l’imbottigliamento prima che il cartone bagnato esca fuori. Da quello che leggo, non si tratta di un antiossidante “generico”, ma specifico per questo tipo di difetto ossidativo la cui origine sta nella parte di processo a caldo e nella successiva cattiva conservazione del prodotto.

      http://www.lowoxygenbrewing.com/ingredients/antioxin-sbt/

  24. Ciao
    Articolo interessante grazie. Cmq pare che ne esistano 2 versioni: nel tuo articolo utilizzano la SBT mentre per l’altro tipo ovvero SB sinteticamente ho trovato

    Stabilizzante creato appositamente da AEB in modo specifico per proteggere la birra dall’ossidazione per lunghi periodi. È la migliore protezione possibile contro l’ossigeno: questo prodotto consente infatti di ottenere una stabilità ottimale del gusto della birra e di diminuire l’ossigeno

    Poi sul sito del venditore ci sono ulteriori dettagli

  25. Ciao Frank, se da fermentatore porto in bottiglia il mosto tramite depressione con pompa del vuoto riduco l’ossidazione? Cerco di spiegarmi meglio, tramite vuoto porto il mosto dal fermentatore, sfruttando il foro del gorgogliatore con tubo di qualche mm verso la bottiglia. Quando il mosto risucchiato dal vuoto arriva in bottiglia chiudo la valvola che sta vicinissimo alla bottiglia, a questo punto il tubo è pieno di mosto non può tornare indietro perché la valvola è chiusa. La pompa continua a creare depressione solo in bottiglia. Quando è arrivata al massimo, apro la valvola, il mosto entra in bottiglia a causa della depressione. Una volta riempita tolgo il sistema che mi permette di fare questo. Secondo te la cosa può funzionare? Non so se sono riuscito a spiegarmi. Grazie per il contributo alla comunità birraia.

    • Non ho capito benissimo, ma comunque quando esce birra dal fermentatore deve entrare qualcosa al suo posto, altrimenti il fermentatore collassa su se stesso. E quel qualcosa, se non è CO2, è aria e non va bene. Non credo che una pompa da vuoto senza sistema in contropressione alimentato a CO2 (o altro gas inerte, ma non aria) possa essere sufficiente.

      • Ciao Frank, mi rendo conto che senza alcun disegno è difficile da spiegare e da capire, sono d’accordo sul fatto che il fermentatore collassi è ovvio ma il mio discorso si è concentrato oltre il fermentatore, volevo far notare che il tipo di imbottigliamento avviene totalmente sottovuoto. Solo quando tappo la bottiglia la birra sarà in presenza di ossigeno, potrei far salire un po di schiuma per far uscire quella poca aria che si è stratificata sulla parte superiore della bottiglia.
        Grazie Frank continua scrivere.

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