Sebbene le Imperial Stout vengano censite dal BJCP tra le “American Porter & Stout” (categoria 20, variante C), la loro origine, come poi viene specificato nel dettaglio delle linee guida, è inglese. Effettivamente le numerose versioni moderne sfornate dai birrifici craft sono spesso ispirate all’interpretazione americana che ha riportato in auge lo stile: alcol intorno o oltre i 10% ABV, tostati sparati a cannone, aggiunte varie che spaziano dalle fave di cacao, al caffé, alla vaniglia e chi più ne ha, più ne metta.

In Inghilterra, dove lo stile è nato, oggi non si bevono molte Imperial Stout. Qualcosa si trova nei locali più modaioli, dove imperversano le versioni all’americana. Che poi a me piacciono anche, intendiamoci, in alcuni casi sono dei veri e propri capolavori. Ma non sono birre da pub, e per questo gli inglesi non le amano particolarmente.

Le interpretazioni anglosassoni dello stile, alla Samuel Smith per intenderci, a volte non arrivano nemmeno al minimo sindacale degli otto gradi alcolici. Non le definirei comunque birre da bancone, ma scorrono al palato meglio delle muscolose reinterpretazioni americane. Tra l’altro, non nascondiamoci dietro a un dito, sono anche più semplici da produrre: niente aggiunte strane, alcol contenuto, tostati non eccessivi. Il problema è renderle interessanti.

Anni fa (tre anni fa, nello specifico, per celebrare la nascita di mia figlia) provai a produrre una Imperial Stout ma non fu un grande successo. Non venne malissimo, ma la carbonazione tipo razzo spaziale non la rese particolarmente godibile. Ho aspettato tre anni prima di riprovare.

RICETTA

L’idea di base, come nel primo esperimento di qualche anno fa, era partire dalla ricetta della Roight!, la mia Irish Stout. Ho mantenuto i fiocchi d’orzo, il Roasted Barley e la base di Maris Otter. Ho aumentato il grado alcolico, abbassando un po’ l’amaro (nello specifico il rapporto IBU/OG) per paura di derive astringenti. Ho preferito semplificarmi la vita aggiungendo una parte di estratto di malto, visto che con il BIAB è difficile fare miracoli e a dirla tutta non ce n’è nemmeno bisogno. In un grist del genere l’estratto si nota poco, anzi, probabilmente non si nota affatto.

Rispetto alla ricetta della Irish Stout ho aggiunto una piccola dose di malto Crystal a basso EBC, per ammorbidire il flavour con un filo di caramello e una buona dose di Special B, che a mio avviso si sposa molto bene con il profilo maltato delle Imperial Stout, grazie alle sue note di liquirizia e uvetta.

I fiocchi d’orzo, come sempre, o li uso in dosi significative o non li uso per nulla. Come altre volte mi hanno dato qualche problema in fase di mash, abbassando l’efficienza complessiva. La birra l’avevo pensata da poco più di 9% ABV, ma alla fine devo dire che sono soddisfatto della gradazione che ho ottenuto (anzi, forse è anche meglio).

Ho usato il Perle in amaro perché ne avevo, ma va bene anche un Target inglese. Mi piace aggiungere una piccola dose di luppolo in aroma, in questo caso avevo lo Styrian Fox e l’ho usato. Sulla carta ha un profilo delicato con un leggero tocco di spezie e un fondo di bacca rossa. Ci stava.

Ho aggiunto un po’ di sale da tavola all’acqua, per aumentare le ppm di sodio: un leggero spunto salmastro (molto leggero, a questo livello di ppm) si sposa bene con le note di cioccolata.

Come lievito ho usato il fidato US-05, nella dose massiccia di 4 bustine, reidratate in acqua, per 12 litri di birra.

FERMENTAZIONE

Memore della precedente esperienza, questa volta non mi sono fatto prendere dalla fretta. Ho lasciato anzitutto fermentare per 17 giorni nel fermentatore in plastica, partendo da 17°C e alzando progressivamente fino a 21°C.

Una volta che la densità si è stabilizzata, ho trasferito la birra in un piccolo fusto inox (di quelli Sansone per l’olio) riempito fino all’orlo, dimenticandolo nello sgabuzzino per quasi due mesi. In questa fase non c’è stato bisogno di controllare la temperatura, quella di casa andava più che bene. Nel grafico ho segnato fisso 20°C, ma nella realtà ci sono state piccole oscillazioni di 1 o 2 gradi.

Così facendo mi sono assicurato che la densità raggiunta al momento del travaso (1,025) fosse stabile. È lo è stata. Nel frattempo, la birra ha passato una prima fase di maturazione in fusto.

Anche se non era strettamente necessario, in fase di imbottigliamento ho aggiunto lievito F2 della Fermentis, insieme alla quantità di destrosio calcolata per raggiungere 2 volumi di carbonazione.

ASSAGGIO

L’assaggio descritto nel seguito si riferisce a una bottiglia con due mesi e mezzo sulle spalle. Contando anche il passaggio in fusto inox per 40 giorni, parliamo di una birra con una maturazione di circa quattro mesi. Un buon livello di evoluzione a mio parere per una imperial stout da poco più di otto gradi alcolici.

Per chi fosse curioso, il nome deriva da una via alberata che attraversa il quartiere di Dublino Nord dove ho vissuto per un anno ai tempi degli studi universitari.

ASPETTO Di colore nero intenso, forma un bel cappello di schiuma marroncino. Le bolle sono grossolane in superficie, ma presto si compattano formando un bel cappello di schiuma densa con grana molto fine e lunghissima persistenza.

AROMA Di intensità medio-bassa, ma molto pulito. Arrivano al naso delicate note di caffé con spunti di cappuccino. Sembra quasi di percepire sfumature di latte, affiancate da un leggero cioccolato che gioca in secondo piano. Non spicca per intensità, ma soprende per eleganza.

AL PALATO  Incontra il palato con una buona intensità. Amaro netto ma morbido che si estende in lunghezza e profondità. La corsa inizia con note tostate di caffé e liquirizia che prendono presto le sembianze di latte macchiato, con note dolci che ammorbidiscono la bevuta senza risultare stucchevoli. Il finale è molto lungo, con sfumature retrolfattive di nocciola e caramello. Tostati intensi ma levigati, amaro rotondo e molto lungo.

MOUTHFEEL Corpo abbastanza pieno, carbonazione bassa. Alcol percepibile ma non fastidioso. Astringenza molto bassa, giusta per lo stile. L’impressione generale è di morbidezza.

IMPRESSIONI GENERALI A mio avviso una birra ben riuscita. Non fa certo i fuochi d’artificio, specialmente al naso, ma non è stata progettata per questo. È una birra che riscalda, avvolge ma nel frattempo si lascia bere. Mi ha stupito molto questa nota di latte che la rende ancora più piacevole e morbida. Considerando le percentuali di malti tostati usati in ricetta (siamo al 17% se contiamo anche lo Special B), la morbidezza è notevole. Sono curioso di vedere come evolverà nel tempo, ma già ora è secondo me una gran bella birra.

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Ingegnere elettronico prestato al marketing, da sempre appassionato di pub e di birre (in questo ordine). Produco birra in casa a ciclo continuo dal 2013. Insegno tecniche di degustazione e produzione casalinga. Sono un divoratore di libri di storia e cultura birraria. Dal 2017 sono giudice BJCP (Beer Judge Certification Program). Autore del libro "Fare la birra in casa: la guida completa per homebrewer del terzo millennio"

26 COMMENTS

  1. Ciao Frank,

    innanzitutto complimenti per il blog, sei sempre molto chiaro e preciso; per me un punto di rifemento sicuro nel panorama brassicolo amatoriale (ho acquistato anche il libro…). Mi sono cimentato anch’io in una Imperial Stout che ora matura in bottiglia da circa 100 giorni. Ho usato Maris Otter e Pale 40/40 ed il resto Cararoma, Carafa I e Wheat (niente fiocchi). Approccio “americano” con aggiunta di cheaps in fermentazione e caffè in imbottigliamento, lievito T58 (3 buste) per ABV finale di 11%. Sembra venuta abbastanza bene anche confrontata con prodotti
    “commerciali”. Avrei una domanda riguardo la maturazione in fusto d’ acciaio (che non ho mai fatto): quali vantaggi porta? Trovi che il prodotto finale ne benefici particolarmente rispetto alla maturazione diretta in bottiglia a fine fermentazione?

    Grazie
    Mauro

    • Nessun vantaggio particolare nell’utilizzo dell’inox, nel mio caso lo uso perché in genere faccio cotte da 11-12 litri in un fermentatore in plastica da 16. Il fustino inox è da 10 litri e riesco così a riempirlo fino all’orlo dopo il travaso dal primo fermentatore in plastica, riducendo il contatto con l’ossigeno nelle lunghe permanenze. Ho preferito lasciare parecchio in fusto perché così, come ho scritto, ho potuto accertarmi che il lievito avesse realmente finito di lavorare evitando sovracarbonazione in bottiglia.

  2. Sempre bello leggere i tuoi articoli, detto ciò un annetto fa ho brassato anche io una imperial stout, un po’ più arrogante (10,5 ABV e 22% di malto tostati) , dopo un paio di mesi di maturazione ha tirato fuori sia al naso che in bocca sapore di frutti di bosco abbastanza pronunciati, ho pensato che fosse lo special b (5,3%) visto che la descrizione lo diceva, però ora vedo che anche te stai sul 5%, notato (anche in sottofondo) qualcosa di simile? Anche adesso dopo un anno questi sentori restano presenti nella birra e devo dire che rendono la birra meno stucchevole. Grazie in anticipo

    • Sinceramente ho difficoltà ad associare aromi di frutta rossa alla Special B, ci trovo più uva passa e frutta secca disidratata (dattero, fichi). Difficile poi che si riesca a percepire così netto su un 22% di malti tostati. In genere la frutta rossa (tipo ciliegia sotto spirito) emerge durante la maturazione per ossidazione degli alcoli superiori (e conseguente formazione di aldeidi), ma non so se sia questo il caso. È un aroma che può anche essere piacevole ma è più associato alle Baltic Porter (“vinous Port-like quality”) piuttosto che alle Imperial Stout.

  3. Amo fortemente la versione di ris della Samuel.
    Quando iniziai a brassare le prime ris a lei pensavo sempre.
    E anch’io come te amo le ris con un abv sui 8%.
    Le mie migliori le produssi con quell abv, tra l’altro furono le prime due-tre cotte le migliori, sarà che il ricordo ne aumenta il fascino, non lo so ma poi la persi e non sono più risuscito a ritrovarla mai al 100%…boh.
    Mi incaponii con avena.
    Poi mi son divertito a portare abv ben più in alto, ma con risultati non del tutto soddisfacenti, almeno per me, ad altri piacciono anche, ad alcuni anche molto, ma per me restano meno bevibili…mi stancano in fretta e fatico poi a terminare la bevuta, e bottiglie restano sullo scaffale.
    Il bello o il brutto di sto stile, a differenza per esempio delle dry di cui parlammo…e che vale tudo, e valendo tudo, i sentieri sono molteplici, ed e un attimo perdersi, lo so bene. 🙂
    Felice di vedere che alcuni sentieri che ho percorso io li stai facendo pure tu.
    Il sale…eh…la oyster in fondo mi insegnò pur qualcosina, e poi lo portai nelle mie ris, ma anche dalla dry imparai e provai ad esportare qualcosina ovviamente.
    Ma pure special b….che apprezzo assai.
    Poi come detto qua la cosa e molto più complessa nel suo insieme che in una dry solo per fare un esempio.
    Della foto con bottiglia mi piace la linea perfettamente dritta fra birra e schiuma, perfetta, come deve essere, co2 in eccesso può distruggere totalemente queste birre, come sai meglio di me.
    Anche se sempre da foto si evince che seppur tu abbia mosso qualche obiezione, seppur piccola e decantandone comunque le lodi, alle versioni usa, che sparano a cannone sui tostati, pure tu non ci sei andato molto leggero eh, e si che il bjcp lo conosci meglio di me eh, li parametri ci sono anche….ahahahah
    Ma come detto qua vale tudo…per cui ci sta tutto ci mancherebbe. 😉

    • Effettivamente i tostati non sono così pochi, ma devo dire che il bilanciamento complessivo è abbastanza delicato. 🙂

      • Buongiorno Frank. Col senno di poi, producendola nuovamente questa birra , come modificheresti le percentuali dei malti? ( Ovviamente se le modificheresti…) . Dopo quanto tempo ha raggiunto l’apice della maturazione esprimendo in pieno gli odori e i sapori per cui l’avevi pensata? Tnx

        • Così su due piedi non so, dovrei ragionarci su. A memoria ricordo che entro l’anno di maturazione ha continuato a migliorare, poi mi sembra sia iniziato il declino. Ma poco dopo è finita 🙂

          • Avresti diminuito un po’ la parte tostata? Useresti dei luppoli differenti? Grazie per le dritte e gli spunti.che condividi con tutti. 😉

            • Ti ripeto, non lo so. La birra, come ho scritto, è molto buona. Cambiare luppolo in una imperial stour non ha senso, visto lo scarso contrbuto. Con i tostati si possono fare mille conbinazioni diverse, a seconda di quello che si vuole ottenere.

  4. Sai di preciso quanti grammi/litro di sale da tavola hai aggiunto? E li hai buttati nel mash o in bollitura? Grazie per la risposta e per le innumerevoli testimonianze delle tue cotte!

  5. Ciao Frank, l estratto di malto quando si mette? Prima del mash o dopo? Stessa domanda se volessi usare una percentuale di zucchero nel grist. Prima o dopo il mash?

    • Tecnicamente potresti aggiungerli anche in mash, ma meglio negli ultimi 5-10 minuti di bollitura. Specialmente l’estratto, che con la bollitura tende a scurirsi ulteriormente.

  6. Ciao Frank, complimenti per Brewing Bad!
    Lo leggo sempre con grande piacere ed è per me una risorsa preziosa!

    Volevo farti due domande

    1. Birre col tenore alcolico simile alla Griffith Avenue si possono anche lasciare nel fermentatore di plastica a maturare senza fare nessun travaso per altri 20/30 giorni finita la primaria ?

    Te lo chiedo perchè ho brassato una imperial russian stout simile alla tua Griffith Avenue ( fermentata per 17 giorni nel fermentatore in plastica, partendo da 17°C e alzando progressivamente fino a 21°C) e stavo pensando di farla maturare nel fermentatore di plastica sul lievito per altri 30 gg circa a 10C. Per tua esperienza è fattibile?

    2. In fase di imbottigliamento usando un buon priming e una temperatura di rifermentazione in bottiglia di 24/26 C riesco a far rifermentare una birra con buon tenore alcolico senza bisogno di aggiungere altro lievito?

    Ti ringrazio tanto

    Riccardo

    • 1) eviterei una permanenza senza travaso superiore a 5/6 settimane, anche se non è detto che necessariamente crei problemi
      2) la carbonazione in bottiglia in genere riesce sempre senza aggiunta di lievito. Aggiungerlo aiuta a velocizzarla e a consumare l’ossigeno introdotto nella fase di imbottigliamento. Eviterei di tenerle a temperatura troppo alta, non aiuta particolarmente e accelera evoluzioni organolettiche negative.

  7. Grazie mille Frank!

    1. La permanenza senza travaso di 5/6 settimane è da intendersi in totale, cioè compresa la primaria?
    2. Tu che temperature tieni per la rifermentazione in bottiglia?

    Ti ringrazio.

  8. Ciao, complimenti per la competenza che dimostri nell’affrontare i vari argomenti.
    Ho brassato anch’io una imperial porter e visto che ho avuto in precedenza dei problemi di sovracarbonazione pensavo di fare come te solo che la maturazione devo farla nel fermentatore di plastica da 30 litri (cotta 16 litri).
    Ora pensavo per evitare il più possibile ossidazione è forse meglio fare il travaso prima che la fermentazione sia finita cioè dopo 1 settimana in modo da risaturare il fermentatore?
    Poi la birra resterebbe nell’altro fermentatore per 30/40 giorni.
    Potrebbero esserci problemi?

    • Può essere una soluzione. Prossima volta però procurati un secchio di plastica più piccolo per le maturazioni, da riempire fino all’orlo.

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