Oggi mi sfogo, abbiate pazienza. Mi sfogo perché non ne posso davvero più di leggere di quanto un lievito è veloce o di quanto ha “sdraiato” la vostra birra. Non è utile, non mi interessa, mi annoia a morte.

 Frasi del tipo:

Questo lievito è una spada, s’è magnato pure il fermentatore.

La densità è passata da 1,090 a 1,030 in due giorni! Che lievito!

La mia birra è arrivata a una FG di 1,001, un trattore questo lievito!

Fermentazione super vigorosa, mi è partito il gorgogliatore! Mitico!

Va bene, il lievito si è mangiato tutto il mangiabile. Il lievito è veloce. Il lievito è esuberante. Gran figata. Però, sul serio, che ci dicono queste frasi relativamente al profilo aromatico del lievito? Assolutamente nulla. Aggiungo anche che la velocità di fermentazione è direttamente proporzionale alla temperatura a cui viene fatto lavorare il lievito. Temperature alte aumentano le velocità di fermentazione e probabilmente aiutano il lievito a raggiungere l’attenuazione prevista, ma cosa accade durante il processo?  Quali sostanze vengono rilasciate nella birra? E soprattutto: sono buone?

Raggiungere la FG più bassa possibile non è una sfida. E, soprattutto, non lo è in assoluto. Esistono alcuni stili di birra, come ad esempio le saison e le tripel, che richiedono una certa secchezza finale. Ok, d’accordo, ma non è una caratteristica positiva a prescindere. Una IPA può finire più o meno secca, dipende da come è stata pensata. Una FG bassa deve bilanciarsi con il giusto livello di amaro, altrimenti la birra risulterà stucchevole. 50 IBU non hanno lo stesso effetto su una birra con FG 1,005 rispetto a una con FG 1,012. La prima avrà sicuramente meno corpo e un finale meno dolce, quindi gli IBU si sentiranno di più. Viceversa per la seconda.

Insomma, la FG non è una gara. È un parametro come altri da tenere in giusta considerazione.

Stesso discorso per la velocità di fermentazione. Ci sono lieviti dai profili aromatici interessantissimi che fermentano molto lentamente. Basta pensare al Belgian Saison della Wyeast  (3724), noto per piantarsi alla densità di 1,030 per poi procedere lentamente (moooolto lentamente) fino alla FG desiderata. E allora? Lo buttiamo via solo perché è lento? Certo, magari non è un lievito per tutti, ma con la giusta dose di pazienza possono venir fuori delle birre eccezionali (tra l’altro, si dice sia il lievito utilizzato per la Saison Dupont, la capostipite delle saison).

SniffingPurtroppo, però, in rete le informazioni sui profili aromatici dei lieviti latitano. I produttori si limitano a dire se il profilo è più o meno fruttato (oltre a fornire diversi dati tecnici tipo il livello di attenuazione), ma non si sbilanciano nella descrizione degli aromi perché questi dipendono da moltissimi fattori. Mentre il profilo aromatico del luppolo è in genere ben definito a priori in base alle sostanze che contiene e quello dei malti in base al processo di produzione, per il lievito non è così. Il lievito è un organismo vivente, si comporta e reagisce in maniera differente in base alle condizioni in cui si trova. L’apporto aromatico e gustativo che il lievito dà alla birra dipende fortemente dalla temperatura a cui viene fatto lavorare (non solo quella media, ma anche dalle curve di temperatura), dalla composizione del mosto, dalla sua densità iniziale, dal pitching rate, dalla forma del fermentatore e da tantissimi altri fattori.

Quindi, che si fa? Rinunciamo del tutto alla descrizione e ci affidiamo al caso?

Io dico di no. Noi, nel nostro piccolo, abbiamo provato a dare una descrizione il più possibile dettagliata di alcuni lieviti che abbiamo utilizzato (qui, per esempio, raccontiamo del Belgian Ardennes della Wyeast). E’ chiaro che si tratta di informazioni soggettive e fortemente dipendenti dai parametri al contorno, ma almeno abbiamo tentato di dare qualche informazione in più. Anche Stefano Ricci, nel suo blog LoFi Brews, racconta la sua esperienza con alcuni lieviti, cercando sempre di descriverne, oltre all’attenuazione e alle performance in termini di velocità di fermentazione, anche l’apporto aromatico e gustativo (per esempio, qui parla dell’M44 della Mangrove Jack’s).

Io dico: impegniamoci di più a farlo tutti quanti. Credetemi, non c’è bisogno di nascondersi dietro alla fatidica frase “ma io non sono un degustatore“. Mettere insieme due/tre descrittori aromatici per un lievito non è la fine del mondo. E’ fruttato? Ok. Quale frutta? (banana, pera, pesca). E’ fenolico? In che termini? (pepe, chiodi di garofano, medicinale). Ha tirato fuori polialcoli? (sapore e aroma di solvente o acetone). E’ un inizio. Sempre meglio di inutili gare su chi fermenta più veloce o arriva più a fondo. Interessa poco, veramente (e c’è scritto già sulla confezione).

Uniti ce la possiamo fare.

1 COMMENT

  1. Santo subito! Io stesso ero uno di quelli che stava li a fissare il gorgogliatore manco fosse una reliquia. Poi con il tempo ho imparato a dare più importanza all’odore e alla consistenza del mosto nel cilindro di misurazione che al numeretto che compariva sul densimetro.

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