Generalmente in questo blog trattiamo argomenti più o meno avanzati sull’homebrewing. Non abbiamo mai scritto post tipo “cos’è il luppolo” o “cos’è il malto” perché riteniamo che di fonti informative su queste tematiche base ce ne sono a sufficienza sia sul web che sui libri.
Ci siamo resi conto però che le informazioni sui diversi metodi per la produzione di birra in casa, seppure presenti in maniera diffusa sul web, presentano una vista a volte troppo dettagliata che non permette a chi si avvicina per la prima volta a questo mondo di farsi una idea di massima su quale sia il metodo con cui partire prima di approfondire i vari passaggi. Si dice “meglio partire dal kit”, ma non è necessariamente così. E soprattutto: cosa significa partire dal kit? Quanto si spende?
Per operare una scelta informata e partire con la produzione della birra in casa, riteniamo sia importante anzitutto avere almeno una vaga idea di cosa significhi produrre birra, per poi scegliere il metodo che più si adatta alle proprie esigenze. Perché non si deve partire necessariamente con i kit luppolati, anzi. Alle volte sono una perdita di tempo perché producono birre di basso livello che rischiano di allontanare i nuovi arrivati da questo fantastico hobby.
Cercheremo quindi di dare una panoramica di massima su cosa significhi fare birra e su come la si può produrre in casa. L’intenzione non è quella di spiegare per filo e per segno il processo di produzione né i processi chimici che ci sono dietro, ma solo dare una vista d’insieme. Per quanto riguarda i volumi, faremo riferimento a cotte da 21 litri (da intendersi come quantità di birra finita).
Partiamo da una iper semplificazione del processo, rappresentata nell’immagine seguente:
Tra i diversi metodi per produrre in casa, la vera differenza in termini di costo e impegno la fa la parte a caldo (hot side). La cold side (fermentazione, imbottigliamento, carbonazione e maturazione) viene gestita allo stesso modo per tutti i metodi (sia con estratto che all grain). A meno dei diversi livelli di sofisticazione a cui poi si vuole arrivare (fermentatori in inox anziché in plastica, controllo della temperatura di fermentazione tramite frigo dedicato, etc), l’investimento sostenuto per l’attrezzatura rimane valido anche se a un certo punto si decide di passare a tecniche di produzione più avanzate.
Per la gestione della fermentazione può anche essere sufficiente il classico kit da 60€, tipo questo. Oltre al kit base, è però consigliabile acquistare un fermentatore supplementare (link) per travasare la birra almeno una volta prima dell’imbottigliamento: in questo modo si lascia il residuo di lievito sul fondo del primo fermentatore. Consideriamo quindi un costo di circa 100€ per la gestione di fermentazione e imbottigliamento, comprensivo di una tappatrice a colonna decente tipo questa.
In questo primo post parleremo soltanto dei metodi con estratto di malto, riservando a un post successivo la trattazione dei diversi metodi all grain. Facendo riferimento all’immagine precedente, salteremo la fase di ammostamento e in alcuni casi anche quella di bollitura. Questo riduce molto tempi e costi. Tenete ben presente che nell’ammostamento si utilizzano due macro tipologie di grani:
- malti molto tostati (tipo chocolate, black patent, carafa, crystal), che non contengono amidi nè enzimi. Possono essere semplicemente “ammollati” in acqua calda per recuperare zuccheri fermentabili, colore e aromi.
- malti base o appena tostati (tipo pilsner, pale ale, munich, vienna, fiocchi vari, grano) che contengono principalmente amidi e anche gli enzimi adatti per convertire questi amidi in zuccheri. Questi malti devono essere gestiti tramite ammostamento, ovvero mantenuti a temperature costanti per circa un’ora al fine di permettere la conversione degli amidi in zuccheri fermentabili dal lievito.
Vediamo ora come funzionano i diversi metodi e quanto richiedono in termini di impegno economico. Farò riferimento a un prezzo base, è ovvio che i costi possono facilmente impennarsi se ci si lascia prendere la mano (e spesso succede, credetemi).
Estratto luppolato (E)
E’ il metodo più semplice, quello da cui la maggior parte degli homebrewer muove i primi passi. In questo caso si saltano a pie’ pari le fasi di ammostamento e bollitura. Il produttore le ha già fatte per noi. Teoricamente sarebbe sufficiente aggiungere acqua all’estratto in scatola fino a raggiungere i litri indicati nel kit e partire con la fermentazione. In pratica si riscalda l’estratto in un po’ di acqua e lo si fa bollire per cinque minuti per garantirne la sterilità (una contaminazione andrebbe a rovinare la fermentazione e il prodotto finito). Dopodiché si aggiunge acqua fredda (in bottiglia, sempre per evitare contaminazioni) fino a raggiungere il volume desiderato e la temperatura giusta per l’inoculo del lievito (di solito intorno ai 20 gradi). Da qui inizia la fermentazione, che come abbiamo detto è una fase comune a tutti i metodi.
COSA SERVE: per la bollitura, niente più che una delle pentole in cui fate cuocere la pasta quanto avere a cena sei persone. Il volume di bollitura sarà ridotto così come il tempo di bollitura. Parliamo di far bollire al massimo cinque litri di liquido per cinque minuti. Il resto dell’acqua si aggiunge direttamente nel fermentatore.
QUANTO COSTA: per la bollitura, potete arrangiarvi con quello che avete in casa. Per la fermentazione, come detto nell’introduzione, siamo intorno ai 100€.
RISULTATI: diciamoci la verità: le birre da estratto luppolato sono decisamente mediocri. Se gestiamo bene la fermentazione, a volte sono passabili. Ma insomma, non aspettatevi nulla di veramente memorabile. Consiglio 1: non usate il lievito fornito con il kit, spesso è vecchio e mal conservato. Comprate una bustina di lievito secco a parte per pochi euro, consona allo stile che state producendo (tipo questo, per esempio, ottimo per le American IPA). Consiglio 2: non lanciatevi in pseudo basse fermentazioni (le mitologiche pilsner): richiedono un livello di controllo della fermentazione avanzato. Partite con qualcosa tipo bitter, ipa, pale ale o simili. Otterrete sicuramente risultati migliori. Consiglio 3: a volte il kit prevede l’utilizzo aggiuntivo di zucchero: sostituirlo con estratto di malto secco (tipo questo) migliora un po’ le cose. Essendo l’estratto di malto meno fermentabile dello zucchero, potete regolarvi su un rapporto di peso di 1 a 1,1 (1,1 Kg di estratto secco al posto di 1 Kg di zucchero).
Estratto + luppolo (a volte indicato con E+L)
Una tecnica molto simile alla precedente, solo che in questo caso si fa bollire estratto non luppolato (tipo questo) insieme al luppolo. Di fatto, continuando a prendere come esempio l’immagine di inizio post, saltiamo la sola fase di ammostamento. Questo metodo richiede un’ora di bollitura, per permettere al luppolo di rilasciare la giusta quantità di amaro nella birra. Anche in questo caso si può far bollire solo una parte dell’estratto di malto insieme a una parte dell’acqua. A 5 minuti dalla fine della bollitura si aggiunge il restante estratto di malto per eliminare eventuali agenti contaminanti. L’acqua rimanente (freddata in frigo) si usa per diluire il mosto caldo fino al volume finale. La bollitura parziale evita di dover usare pentole molto grandi e velocizza il raffreddamento che viene fatto aggiungendo semplice acqua semi ghiacciata (senza dover ricorrerre all’utilizzo di serpentine).
COSA SERVE: applicando la tecnica del boil ridotto descritta sopra, niente più che una delle pentole in cui fate cuocere la pasta.
QUANTO COSTA: per la bollitura, potete arrangiarvi con quello che avete in casa. Per la fermentazione, come detto nell’introduzione, siamo intorno i 100€
RISULTATI: più o meno simili al metodo precedente. La bollitura del luppolo migliora un po’ la situazione, ma solo nel caso in cui vogliate produrre birre con una buona componente luppolata sia in amaro che in aroma (IPA, APA). Personalmente, penso sia meglio passare direttamente dall’estratto luppolato al metodo estratto + grani.
Estratto + Grani (E+G)
La caratteristica principale di questo metodo è l’utilizzo, oltre all’estratto di malto e al luppolo, di una piccola quantità di grani per dare alla birra delle caratteristiche specifiche in termini di aroma, sapore e colore. A seconda dei grani utilizzati, bisognerà applicare tecniche differenti. Vediamo.
E + G con steeping: in questo caso i grani (macinati) si lasciano in infusione in un pentolino con un po’ di acqua a 70 gradi per una mezz’ora, in modo da estrarre gli zuccheri e gli aromi che andranno a caratterizzare la nostra birra (per esempio l’aroma di tostato dei malti roasted, tipici delle stout). Successivamente si filtrano via i grani e si recupera il mosto (pensate a un tè) che si metterà successivamente in bollitura insieme all’estratto e al luppolo. Attenzione, non si tratta di un ammostamento: i malti che si utilizzano in questo caso non contengono amidi né enzimi, ma zuccheri. Di fatto si tratta solo di sciogliere questi zuccheri in acqua calda, insieme agli aromi tostati dei malti. E’ importante quindi mettere in steeping (ammollo) soltanto grani che non hanno amidi residui, ovvero tutti i malti crystal (es. carahell, caraaroma, carared, carapils, crystal vari) e i roasted (es. chocolate, black patent, Carafa). Le altre tipologie di malto non sono adatte a questa tecnica poiché contengono amidi che finirebbero nella birra finita (il lievito non fermenta gli amidi).
E + G con minimash: questo metodo simula una mini cotta all grain ed è più complicato perché bisognerà gestire con attenzione la temperatura del pentolino con i grani. Di fatto stiamo facendo un mini-ammostamento con una quantità ridotta di grani, rinforzando il tutto con estratto di malto aggiunto prima della bollitura. Con questo metodo si possono utilizzare anche grani che contengono amidi (quindi i fiocchi, per esempio) o malti tipo munich o vienna poiché nel minimash verrà inserita una piccola quantità di malti base (es. pilsner o maris otter) che contengono gli enzimi necessari per convertire gli amidi (non fermentabili dal lievito) in zuccheri fermentabili. Questa conversione avviene a temperature precise (in un range tra i 64 e i 72 gradi) che devono essere mantenute stabili per circa un’ora. Dopo questo tempo si recupera il contenuto liquido (come nel metodo con steeping) si fa bollire insieme al luppolo e all’estratto. Si tratta di un metodo utile per imparare a gestire l’ammostamento, prima di passare definitivamente al metodo all grain che prevede sostanzialmente le stesse fasi solo in contenitori più grandi e senza l’utilizzo di estratto di malto.
COSA SERVE: se si pratica il partial boil, non serve una strumentazione molto diversa dal kit. Il pentolino si recupera tra gli strumenti che utilizziamo in cucina, mentre per filtrare i grani potrebbe essere utile una piccola grain bag tipo questa (molto simile a una busta per il tè). Se invece si pratica il full boil (ovvero si fa bollire l’intero volume di estratto e acqua) la situazione si complica per due ragioni: in primis, serve una pentola più grande che probabilmente non avrete in casa (volume tipico di circa 33 litri); in secondo luogo, molto probabilmente il fornello di casa non garantirà una bollitura vigorosa il che vi costringerà a spostarvi in terrazzo con bruciatore e bombola. Per raffreddare grossi volumi di mosto vi servirà anche un serpentina perché senza l’aggiunta di acqua fredda sul finale l’unico modo per raffreddare in tempi ragionevoli è una serpentina da posizionare nel mosto a fine bollitura (tipo questa).
QUANTO COSTA: se optate per il partial boil, i costi sono sempre e solo quelli della cold side (i famosi 100€). Al limite, potete acquistare una grain bag ma non è necessaria (e comunque costa 10€). Parliamo quindi di una spesa complessiva intorno ai 110€. Per i primi tempi i grani potete comprarli già macinati, anche se non si conservano molto. Un giorno vorrete un mulino, che può costare nella versione base circa 70€ (link). Parliamo quindi al massimo di una spesa intorno ai 200€. Se invece volete praticare il full boil, i costi si impennano: vi servirà una serpentina per raffreddare il mosto (30€), una pentola più grande (40€) e forse anche un fornello grande per reggere la bollitura (anche se quello della cucina spesso riesce a reggere una bollitura decente di 25 litri di mosto). Si arriva facilmente a spendere anche 300€, ma è tutta strumentazione che poi vi rimarrà per nel caso vogliate passare alla tecnica all grain.
RISULTATI: con il metodo E + G potrete produrre buone birre. In alcuni casi, le birre prodotte con questo metodo sono del tutto comparabili a quelle prodotte con il metodo all grain. Con il partial boil la strumentazione è minima e i vantaggi molti. Il problema del partial boil è che se non si ha una ricetta pensata per questo metodo, fare i conti per determinare le quantità di estratti e luppoli non è banale. In questo caso, fatevi aiutare da software come Brewonline (gratuito) o Beersmith (a pagamento). Se invece volete andare sul full boil, tanto vale passare all’all grain, magari con il metodo BIAB (Brew in a Bag). Ma di questo parleremo nella prossima puntata.
Ottimo articolo, esaustivo e chiaro!
Grazie Mik!
A quando la parte 2 sulla All Grain??
Ciao Pietro, la seconda parte è in corso di stesura. Uscirà a giorni!
Ciao, complimenti per il blog.
Una piccola correzione: dici che si può sostituire 1kg di zucchero con 1,1kg di estratto di malto, ma a me risulta che l’equivalenza corretta sia “1 kg di zucchero = 1,3 kg di estratto secco = 1,6 kg di estratto liquido”
Ciao Lorenzo e grazie per i complimenti! Per i calcoli, ho utilizzato i valori riportati in questa tabella per i potenziali
http://www.beersmith.com/Grains/Grains/GrainList.htm
lo zucchero (table sugar) ha potenziale 1.046 mentre l’estratto di malto (dry malt extract) ha potenziale 1.044. Facendo i calcoli, il valore corretto per ottenere la stessa densità verrebbe in realtà 1,05 Kg di malto al posto di 1 Kg di zucchero da tavola. Ti torna?
Complimenti , i tuoi articoli sono sempre di ottimo livello .
Grazie mille!
Ciao Frank! Complimenti per l’articolo chiaro ed esaustivo.
Riterresti utile nel metodo E+G con minimash fare un “mini batch sparge” invece di utilizzare la grain bag? E di “innaffiare” con acqua a 75 gradi la grain bag se la si usa cosa ne pensi? Entrambi i metodi dovrebbero permettere di ottenere il massimo dalla componente grani in termini di contributo in aromi e colori (anche di efficienza forse) ma poiché il grosso del fermentabile e’ dato dagli estratti, mi aspetterei già un’efficienza comunque molto alta, o sbaglio?).
Esistono formule che permettano di stabilire un rapporto tra grani di malti base e grani con amidi ma senza enzimi nel minimash?
Grazie in anticipo per le tue risposte e di nuovo complimenti per cio’ che fai e scrivi in questo blog.
Ciao Alberto, chiaramente lo sparge si potrebbe anche fare ma, come dici giustamente anche tu, di quanto aumenterebbe l’efficienza complessiva? Credo di pochissimo, quindi non ne varrebbe la pena. Per quanto riguarda la seconda domanda, ti consiglio di leggere questo bell’articolo di Brad Smith sul potere diastatico dei malti:
http://beersmith.com/blog/2010/01/04/diastatic-power-and-mashing-your-beer/
Grazie Frank!
Ciao Frank, tantissimi complimenti per tutto il blog. Davvero chiaro e semplice, ma anche molto completo. Ti chiedo un consiglio: qual è il modo migliore per controllare la temperatura del mosto? Ad esempio, come faccio a sapere se la temperatura è davvero di 70° e come la si tiene costante per 1 ora? Grazie
Ciao Lorenzo, i metodo per tenere la temperatura di mash sono tantissimi. C’è chi semplicemente accende e spegne il fornello, chi mette tutto in un contenitore isolato (tipo termos da picnic), chiude e lascia così per un’ora (la T cade di poco) e chi, come m, si organizza con un controllo automatico tipo questo:
http://brewingbad.com/2013/12/mash-elettrico-con-pid-e-pompa-per-il-ricircolo/