Mi capita sovente di leggere commenti di homebrewer che sconsigliano l’utilizzo di lieviti secchi. Il mantra è più o meno lo stesso: le birre prodotte con i lieviti liquidi sono migliori, è inutile perdere tempo con i lontani cugini disidratati. A volte con il sotteso che chi produce birra con lieviti secchi si posiziona automaticamente a un livello inferiore come homebrewer.
Gli adepti a questa frangia di estremismo brassicolo esortano i neofiti a usare da subito lieviti liquidi, senza considerare gli effetti collaterali che questo approccio può comportare. Non c’è nulla di estremamente complicato nel preparare e gestire uno starter con i lieviti liquidi, sia chiaro, ma bisogna ricordarsi che chi si lancia nella produzione delle prime birre ha già tanti grattacapi per la testa: aggiungere altri elementi di rischio (ovvero cose che possono andare storte durante il lungo e impegnativo processo di produzione) può rendere l’esperienza di produzione faticosa e frustrante. Fare birra in casa dovrebbe essere anzitutto un’attività divertente, commettere errori perché si pretende troppo da subito può portare a risultati deludenti. Meglio essere pratici e realisti e affrontare l’impresa con gradualità.
Quando si valuta una scelta produttiva, è importante considerare lo scenario completo dei rischi e dei benefici. Meglio analizzarli, comprenderli e poi operare una scelta ragionata, piuttosto che fiondarsi in una certa direzione per spirito di emulazione o timore reverenziale nei confronti di chi ti squadra dal basso verso l’alto perché sei un “newbie”.
Cellule in salute
Anzitutto, è bene ricordare che il lievito secco ha il grande vantaggio di conservarsi molto a lungo. Le cellule, una volta disidratate, perdono vitalità molto lentamente. Si tratta infatti di cellule propagate in laboratorio con metodi rigorosi, decisamente diversi dai nostri starter casalinghi. Vengono disidratate nel momento migliore del loro ciclo vitale, quando le riserve di glicogeno, trealosio e steroli sono al massimo.
Glicogeno e trealosio (entrambi zuccheri complessi) costituiscono una riserva di energia interna molto importante per il lievito a inizio fermentazione, quando non ha ancora sintetizzato gli enzimi per consumare gli zuccheri presenti nel mosto. Vengono consumati durante la prima parte della fermentazione, per poi accumularsi nuovamente nelle cellule, raggiungendo di nuovo il picco a fine fermentazione.
Quando facciamo uno starter, glicogeno e trealosio si accumulano durante la fermentazione del mosto, ma se il lievito non viene usato presto (parliamo di giorni) vengono velocemente consumati dalle cellule come riserve di energia mentre entrano nella fase dormiente. Un lievito liquido in busta non avrà quasi mai sufficienti riserve di glicogeno e trealosio, a meno che la busta non sia fresca di giorni. Per questo è bene preparare uno starter quando si usano lieviti liquidi. Sempre per la stessa ragione, è invece controproducente fare uno starter partendo da lieviti secchi. In questo caso le cellule sono già pronte, piene di glicogeno e trealosio: farle passare attraverso una fermentazione non necessaria non fa che portarle in uno stato di salute potenzialmente peggiore di quello di partenza.
Gli steroli servono invece a rinforzare le pareti cellulari. Il lievito è in grado di produrne a sufficienza se nel mosto è presente sufficiente ossigeno. Questo in genere avviene a inizio fermentazione, senza grossi problemi se abbiamo ben ossigenato. Nelle birre ad alta densità l’ossigenazione è meno efficace, specialmente se fatta con metodi casalinghi come agitazione con paletta o scuotimento, perché il mosto è più denso e l’ossigeno fatica a dissolversi. Per questa ragione i lieviti secchi, che se la cavano egregiamente con le proprie riserve di steroli, sono particolarmente indicati per fermentare birre ad alta densità. In alternativa, si può utilizzare la torta di lievito recuperata dalla fermentazione precedente di una birra a bassa OG, da usare possibilmente subito dopo aver imbottigliato la prima birra.
In quanto a “forma fisica”, i lieviti secchi danno in genere una maggiore garanzia rispetto ai lieviti liquidi per la maggiore concentrazione di glicogeno, trealosio e steroli anche dopo mesi dalla data di confezionamento.
Lo starter è davvero efficace?
Premettendo che a mio avviso è sempre indicato preparare uno starter nel caso si utilizzino lieviti liquidi (per le ragioni di cui abbiamo parlato al paragrafo precedente), devo riconoscere che non si tratta del metodo di propagazione ideale per il lievito. Le ragioni sono molteplici, vediamone alcune.
Anzitutto, la fermentazione alcolica non è il processo che il lievito ama di più per moltiplicare la propria massa cellulare. Anzitutto perché genera meno energia per unità di zuccheri consumati rispetto alla respirazione. Inoltre, la fermentazione alcolica produce alcol, un composto non particolarmente gradito al lievito. In queste condizioni, il lievito fatica.
Inoltre, gli starter sono generalmente dimensionati in overpitching, ovvero ci sono molte più cellule per unità di volume e densità rispetto alle condizioni ideali. In questo ambiente i nutrienti scarseggiano (per questa ragione è saggio aggiungerne quando si fa uno starter) e le cellule di lievito si trovano a moltiplicarsi in un ambiente non proprio favorevole: alcol, CO2, scarsità di nutrienti. Durante una fermentazione standard la situazione è un po’ diversa: non ideale dal punto di vista del lievito, ma con un tasso di inoculo adeguato le cose vanno un po’ meglio. Ma nello starter, il lievito fatica.
C’è da considerare poi che è davvero difficile stimare il tasso di crescita delle cellule: è vero che esistono numerosi calcolatori online, ma spesso danno stime completamente differenti l’uno dall’altro. Provate a confrontare il modello con agitatore di Chris White con quello di Braukaiser, la differenza è evidente. Inoltre, la stima sulla vitalità iniziale delle cellule di lievito nella busta è basata su modelli che implicano una conservazione ottimale della confezione, cosa che spesso non avviene, anche solo a causa della parte finale del viaggio, quella dal fornitore di materie prime a casa nostra. Risultato: i tassi di inoculo casalinghi sono quasi sempre stimati con un tasso di errore piuttosto alto. Di meglio non possiamo fare in casa, ma è importante essere coscienti del contesto in cui lavoriamo.
Con i lieviti secchi non si fanno le birre “vere”
Questo è un mito che gira molto online, spesso alimentato da una sorta di orgoglio che gli homebrewer più esperti provano nel mostrare di essere diventati dei birrai seri. Come se usare lieviti secchi fosse denigrante in se’, indipendentemente dalla tipologia del lievito. Questo non è vero, anzi. La qualità della birra prodotta dipende dal ceppo di lievito, dallo stile che si intende produrre e, ultimo ma non meno importante, dal processo di produzione. In molti casi, e non solo quando si è alle prime armi con la produzione casalinga, scegliere un lievito secco porta a risultati migliori. Si evitano starter, si inoculano cellule in forma, si limitano notevolmente le variabili in gioco. La fermentazione è ripetibile, grazie a un tasso di inoculo che, sebbene non facilmente calcolabile (non è ben chiaro quale sia la concentrazione di cellule vive nelle confezioni da 11 grammi dei lieviti secchi) è quantomeno ripetibile: ragionando in g/L (grammi di lievito secco per litri di mosto) si è abbastanza certi di applicare ogni volta lo stesso tasso di inoculo. La vitalità dei lieviti secchi, se utilizzati entro un anno dalla data di produzione, praticamente rimane invariata. In genere si inoculano 0,5 g/L per basse OG (minori di 1.050) e 1 g/L per alte OG. Molto facile. Senza grandi errori di stima.
Che la birra non sia una birra “vera” se non si usa lievito liquido, è discutibile. Il tema non si pone nemmeno, a mio avviso, sugli stili luppolati: il centro di queste birre è il luppolo, il lievito gioca in secondo piano. Con questo non voglio dire che tutti i lieviti cosiddetti “neutri” siano uguali, per carità: alcuni, sebbene neutri nel profilo aromatico, esaltano il malto, altri il luppolo, altri ancora danno quel “quid” in più di corpo. Su questo non ci piove. Ma in una IPA o APA o birre simili di stampo americano, il punto focale su cui concentrarsi è la luppolatura: ossidazione, travasi, tempi e modalità di dry hopping sono fondamentali. Il lievito in questi stili non fa la differenza, un secco come BRY-97 o US-05 vanno più che bene. Senza alcun dubbio.
Già se ci spostiamo in Inghilterra o Irlanda la musica cambia. Da amante delle birre UK credo anch’io che i lieviti liquidi possano fare la differenza, ma è una sfumatura che si apprezza in una fase successiva. Mi spiego. Il contributo del lievito in queste birre è sottile, gestirlo non è affatto facile. Può fare la differenza tra una birra buona e una perfetta, ma con un secco come S-04 (è un gran bel lievito, va solo gestito bene) o un London della Lallemand (ma anche Windsor o Nottingham) si possono produrre ottime Bitter, Stout, Porter, Scotch Ale. Io stesso, che sono appassionato di questi stili, li produco a volte con i liquidi e a volte con i secchi. Dipende. Stout e Porter le ho fermentate anche con lieviti neutri come US-05 e BRY-97, e sono venute molto buone (esempio). Il mio consiglio è di partire con i secchi e concentrarsi sul processo e sugli ingredienti; poi, piano piano, provare anche i lieviti liquidi. Ma in assoluto non direi che non è possibile fare buone birre inglesi senza usare un lievito liquido. Proprio no. Provate a chiedere in giro ai birrai e scoprirete che molte birre inglesi presenti sul mercato (inclusi Barley Wine e Imperial Stout) sono fermentate con lieviti secchi inglesi, a volte addirittura neutri come US-05. Questo è vero soprattutto per le alte OG, dove usare i liquidi diventa veramente complicato e spesso controproducente.
Il Belgio è un campo minato. Qui il lievito è al centro di tutto, difficile lavorare con i secchi. Uno stile che spesso è considerato “impensabile” da produrre con un lievito secco sono le Saison. Se è probabilmente impossibile riprodurre il profilo della Saison Dupont con un lievito secco, c’è da dire che le Saison sono tante e le interpretazioni praticamente infinite. Tra i secchi sono disponibili ottimi ceppi di lieviti Saison “alla francese”, come il Belle Saison della Lallemand e il French Saison (M29) della Mangrove Jack’s. Ho bevuto Saison buonissime fermentate con questi lieviti, che tra l’altro permettono di giocare molto con la luppolatura. Chi sostiene che birre prodotte con i ceppi French non siano vere Saison, sbaglia: non sono Saison Dupont, ma SONO Saison. E spesso anche molto buone. C’è poi il BE-134 della Fermentis, ceppo molto interessante diverso dagli altri due. Lo sto sperimentando in questi giorni e mi sembra molto promettente, con un profilo più aperto rispetto ai classici ceppi French prima citati. Ho assaggiato Saison fermentate con questo lievito e ne sono rimasto positivamente colpito. Insomma, il campo di sperimentazione è vasto: non lasciatevi scoraggiare. Non esiste solo la Saison Dupont.
Spostandoci, sempre rimanendo in Belgio, al di fuori dal mondo Saison, la scelta inizia effettivamente a restringersi. Lieviti secchi decenti per fare Tripel o Strong Golden Ale non ce ne sono, su questo concordo. Si può sperimentare con il T58 della Fermentis per fermentare birre in stile Dubbel, dove il profilo maltato può dare un po’ di supporto. Ne ho bevute di interessanti fermentate con il T58, quindi secondo me l’impresa è fattibile (mai provato personalmente). Qualcosa si può fare anche andando sulle Quadrupel, sempre scure e maltate. Ma Blanche, Tripel e Strong Golden Ale le vedo dure da fermentare con i secchi. Ma non li ho provati tutti, quindi non ci metterei la mano sul fuoco.
Sulle Weizen mi dicono – io non ne faccio, è lo stile che amo di meno – che il WB06 della Fermentis non sia granché, mentre il Munich della Lallemand sembrerebbe comportarsi meglio. Certo, visto il delicato equilibrio in gioco in questo stile, quasi belga nella sua dicotomia tra esteri e fenoli, è probabile che un lievito liquido possa fare la differenza.
In conclusione
Be’, direi che spazio per sperimentare ce n’è molto. Tolto qualche stile molto ostico da replicare con i lieviti secchi, per il resto le strade sono molte. Il mio consiglio è di procedere sempre per gradi, limitando il livello di difficoltà e il numero di variabili in gioco. Gestire i lieviti liquidi non è affatto facile e molto spesso non vale nemmeno la pena. Provare per credere.
Per i lieviti secchi è importante l’idratazione in acqua mezz’ora prima dell’inoculo o si può tranquillamente inoculare direttamente dalla bustina? In rete si legge di tutto e di più. Io capisco che l’utilità dell’idratazione è riportare il lievito disidratato in uno stato “normale” prima di iniziare la fermentazione. Ma non capisco che male faccia al lievito idratarsi già nel mosto. Il rischio è che la fermentazione parta con un pò di ritardo o ci sono altri possibili problemi che giustifichino lo “sbattimento” di pre-idratare con contenitore sterile e acqua prebollita, ecc… Qual’è la tua opinione dall’alto della tua esperienza? Grazie mille
Il mosto, rispetto all’acqua, contiene zuccheri. Questo differenziale di densità tra l’interno e l’esterno della cellula può creare pressione osmotica e distruggere alcune cellule. Questo in teoria, in pratica tante prove empiriche hanno evidenziato che la reidratazione non sembra portare grandi vantaggi. Tuttavia, siccome ci vuole poco a farla con acqua di bottiglia a temperatura ambiente, io la faccio sempre.
Anche per la rifermentazione in bottiglia utilizzi lievito secco reidratato? Se sì, come ti regoli con le quantità, visto che, come dici, i produttori di lievito secco non forniscono dati sulla densità delle cellule di partenza? Grazie!
Trovi tutto qui: https://brewingbad.com/2017/11/imbottigliamento-con-priming-in-bottiglia/
Ciao. Ho letto il tuo libro e mi sono fermato proprio ad approfondire il discorso relativo ai lieviti e al’ossigenzaione.
Avrei un domanda. Nel capitolo dove ne parli dici che con i secchi si potrebbe anche evitare l’ossigenazion del mosto (paletta o ossigeno che sia), magari sfruttando il semplice splash.
E’ corretto?
Per una birra con OG bassa, quindi, possiamo pensare di spostare il mosto nel fermentatore e, raggiunta la T corretta, inoculare il lievito?
Grazie mille!
Corretto. Con alcuni ceppi potrebbe venire fuori un profilo aromatico leggermebte diverso, perchè l’ossigeno regola in piccola parte anche la produzione di esteri. Ma dipende dal ceppo e anche dalla sensibilità personale. Io una spalettata la dò sempre, anche con i secchi 🙂
Ciao Frank, considerando un lievito secco con buona scadenza con OG sotto a 1.050 (le mie non superano i 1.045) e con al massimo 20 litri basta una bustina di 11g? Te lo chiedo nonostante hai ben specificato del 0,5g/L perché per la lallemand è ok una bustina per altri calcolatori ne servono 2. Grazie
Dipende dai ceppi. La Lallemand nella scheda del Koln specifica 1 g/L, mentre ad esempio in quella del BRY-97 indica il range 0.5-1 g/L. Il problema dei calcolatori online è che per i secchi chiedono la densità delle cellule di partenza come dato di input per fare le stime, ma questo è un valore che i produttori di lievito secco non forniscono nelle specifiche. Quindi queste stime che escono fuori dai calcolatori sui lieviti secchi lasciano il tempo che trovano. Nel tuo caso, se usi ad esempio il BRY-97 e la OG è bassa, sarebbero sufficienti 10 grammi di BRY-97 ma servirebbero 20 grammi del lievito Koln.
Io avrei una domanda sul lievito liquido , se lo lascio per qualche giorno in freezer , perché mi sono sbagliata, poi mi accorgo e lo tolgo e metto in frigo, lo fatto morire? Adesso non so se utilizzando , farà il suo lavoro, forse gli ho ammazzato le poche cellule che ha. Forse quando preparo lo starter si possa capire se c’è ancora vita o no?
Congelarlo così com’è non è il massimo (servirebbe aggiungere del glicerolo) ma non è detto che sia del tutto andato. Anche a me è successo una volta: ho fatto uno starter un po’ più abbondante e tutto è filato liscio.
Grazie come sempre🍺😊
Ciao Frank, non ci metto la mano sul fuoco, non crocefiggetemi se sbaglio (quantomeno sulle versioni attuali), ma credo che la Gassa d’amante e la mancina del birrificio del forte, due birre in stile belga bionde di tipo 5 e 7 gradi, siano fermentate con t-58, ora io non sono un esperto di birra belga e non sò fare un confronto stilistico con esempi “made in belgium” di golden/golden strong ale ma le trovo birre ben fatte e con un profilo belga chiodo di garofano/banana che spicca abbastanza, probabilmente pure troppo.
Tutto questo per dire che sono birre da fermentazioni tutt’altro che neutre, prodotte da un birrificio serio, buone e pure medagliate e probabilmente sono prodotte con lieviti secchi.
Non le ho mai bevute, ma so che il birrificio del forte è bravo sulle belghe e mi pare anche che usi lievito secco (ma anche io non ci giurerei). Detto ciò, nessuno dice che il T-58 sia neutro, ma che il suo profilo è spesso un po’ “rozzo”, troppo chiodo e banana per capirci senza molte sfumature intermedie. Almeno così mi dicono (io non l’ho mai usato se non per la rifermentazione della Tripel). Però ho bevuto Dubbel fatte con il T-58 che non erano affatto male. Tripel ancora no, ma sono aperto ad assaggi!
Ciao Frank.
Io nella mia triple uso proprio t58. 😉
Servono alcune accortezze per tenerlo un po’ a bada, vero.
Ma io alla fine ero riuscito a far quadrare il tutto in maniera assolutamente soddisfacente (per me).
Certo ci sono lieviti che richiedono meno accortezze forse, liquidi soprattutto.
Però con lui ci ho combattuto e lavorato per diverse cotte e per tanto tempo, e lo apprezzo per sua rudezza (che si può smorzare).
Profilo acqua in triple e importante assai tra l’altro.
Ed equilibrio e sottilissimo.
Tra l’altro assaggiai in un ben noto pub della bergamasca un esemplare di questo stile (alla spina), davvero ben fatto, c’era il birraio, me lo presentò un mio carissimo amico, ci scambiai due chiacchere veloci, facendogli notare che profilo mi ricordava mia creatura…e mi confermò che anche lui usa quello, con meno accortezze di me tra l’altro, almeno a suo dire…era ben fatta veramente, ora non ricordo ne nome birraio (un ragazzo veramente alla mano) ne birrificio però, ma posso risalirci volendo con qualche ricerca…sai l’età e quella che è…ahahah
E rozzo si, per quello lo adoro, ma si può educare un bel po’ volendo e serve un grist molto adatto, poi oh ci sono strade più semplici di sicuro, ma non hanno suo profilo…per me eh, sia ben chiaro.
Un saluto. 🙂
Ciao, ti seguo da quando ho iniziato con questo hobby poco più di un anno fa, ho sempre usato i lieviti secchi, ieri però aprendo una bustina ho notato che il lievito era di 2 colori oltre al classico beige era anche di un marrone scuro, la fermentazione è partita, secondo ci potrebbero essere dei problemi di salute? Non sono riuscito a trovare nulla riguardo.. Grazie e complimenti per la chiarezza e semplicità con cui scrivi tutti i tuoi articoli!!
Non saprei, non mi è mai successo. Certo non butta benissimo, ma se la fermentazione è partita, ormai segui come va e vediamo.
A titolo informativo ti dico che il produttore , la mangrove jack’s , mi ha fatto sapere tramite mr.malt che il colore dipende dal tipo di nutrienti usati per la propagazione del lievito stesso, a me non convince del tutto, per curiosità e sicurezza credo farò analizzare un campione della birra finita…vedremo
Potrebbe darsi, grazie del feedback!