Giuro che questa è l’ultima ricetta di questa bitter che posterò sul blog. Va bene che è il mio stile preferito, ma qualcuno potrebbe anche essersi rotto le balle di leggere il racconto della quarta versione della stessa ricetta. 🙂 Tuttavia, credo che la storia di questa birra rappresenti un buon esempio di come costruire una ricetta, brassarla, assaggiarla, analizzarla, pensarla di nuovo e rimetterla in produzione. È stato un percorso lungo, iniziato nel 2015 con la prima versione, passato per assaggi, nuove produzioni, viaggi in Inghilterra, riflessioni ed esperienza. Una storia finita bene, tra l’altro in un periodo in cui i viaggi sono un ricordo lontano e bere in casa un po’ di Inghilterra scalda più di un camino acceso.

Ma mettiamo da parte il romanticismo e andiamo sul concreto. Le tre versioni precedenti di questa birra le trovate raccolte in questa pagina del blog (link): partono da una prima versione abbastanza soddisfacente, una seconda piacevole ma con qualche pecca, una terza totalmente sovracarbonata ma di base molto buona, e questa quarta che vi racconto qui oggi. Salto l’analisi e la storia dello stile perché li trovate nei post che vi ho segnalato.

RICETTA

La combinazione dei malti è invariata rispetto alla versione precedente, che aveva l’unico grande difetto di essere carbonata come un razzo da sparare sulla luna. Tuttavia, assaggiandola con calma dopo attenta desaturazione, si era dimostrata una birra valida. Qualcuno non troverà il malto Vienna caratteristico di questo stile perché tedesco, ma secondo me gioca un ruolo essenziale nell’esaltare la base maltata, soprattutto nelle sfumature di toffee e nocciola (maggiori approfondimenti in questo altro post). Del resto, anche guardando indietro alla storia, i tedeschi (nello specifico Anton Dreher, che “inventò” il malto Vienna) impararono le finezze della maltazione e della tostatura dei cereali proprio in UK. È anche probabile che, all’epoca, il malto Pale usato in UK come base delle bitter fosse leggermente più tostato rispetto a quello odierno, lasciando emergere note più vicine a un Vienna che a un Pale Ale dei giorni nostri. Io utilizzo una buona percentuale di Vienna perché ho gradito il risultato, ma di grist per una Bitter se ne potrebbero pensare a decine, anche molto diversi l’uno dall’altro. Basta pensare che c’è chi produce Bitter con il 100% di malto Vienna.

La luppolatura anche è invariata rispetto alla precedente versione. Come sempre mi affido ai due luppoli inglesi per eccellenza, Fuggle e East Kent Goldings. In questo caso ho aumentato leggermente la quantità di Fuggle. Volevo farlo anche nella versione precedente, ma non ne avevo a sufficienza. Niente dry-hopping, anche se è concesso nello stile. Per me rimane una scocciatura (e un rischio di ossidazione) che poco aggiunge a questo tipo di birre.

Cambiato il lievito, come promesso. Sebbene il secco London della Lallemand non mi sia dispiaciuto per niente, volevo provare questo West Yorkshire della Wyeast (WY1469) di cui in molti mi avevano parlato bene.

Invertito il rapporto solfati/cloruri dell’acqua, aumentando questi ultimi per enfatizzare il profilo maltato. Il pH di mash mi è venuto un po’ alto per i miei standard, ma ho preferito non aggiungere altro acido nel mash. Ho preferito intervenire prima della bollitura, portando il pH a 5.2.

FERMENTAZIONE

Prima volta con questo lievito. Ho seguito quindi un profilo di temperatura prudenziale, partendo basso e alzando gradualmente. La fermentazione è finita completamente in una decina di giorni, arrivando alla densità finale di 1,010.

Per essere sicuro di non andare troppo presto in cold crash, ho eseguito parallelamente un test di fermentazione rapida (Fast Ferment Test). È molto semplice: si preleva un piccolo campione del mosto dopo il raffreddamento (sono sufficienti 3o0ml, ovvero poco più di un campione da densimetro), lo si trasferisce in un contenitore e si aggiunge un po’ del lievito che useremo per la fermentazione primaria, cercando di andare in significativo overpitching (con i lieviti secchi è facile, basta pesare il lievito, con i liquidi si va un po’ a naso). A questo punto si mette il campione su un agitatore, a temperatura ambiente, e si lascia lì. L’agitazione, l’overpitching e la temperatura più alta indurranno una fermentazione molto veloce, che in genere termina in due/tre giorni. A quel punto si misura la densità, che sarà quella massima raggiungibile dal lievito con quel mosto. Non è detto che la birra nel fermentatore arrivi esattamente alla stessa FG dato che si trova in condizioni di fermentazione diverse, ma non dovrebbe discostarsi molto. In questo modo avremo una buona indicazione sull’attenuazione massima del lievito. Nel mio esperimento il campione di mosto nel barattolino è arrivato a 1.010 dopo tre giorni, la birra nel fermentatore è arrivata esattamente alla stessa FG al decimo giorno di fermentazione. A quel punto mi sono sentito tranquillo nel procedere con l’abbattimento di temperatura.

Sebbene fino a qualche anno fa la pensassi diversamente, ultimamente ho abbracciato la corrente di pensiero che vede nella limpidezza (non necessariamente totale, ma almeno buona per alcuni stili) una componente importante della birra. Ovviamente non ha lo stesso impatto in tutti gli stili ma, laddove si vuole esaltare il malto nelle sue sfumature più sottili, trovo che una buona limpidezza sia importante. Inoltre, lo affermo con estrema sincerità e consapevolezza, assaggiare una Bitter limpida mette il mio cervello in una sorta di “predisposizione positiva”, ancor prima di arrivare al primo sorso. Chiamatelo bias, polarizzazione, condizionamento, ma esiste e tocca farci i conti. Perché alla fine, nella realtà del pub, nessuno beve birra a occhi chiusi. Ero quindi intenzionato a provare per la prima volta la colla di pesce per pulire meglio la birra.

Nella mia esperienza ho imparato che, pazientando il giusto, tutte le birre più o meno alla fine si puliscono se tenute al freddo. Ma questo, spesso, significa pazientare per diverse settimane, occupando un frigorifero che potrebbe essere utilizzato per altro. La colla di pesce, legandosi alle cellule di lievito, aiuta a velocizzare la precipitazione sia del lievito stesso ma anche del luppolo, che viene trascinato durante la precipitazione sul fondo. Teoricamente, la colla di pesce andrebbe aggiunta a fine fermentazione, prima del cold crash, per farla diffondere meglio in soluzione. Nel mio caso l’ho aggiunta dopo perché a un certo punto mi sembrava che la birra si stesse pulendo bene da sola, ma così non è stato e ho deciso di intervenire. Il dosaggio della colla di pesce (il prodotto commerciale si chiama Isinglass) è di circa 5 ml ogni 10 litri di birra. Si aggiunge al mosto previa diluzione in un po’ di acqua (pre-bollita o di bottiglia). Si potrebbe teoricamente aggiungere tramite bottiglia PET saturata di CO2 connessa direttamente agli attacchi del fermentatore, senza aprirlo, ma ho preferito seguire la via più semplice: ho aperto il fermentatore mentre insufflavo CO2 a bassa pressione nella birra, ho inserito la colla di pesce, richiuso e lasciata aperta la CO2 per un altro paio di minuti sperando di far uscire più aria possibile dal fusto. Un rischio minimo di ossidazione c’è, ovviamente; trattandosi tuttavia di una birra dove il contributo aromatico del luppolo è minimale, l’effetto dovrebbe essere trascurabile se non nullo.

Come al solito, metà birra è stata infustata e carbonata forzatamente, l’altra metà imbottigliata con Beergun, priming in bottiglia (1,8 volumi), aggiunta di lievito da rifermentazione (CBC della Lallemand) e lasciata carbonare a temperatura ambiente per circa 5 giorni. Prima di trasferire in fusto e in bottiglia, ho riportato a temperatura ambiente (o quasi) per diminuire la solubilizzazione dell’ossigeno durante l’imbottigliamento e tappare sulla schiuma, che si forma più facilmente se la birra è più calda.

Nessun travaso intermedio.

ASSAGGIO

Questo assaggio si riferisce a una bottiglia con circa un mese sulle spalle, conservata sempre in frigo a meno dei 5 giorni necessari per la carbonazione, che ha passato a temperatura ambiente (circa 23°C). La versione nel fustino da 5 litri carbonata forzatamente è finita in pochissimi giorni. Non ho fatto test fianco a fianco delle due versioni, ma l’impressione generale è che non ci siano differenze sostanziali nel profilo organolettico.

 ASPETTO  Colore ambrato, buona limpidezza. Forma un cappello di schiuma bianca medio con bolle fini. Ottima persistenza, rimane un velo di schiuma sulla birra fino al termine della bevuta.

 AROMA  Intensità media, svettano note agrumate (arancia, mandarino) accompagnate da sfumature maltate che ricordano la crosta di pane. Un leggero aroma di caramello, tendente al toffee ma piuttosto delicato, accarezza il naso. Fanno da sfondo spunti erbacei e lievi note terrose e di tabacco. Chiudono esteri appena percepibili che ricordano pera e mela gialla. Diacetile assente. Dal mio punto di vista un profilo aromatico ben riuscito per lo stile.

 AL PALATO  Ingresso maltato dove ritroviamo il caramello dell’aroma, stavolta supportato da decise note di miele. L’amaro arriva subito in soccorso, stemperando le note dolci con una sferzata di amaro erbaceo intensa ma allo stesso tempo rotonda che dura fino al termine della bevuta. Nel retrogusto si affacciano note di nocciola e torna il terroso percepito al naso.  Amaro deciso che frena al momento giusto, senza protagonismi, giocando in alternanza alle note maltate durante l’intera corsa gustativa.

 MOUTHFEEL  Corpo leggero ma non acquoso, sensazione morbida sul palato grazie alla bassa carbonazione. Alcol non pervenuto. Nessuna astringenza.

 IMPRESSIONI GENERALI  Sono davvero molto contento di questa birra. Ci è voluto del tempo per arrivare al bilanciamento di tutti gli ingredienti, ma sento di esserci riuscito. Come detto nell’introduzione, questa è solo una delle tante interpretazioni dello stile, se ne possono immaginare molte altre. Di questa birra mi piace molto l’interazione tra malto e luppolo, con le due componenti che si rincorrono senza mai sgomitare per il ruolo da protagonista. L’aroma a mio avviso è centratissimo. Al palato, seppure molto equilibrato, si potrebbe immaginare una carica maggiore di malto, magari alzando un filo le percentuali dei crystal. Però, ripeto, qui entrano in gioco i gusti personali. Il lievito ha lavorato benissimo: quel leggero profilo di esteri è esattamente quello che cerco in una birra inglese. La parte difficile è farlo uscire quel tanto che basta, senza che ti arrivino al naso pesanti aromi di frutta matura. L’alternativa è fermentare a temperatura molto bassa, ma spingersi verso la neutralità del lievito a mio avviso toglie una parte del carattere inglese a questa birra. Carattere che resterebbe, in parte, grazie ai luppoli e al profilo maltato. La modifica di questa ricetta si ferma quindi qui, ma non è escluso che in futuro non provi a fare una bitter un po’ diversa. La Vecchyard è arrivata alla versione definitiva. La rifarò per godermela ancora, visto che me ne è rimasta una sola bottiglia, rigorosamente da mezzo litro.

14 COMMENTS

  1. Ciao frank, consigli l isinglass? È vero che perde di efficacia molto rapidamente? Come lo conservi? Usi anche protafloc in bollitura?

    • Su questa birra l’effetto dell’isinglass sembra essere stato molto buono. Lo sot tenendo in frigo, ma non so dopo quanto perda di efficacia sinceramente, avendolo usato per la prima volt ain questa birra. Sì, uso sempre Protafloc a fine bollitura.

  2. Ciao Frank, sono anch’io un grande appassionato di bitter inglesi e le sto producendo con dedizione da qualche anno.

    Avrei una domanda sulla clarity o limpidezza.

    Ho confrontato le tue voto della Vecchyard ( v3 – desaturata), Vecchyard (v1 – con appena qualche ora in frigo) e la tua ultima Vecchyard (v4) e ho una domanda da porti.

    Secondo te perchè la Vecchyard (v3 – desaturata) e la Vecchyard (v1 – con qualche ora in frigo) dove non hai utilizzato isinglass sono più limpide della Vecchyard (v4) dove invece l’hai utilizzato?

    Te lo chiedo perchè sono stato in Inghilterra e ho bevuto e visto delle ottime bitter prodotte applicando l’Isinglass e sono davvero Crystal Clear, limpidissime.

    A casa come Homebrewer ho ottenuto dei risultati decenti con la gelatina, molto buoni con un cold crash lungo ( 7 giorni) e mi chiedevo se valeva la pena provare ad utilizzare l’Isinglass ( ho letto dei manuali al riguardo e non sembra stabilissimo e facilissimo da utilizzare e richiede diverse prove) o tanto vale in ambito casalingo per ottenere una buona limpidezza fare un bel cold crash ( oltre che, come al solito, prestare attenzione ad una buona attenuazione, ph di mash, hot e cold break, buona salute del lievito, non ossidare la birra ecc ecc) e buona notte?

    Ti ringrazio

    • In realtà la v4 è molto limpida, spesso non è facile far passare la limpidezza dalle foto. La seconda mi venne torbidissima, non ho mai capito perchè. Purtroppo la limpidezza dipende da molti fattori, non è facile ogni volta capire perchè alcune birre vengono più lumpide e altre meno.

      La colla di pesce è molto efficace sul lievito, altri finings lo sono ad esempio sui polifenoli. A ogni modo secondo me il passaggio a freddo alla lunga riesce a pulire la birra nella maggior parte dei casi (7 giorni per me non è tanto, siamo 2-3 giorni in più rispetto al minimo sindacale 🙂 ).

      Credo cmq che pet la prossima bitter riuserò la gelatina, ma stavolta inserendola per bene a caldo per poi fare cold crash.

      Un saluto!

  3. Grazie della risposta Frank.

    E’ vero dalle foto non si riesce mai a capire bene 🙂 e concordo la limpidezza è davvero multifattoriale.

    Una domanda: quando dici ” inserire la gelatina per bene a caldo”, intendi il procedimento di scioglierla con acqua calda e poi metterla nel fermentatore con birra già raffreddata o metti la gelatina nel fermentatore a birra “calda” prima ancora di fare il cold crash? E se si pechè?

    Ti ringrazio!
    Un saluto

  4. Ciao probabilmente hai già risposto a questa domanda… ho guardato diversi commenti ma non ho trovato risposta. Quando scrivi nella ricetta i calcoli per i grammi di luppolo non ho capito come estrapolarli….
    esempio faccio 20 litri di mosto. Quanti Grammi x gettata da bollitura ? E da aroma?
    sapendo che questa ricetta ha 36 ibu.
    60 min 22 ibu… grammi necessari?
    Grazie

    • È scritto sotto alla tabellina dei luppoli nella ricetta. I grammi delle gettate da aroma li calcoli in base ai grammi/litro indicati nella tabellina. A 60 minuti metti tanti grammi quanti ti servono per arrivare agli IBU totali della ricetta in base agli IBU che estrai con le gettate da aroma e agli alfa acidi del luppolo che usi in amaro. Siccome questi sono variabili, non avrebbe senso indicare i grammi a 60 minuti che ho usato in ricetta, perchè dipendono dagli alfa acidi dei luppoli che si usano ogni volta.

  5. Ciao Frank,
    ho notato che appena finita la rifermentazione hai messo immediatamente la birra in frigo, io normalmente quando produco bitter, finita la rifermentazione lascio altri 10-15 a temperatura ambiente prima di mettere in frigo. Vorrei sapere se un maturazione finita la rifermentazione è necessaria oppure no, se si per quanto tempo?

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