Tempo fa mi è capitato tra le mani un luppolo da un nome strano, che non avevo mai sentito prima. Leggendo un po’ online ho scoperto che si tratta di una varietà nata in America, non così nuova a dirla tutta. Nel 2009 è stato lanciato sul mercato dalla Indie Hops nella versione sperimentale, con il nome in codice X-331. Nasce in Oregon da un’impollinazione “wild” di una pianta di Perle, un luppolo di origine Europea. La versione sperimentale è piaciuta così tanto che nel 2011 la nuova varietà inizia ad essere coltivata in modo intensivo. Prende il nome commerciale di Strata e i birrai cominciano a utilizzarlo nelle loro IPA, e non solo. Devo ammettere che non ne avevo mai sentito parlare fino a pochi mesi fa.
Tra i vari descrittori che si trovano online, ricorre spesso un “dank” senza derive spiacevoli verso i vapori di un motore diesel (incredibile, ma capita). Per chi non lo sapesse, per “dank” si intende il sentore dell’erba – ma dell’erba vera, la maria per intenderci. Il descrittore che ho trovato su Kegerator mi ha entusiasmato e ho deciso di provare questo luppolo, da solo, in una IPA: “passion fruit meets pot“, ovvero il frutto della passione incontra l’erba (l’erba, non l’erbaceo… insomma: ci siamo capiti).
Visto che c’ero, ho deciso di buttare dentro anche un nuovo lievito, mai provato prima. Si tratta del Verdant IPA della Lallemand, isolato nel celebre birrificio della Cornovaglia (che ebbi la fortuna di visitare l’estate prima della pandemia), famoso per le sue IPA in stile New England. Il birrificio ha una piccolissima ma bellissima taproom vicino al mare, nella piccola cittadina di Falmouth, che consiglio a tutti di vistare appena si potrà tornare a viaggiare. Il lievito è particolarmente indicato per produrre NEIPA, ma io ho provato a farci una IPA “standard”.
Il nome di questa birra l’ho scelto in onore di una delle mie serie TV preferite: IT Crowd. Nello specifico, Reynholm Industries è la folle azienda guidata da Denholm Reynholm, nella foto qui sotto, interpretato dal poliedrico Chris Morris. Nel reparto IT della Reynholm Industries lavorano Moss e Roy, coordinati dalla mitica Jen. Se siete dei nerd e non avete mai visto la serie, avete dei problemi. 🙂
RICETTA
Nulla di particolarmente fantasioso per questa ricetta. Malto Pilsner come base per una struttura maltata esile e snella, supportato da un tocco di Carabelge (dovrebbe essere la versione della Weyermann dell’Aromatic, che uso spesso al 2-3% per un filo di colore e un leggero spunto maltato). Destrosio al 5% per snellire leggermente il corpo e facilitare la bevuta. L’idea era di produrre una birra da 8% ABV partendo da OG 1.078, ma un’efficienza minore del solito ha limitato la OG a 1.072. Con la rifermentazione dovrei essere arrivato a 7.8% ABV, mentre la versione carbonata forzatamente si è assestata al limite basso dello stile in termini di alcol. Poco male.
Come acqua di base ho scelto la Sant’Anna, molto povera di sali ma anche di bicarbonati, a cui ho aggiunto solfato e cloruro di calcio per spingere sui solfati, ma senza esagerare. Non amo i solfati troppo alti, specialmente se la birra è alcolica a ha un amaro deciso.
Luppolatura. Anche qui, sulla carta tutto piuttosto semplice. Avrei aggiunto più luppolo – forse – se ne avessi avuto, ma la bustina di Strata era da 100 grammi e mi sono adattato a quello che avevo. Gli IBU mancanti per arrivare al target li ho raggiunti con la gettata di Moutere a 60 minuti. Le altre due gettate sono a 10 minuti, per aroma e un pizzico di flavour, e in hop stand, ovvero a fiamma spenta dopo aver raffreddato il mosto a 75°C, per limitare l’estrazione di amaro. Non faccio whirpool con il mio sistema, per via della serpentina a immersione e delle resistenza sul fondo della pentola di bollitura che complicano le operazioni e ne limitano l’efficacia (sifono dall’alto a fine raffreddamento, la torta sul fondo non mi crea problemi anche se non è concentrata al centro della pentola).
Il luppolo in dry hopping l’ho aggiunto dopo la fine della fermentazione, aprendo semplicemente il keg e tirando dentro i pellet. Ho usato il coperchio del keg con un terzo attacco (questo, che in genere si usa per la carbonazione forzata con diffusore inox), in modo da averne tre in totale: uno collegato alla sfera inox che pesca il mosto dall’alto (per far uscire la birra dal keg senza pescare i depositi sul fondo); un secondo, quello sul tappo del keg, senza alcun tubo interno, a cui ho attaccato esternamente il blow-off; un terzo collegato allo spinone (il tubo inox che arriva sul fondo del keg), tramite il quale insufflare CO2 all’occorrenza. Quest’ultimo collegamento mi è stato molto utile in tre fasi:
- durante il dry hopping ho insufflato CO2 a bassa pressione (3-4 psi) in modo da avere un flusso di CO2 in uscita dal keg mentre aprivo il coperchio e buttavo dentro i pellet, limitando l’ingresso di ossigeno. Dopo aver richiuso il keg, ho continuato a insufflare CO2 per un minuto circa, per favorire la fuoriuscita di eventuale ossigeno dal blow-off, insieme al flusso di CO2.
- dopo il dry hopping, per un paio di volte a distanza di 48 ore, ho insufflato CO2 dal tubo che arriva sul fondo per smuovere il luppolo e rimetterlo in circolo, favorendo l’estrazione degli oli
- a fine fermentazione, per rimettere in circolo il lievito quando la fermentazione aveva rallentato troppo. Questo non era previsto, ma è stato comodo.
Uso luppolo libero in pellet per il dry hopping nel jolly keg. Questo rende impossibile prendere misure di densità prima del cold crash, a causa dei pellet che rimangono in superficie. Poco male, non trovo particolarmente utile prendere campioni di densità in questa fase. Dopo il cold crash i pellet si depositano tutti sul fondo eliminando qualsiasi problema di spillatura dal tubo collegato alla sfera galleggiante.
FERMENTAZIONE
Prima volta che usavo questo nuovo lievito secco della Lallemand. Ho inoculato a 18°C lasciando libera la salita fino a 19°C, temperatura alla quale il mosto è arrivato non appena sono iniziate a uscire le prime bolle, dopo meno di 24 ore. È partito con una discreta vivacità, almeno a giudicare dal ritmo delle bolle che uscivano dal blow-off. Dal quarto giorno il ritmo delle bolle ha iniziato a rallentare. Al settimo giorno si erano quasi fermate del tutto, così ho misurato la densità, convinto di trovarla a FG. E qui la sorpresa: dopo sei giorni era ancora a 1.030. Cercando di frenare l’ansia, ho iniziato a fare quello che consiglio sempre di fare: alzare la temperatura e aspettare. Inoltre, grazie alla presenza dello spinone del keg, ho sparato diverse volte CO2 sul fondo per rimettere in circolo il lievito. Odio aggiungere altro lievito per terminare la fermentazione, la trovo una pratica barbara (stress del lievito inoculato, ingresso di ossigeno) e se posso la evito. Dopo altri 4 giorni la densità è scesa a 1.022, mi sono tranquillizzato.
Al 14esimo giorno ho dovuto togliere il fermentatore dal frigo (dove ho anche la cintura di calore) perché mi serviva per un’altra birra. La temperatura è scesa a quella ambiente e ne ho approfittato per fare dry hopping. Non ho più potuto misurare la densità, ma mi sono fidato. Ho lasciato 4 giorni ancora a temperatura ambiente e poi cold crash lungo a temperatura molto bassa, per cercare di pulire il più possibile.
Prima di infustare e imbottigliare ho riportato la birra a temperatura ambiente, per stimolare la formazione di schiuma (a freddo se ne forma molto poca) e tappare le bottiglie sulla schiuma, per ridurre l’ossigeno in bottiglia. Quando ho misurato la densità in fase di imbottigliamento, era a 1.014 con l’80% di attenuazione. Direi che è andata bene.
Da quello che ho letto in rete sembrerebbe che questa fermentazione lenta con il Verdant sia capita solo a me. Non so spiegarmi bene perché: il tasso di inoculo era abbondante (1,4 gr/L), le bustine di lievito nuove. Forse la presenza di destrosio? Mi sembra strano, visto che era solo al 5%. Poco male, nel complesso è andata bene.
Imbottigliamento e infustamento. Come al solito ho imbottigliato metà cotta con la Beergun della Blichmann, aggiungendo lievito a rifermentazione (F2 della Fermentis) e zucchero con una siringa in ogni bottiglia al momento dell’imbottigliamento. L’altra metà è finita in un fustino da 5 litri dove è stata carbonata forzatamente. La procedura che seguo per carbonare forzatamente è semplice:
- con il fustino nel frigo (in genere a 5°-6°C) insufflo CO2 con la bombola fino a 30 psi, stacco e lascio riposare (stacco perché mi è successo un paio di volte di avere perdite che mi hanno svuotato completamente la bombola durante la notte, per fortuna erano bombole piccole di Sodastream). Con la pressione a 30 psi è facile avere perdite, anche con gli allacci John Guest.
- controllo la pressione con un manometro il giorno dopo, se è scesa (dopo il primo burst di CO2 lo è sicuramente) rimetto a 30 psi
- ripeto questa procedura due/tre volte, fino a quando vedo che la pressione del fusto inizia a scendere più lentamente a bombola staccata.
- A questo punto collego la bombola e imposto il riduttore di pressione alla giusta pressione per la carbonazione che voglio raggiungere. Ogni notte, prima di andare a dormire, stacco comunque la bombola dal fusto per sicurezza.
Con questo procedimento in genere la birra è carbonata nel giro di 3-4 giorni. Per un volume maggiore, probabilmente ci vuole più tempo.
ASSAGGIO
Questo assaggio fa riferimento a una bottiglia con birra rifermentata a 20 giorni dall’imbottigliamento. Le bottiglie sono rimaste sempre in frigo dopo i circa 5 giorni a temperatura ambiente necessarie per la rifermentazione. Non ho fatto assaggi comparati alla cieca, ma devo dire che non ho notato particolari differenze, né nell’aspetto né nel profilo organolettico, tra la versione carbonata in fusto e quella rifermentata in bottiglia. Se ci sono differenze, sono davvero molto sottili.
ASPETTO La birra è venuta piuttosto velata. Non la definirei proprio torbida – ci si vede attraverso nella pinta americana se si avvicina il dito all’altra parte del bicchiere – ma la velatura è significativa. Se questa sia dovuta al lievito o a polifenoli e proteine è difficile dirlo. Certo un lievito da New England IPA Come il Verdant potrebbe rimanere in sospensione più a lungo; il fatto che dopo 10 giorni di cold crash e 15 giorni di frigorifero la velatura sia ancora importante mi fa propendere per i polifenoli da luppolo come elemento principale in sospensione nella birra. L’aspetto è comunque piacevole, anche se ricorda più una NEIPA: giallo dorato carico, brillante, senza sfumature rosa o grigiastre tipiche dell’ossidazione. Schiuma bianca, fine (si compatta molto bene dopo averla versata), persistente. Bella, ma l’avrei preferita più limpida, sono sincero.
AROMA Abbastanza intenso sebbene non esplosivo, ma per una Double IPA ci sta. Molto fresco e piacevole, con gli agrumi in primo piano (principalmente limone e pompelmo), accompagnati da una nota dank erbacea molto interessante. Sullo sfondo frutta tropicale, passion fruit su tutto, ma anche qualcos’altro tipo mango o litchi. Un leggero aroma resinoso, molto moderato, aleggia in sottofondo. Naso davvero fresco e pulito. Difficile dire dove finisca il contributo del lievito e inizi quello del luppolo, ma nel complesso trovo una buona stratificazione aromatica e una discreta complessità.
AL PALATO Ingresso decisamente agrumato, con pompelmo e limone che monopolizzano la corsa gustativa nelle fasi iniziali. L’amaro arriva subito intenso ma morbido, accompagnando una virata che si sposta sulla frutta tropicale, con note di litchi e passion fruit. Uno spunto di dolcezza fa capolino a metà bevuta (crema?), per poi lasciare spazio nuovamente all’agrumato e al tropicale che tornano nel retrolfatto, dove si percepisce anche uno sbuffo balsamico.
MOUTHFEEL Corpo medio, carbonazione media. Le bottiglie sono leggermente più carbonate del fusto. Potrebbe essere dovuto all’hop creep, ma anche al fatto che in fusto tendo a carbonare meno per evitare eccessiva formazione di schiuma durante la spillatura. Nessuna astringenza, il calore alcolico è lievissimo e coerente con la gradazione. Nessun bruciore al palato né in gola.
CONSIDERAZIONI GENERALI Sono piuttosto soddisfatto di questa birra. Difficile stabilire dove finisce il contributo aromatico del luppolo Strata e dove inizia quello del lievito Verdant IPA, ma l’abbinata risulta vincente. L’amaro è deciso ma piuttosto morbido, la birra si beve molto velocemente nonostante il tasso alcolico e il livello elevato di amaro. Si poteva ovviamente osare un po’ di più con l’intensità aromatica, ma devo dire che la luppolatura è venuta bene. Non sempre più luppolo si traduce in più aroma, anzi. Ho imparato che con il dosaggio del luppolo varia molto anche la resa aromatica, cambiano i composti che finiscono nella birra variando il profilo organolettico non solo in intensità. Una dose di luppolo in dry hopping sopra i 4-5 g/L tende a far uscire maggiormente le note balsamiche e resinose, a discapito di quelle fruttate. Il che può essere anche una scelta, per carità. Un dosaggio eccessivo può anche generare il cosiddetto “effetto pellet”, ovvero quell’aroma che ricorda il pellet di luppolo, con le sue note vegetali, piuttosto che la frutta.
Ricetta che andrebbe provata con un altro lievito, magari più flocculante, per valutare l’impatto sulla torbidità e sull’aroma. Comunque molto buona, la sto bevendo con gusto.
Ciao Frank! Grazie per l’articolo, non appena riesco a svuotare il freezer proverò questo Strata! Io il Verdant lo ho usato 3 volte e ho sempre osservato lo stesso rallentamento nella seconda metà della fermentazione, anche quando ho usato il lievito da top cropping con starter. Non sono mai arrivato oltre il 73% di attenuazione apparente, ma è anche vero che non ho mai aspettato più di 10 giorni prima di fare il cold crash. Hai per caso fatto un fast ferment Test per questo lievito?
Ciao Fabio, mi era sfuggito questo commento! Si, avevo fatto il Fast Ferment test, motivo per cui ho atteso tutto questo tempo visto che la densità non scendeva. Il fast Ferment è arrivato a 1.012, un paio di punti sotto alla FG della birra.
Questa è una ricetta che devo assolutamente provare dal momento che non ho mai fumato! 😂
Sul fatto che il lievito abbia rallentato mi chiedo se non sia dovuto allo stress che deve sopportare per un mosto ad alta OG e in più con un’aggiunta (glucosio). Magari ossigenazione del mosto e aggiunta di nutrienti per lievito avrebbero aiutato a evitare questo leggero stallo?
Anche il tasso di inoculo potrebbe influire sulla fermentazione: tu hai usato 1,4 g/L , ma secondo i vari programmi per calcolare il Pitch Rate abbiamo:
Per Brewer Friends un mosto OG 1,074 con impostato Pro Brewer 1,25 (High Gravity Ale) mi da 22,5 miliardi/L (quindi 2,2 g/L di lievito secco).
Per il Tool di Lallemand, stesse condizioni e con lievito Verdant IPA, mi da 0,8 g/L. Mi sembra una differenza notevole… Quale sarebbe quindi la concentrazione di inoculo ottimale?
Sul tasso di pitching per i secchi il calcolatore di brewers friends è ormai datato, meglio fare riferimento ai dosaggi indicati dal produttore.
L’ossigenazione non è indispensabile sui secchi, ma avrebbe potuto aiutare. Anche i nutrienti non sono essenziali, ma a queste densità anche avrebbero potuto aiutare. Alla fine comunque è andata bene.
La percentuale di glucosio è abbastanza bassa, ma avrei potuto aggiungerlo con dry hopping, come ormai faccio sempre.