Era da tempo che volevo cimentarmi di nuovo nella produzione di una Porter. Fu la prima birra che produssi con il mio amico Simone all’inizio del progetto Brewing Bad (quando eravamo ancora in due). Correva l’anno 2012, la ricetta era presa da Birramia. La riproducemmo una paio di volte con qualche modifica, fino a sfiorare il podio (arrivammo quarti per un pelo) in un concorso con un’altra ventina di birre (in gara c’era anche Umberto Calabria, fondatore e birraio di Jungle Juice). Da allora i miei sforzi nella gestione dei malti torrefatti si sono concentrati su altri stili scuri, come Stout, Extra Stout e una luppolata American Porter.

La Robust Porter di cui parlerò in questo post, bevuta per lo più durante l’ultimo lockdown che si è protratto fino a Pasqua, è dedicata a un bellissimo viaggio fatto nel 2011 con due cari amici. Dopo diversi anni in giro per l’Irlanda tra luoghi iconici come Galway, Dingle, i laghi di Killarney, Cork e Kilkenny, abbiamo deciso di concederci qualche giorno nell’estremo Nord della Repubblica Irlandese. Nello specifico, abbiamo scelto il promontorio estremo dell’Irlanda nel Donegal, chiamato appunto Malin Head.

Abbiamo soggiornato diversi giorni in un ostello senza fare nulla di particolare, semplicemente leggendo, passeggiando, bevendo e chiacchierando. Ricordo feci anche una bellissima corsa da solo lungo tutto il promontorio, un’emozione difficile da dimenticare.

Questa birra è dedicata a quel viaggio, ai miei amici e alla voglia di tornare in Irlanda. Purtroppo, essendo in pieno lockdown, non ho potuto raggiungere la mia cartoleria di fiducia e l’etichetta me la sono dovuta stampare da solo a casa, in bianco e nero.

Vista dal Sandrock Hostel, Malin Head, Aprile 2011

LO STILE

Questa volta ho scelto come riferimento uno stile improvvisamente scomparso dalle linee guida del BJCP nel 2015, le Robust Porter. Una scelta, quella del BJCP, che stento a comprendere. Sono infatti rimaste le English Porter (stile 13C delle linee guida 2015), ma se il grado alcolico sale sopra i 5,4% ABV la English Porter attraversa di colpo l’oceano spostandosi in America (American Porter, stile 20A nel BJCP 2015). Tutto ciò ha poco senso a mio avviso, anche perché le Robust Porter erano ben definite ed esistevano nell’edizione precedente del BJCP, quella del 2008.

Immagino che la spiegazione sia la solita, ovvero quella elaborata per le Imperial Stout finite sotto la sezione American: le Porter inglesi sono poco alcoliche, le versioni più alcoliche sono state rilanciate dagli americani, quindi ce ne riappropriamo. Effettivamente, leggendo attentamente la descrizione dello stile American Porter, si evince che il tratto caratteristico di questo stile non è la luppolatura americana, ma l’espressione torrefatta dei malti, proprio come nelle Robust Porter ormai sparite dal BJCP.

Detto ciò, io – come molti altri – continuo a chiamarla Robust Porter. Anche perché sono piuttosto convinto che molti bevitori (ma anche giudici) si aspettano almeno un accenno di luppolo americano da una American Porter, sebbene nelle linee guida l’aroma luppolato sia descritto come “low to high, often with a resiny, earthy, or floral character“. Quindi non è detto che ci sia, che sia preponderante o per forza da luppoli americani.

Le Robust Porter rimangono nelle linee guida della Brewers Association, ma la descrizione è laconica e sintetica come accade sempre per questo manuale orientato soprattutto ai concorsi dedicati ai birrifici e non agli homebrewer.

Photo by Stefan Grage on Unsplash

RICETTA

Le Porter sono senza dubbio tra gli stili di birra in cui il birraio ha la più ampia libertà di interpretazione e di scelta degli ingredienti. Possono essere morbide e tendenti al dolce ma anche piuttosto amare e tostate. Lo spettro organolettico spazia tra gli aromi più svariati: nocciola, caramello, mou, liquirizia, cioccolata, caffè e tutte le sfumature tra gli estremi. Quando qualcuno mi chiede quale ricetta usare per una birra “svuotadispensa”, rispondo senza esitazione: fai una Porter.

In questa birra ho preferito focalizzarmi sul range intermedio di tostatura, usando significative quantità di malto Crystal e Amber. Quest’ultimo è vicino a un crystal, ma dovrebbe essere tostato per lo più in forno (nel kiln) e quindi accentuare gli aromi delle note di Maillard (panificato, crosta di pane) oltre al caramello.

Come malti roasted ho scelto il Chocolate affiancato dal Pale Chocolate, per testare con mano la combinazione di queste due tipologie di malto. Niente Roasted Malt né Black Patent.

Luppoli inglesi, con un tocco di Fuggle in aroma per dare complessità. Lievito neutro della Mangrove Jack’s. In genere trovo i lieviti neutri piuttosto adatti alle Porter perché non interferiscono con la complessità dei malti. Tenore alcolico da Robust Porter. Lievito probabilmente in leggero overpitching ma una busta mi sembrava poca e con la metà che mi sarebbe avanzata dall’utilizzo di un’altra mezza busta non avrei saputo cosa farci (oltre ad usarne un po’ per il Fast Ferment Test, vedi più avanti).

Acqua osmotizzata rimescolata con acqua filtrata di rete e poi modificata con aggiunta di sali per arrivare a un livello di cloruri sostenuto e più alto dei solfati, per accentuare la morbidezza del malto.

FERMENTAZIONE

Non ho reidratato il lievito ma, come già scritto, sono andato in overpitching. Inoculato a 19°C, ho messo in frigo e impostato il termostato a 18°C, temperatura a cui il mosto è arrivato dopo qualche ora. La mattina successiva all’inoculo c’erano già le prime bolle. Al terzo giorno è fuoriuscita schiuma dal blow-off, nonostante avessi solo 12 litri di birra in un fusto da 19 litri.

Dopo 4 giorni di fermentazione l’attività dal gorgogliatore era terminata. Al settimo giorno ho misurato la densità: 1.012. Nel frattempo il Fast Ferment Test era sceso proprio a 1.012, segno che la fermentazione era giunta a compimento con un’attenuazione del 78%, abbastanza in linea con le specifiche del lievito considerando che in ricetta ci sono oltre il 20% di malti speciali.

Metà batch è stato infustato e carbonato forzatamente, l’altra metà imbottigliato con Beergun e rifermentato. Ho aggiunto lievito CBC della Lallemand per velocizzare la rifermentazione (0,03 g/L, reidratato).

ASSAGGIO

L’assaggio descritto nel seguito è di una bottiglia con circa due mesi e mezzo di maturazione alle spalle, mantenuta a temperatura ambiente (circa 20-22°C). Rispetto alle prime bottiglie aperte e alla versione in fusto – consumata in un paio di settimane – ho notato un maggiore equilibrio tra le vari componenti aromatiche. Anche bevuta giovane non era male, la differenza non è enorme ma secondo me siamo ancora nella curva di miglioramento. Nulla di eclatante, ma in generale ho notato una maggiore armonia nel profilo organolettico.

 ASPETTO  Schiuma beige, bolle medio/fini. Forse la schiuma è un filo troppo ampia per lo stile, tuttavia si assesta velocemente comprimendo le bolle che diventano più fini. Un velo leggero si mantiene sulla birra per tutta la bevuta. Il colore è mogano con bellissimi riflessi ramati. Siamo al limite basso per il colore, ma ancora nel range.

 AROMA  Aroma di media intensità, piacevole e pulito, dominato dal malto. I tostati non emergono con particolare intensità: si avverte un profilo tenue di caffè e cacao, senza strafare. Buona la complessità, con venature che spaziano dalla nocciola alla liquirizia dolce, intervallate da sbuffi di caramello e frutta secca dolce. Qualche nota di pane tostato in sottofondo. Non si avvertono esteri fruttati derivanti dalla fermentazione. Un aroma netto, non esplosivo ma ben delineato.

 AL PALATO  Entra dolce, con predominanza di toffee/mou. Arriva subito in soccorso una sferzata di amaro e tostato che evita la deriva stucchevole. Acidità moderata, amaro che lascia subito spazio a un retrolfatto di buona intensità con note terroso, di nocciola e ancora mou/caramello. Sul finale fanno capolino anche delle interessanti note di cacao in polvere e caffè. Nel complesso più dolce che amara, ma mai stucchevole.

 MOUTHFEEL  Carbonazione media, corpo snello ma non watery. L’alcol non si sente per nulla, forse addirittura troppo poco per la mia idea di Robust Porter. Astringenza assente, si presenta molto morbida sul palato.

 CONSIDERAZIONI GENERALI   Leggermente diversa da come me l’aspettavo. Non ho calcato la mano sui malti roasted, in effetti, che si mantengono al 10%, di cui un 4% di Pale Chocolate, decisamente meno intenso rispetto a un Black Patent. Tuttavia il risultato è molto interessante: la birra è piuttosto complessa nella sua semplicità di bevuta.  È una Porter con una decisa sferzata di caramello e mou: può non piacere, ma è nelle corde dello stile. Alla fine queste note dolci sono ben bilanciate e la bevibilità è estremamente buona. Per rientrare meglio nello stile la prossima volta aggiungerei un po’ di Black Patent o lo sostituirei al Pale Chocolate, riducendo al contempo l’Amber o il Crystal. Il lievito ha fatto un buon lavoro, il Fast Ferment Test mi ha messo al sicuro dalla ripartenza in bottiglia nonostante i soli 13 giorni nel fermentatore.

Se la dovessi presentare a un concorso, non credo la iscriverei come American Porter (BJCP) o Robust Porter (BA). Non ha l’intensità dei tostati né il leggero calore alcolico che uno si aspetterebbe da questo stile. Forse se la caverebbe bene come English Porter, dichiarandola al limite alto del range alcolico ovvero 5.4% ABV. Tra l’altro, mezzo grado di errore nell’ABV è concesso anche ai birrifici da un punto di vista legale 🙂

5 COMMENTS

  1. Ciao Frank, complimenti.
    Una domanda, imbottigliando con beergun per rifermentare in bottiglia, quando hai inserito il lievito idratato?
    Subito all’inizio, insieme al priming oppure alla fine dopo il jetting co2?
    Ho questo dubbio…
    Grazie

  2. Ciao Frank
    Un post sulla porter è come un bel massaggio massaggio cardiaco. Questo perchè mi sento circondato dalle spremute di luppolo americano che vorrebbero chiamare birra. Prima o poi scriveranno IPA anche sulle casse da morto.
    Non ho nulla contro lo stile IPA o le PA che apprezzo anche, nella loro forma British. E’ che c’è una eccessiva americanizzazione anche della birra (vedi American Porter!!!). Proprio stamani, infatti, navigando sul sito della Shephered & Neame, un birrificio inglese che si vanta di essere il più antico d’Inghilterra, tra le birre ho notato una soverchiante maggioranza di birre definite Americane. Addirittura una Italiana (fatta insieme alla Mezzopasso).
    E pensare che ero andato sul sito per cercare di comprare qualche bottiglia Double Stout, buonissima, che avevo bevuto a Manchester e di cui ero riuscito a portarmi due bottiglie a casa.
    Per farla breve mi sembra che ci sia troppa americanizzazione e poca ricerca del locale.

    E per chiudere una domanda tecnica: perchè 45’ di mash?

    P.s. quando vuoi andare a correre sul promontorio, io ci sono sempre! 😀

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