Qualche tempo fa provai a cimentarmi nella produzione di questo stile, con risultati soddisfacenti sebbene non entusiasmanti (link). Venne fuori una birra tutto sommato piacevole, priva di grandi difetti che però non mi convinse appieno. Mi riproposi di tentare di nuovo, ma per molti mesi ho rimandato, frenato dai lunghi tempi di lagerizzazione che questo tipo di birra richiede per arrotondarsi e armonizzarsi. Prima dell’estate ho colto l’occasione e l’ho prodotta di nuovo, approfittando della pausa estiva e del frigorifero libero per lasciarla maturare al freddo un paio di mesi. Il risultato è stato decisamente migliore.

LA RICETTA

Per i dettagli sullo stile, rimando al post della versione precedente di questa birra. La ricetta non è cambiata moltissimo, ma ho cercato di alleggerire la basa maltata. L’altra birra mi era sembrata un po’ troppo piena, con un finale leggermente appiccicoso che non rendeva la bevuta abbastanza snella. Si tratta pur sempre di una birra corposa con una intensa base maltata, ma deve comunque scorrere bene sul palato, altrimenti la bevuta diventa difficile.

A dirla tutta, sono in realtà passato anche da una seconda versione di questa ricetta che non ho recensito sul blog. Venne migliore della prima, ma ancora non soddisfacente. In questa seconda versione ufficiale (che in realtà è la terza), ho snellito ancora di più la base maltata, aggiungendo anche un pizzico di malto Carafa per rendere il colore più intenso e profondo. Ho quindi aumentato il malto Pilsner nella base, introdotto un po’ di Vienna, tolto il Monaco II e ridotto drasticamente il Caramunich I, malto che trovo piuttosto invadente con i sui sentori caramellati e di uva passa/dattero.

Ho ridotto anche la temperatura di ammostamento per favorire l’attenuazione, portandola a 65°C. Dato che a questa temperatura la conversione può richiedere più di un’ora e non mi andava di restarci troppo, sono salito a 72°C dove mi sono fermato per 20 minuti. Questa pausa – si dice – attiva degli enzimi che lavorano le proteine, migliorando la schiuma della birra. Per me è sempre stata un’affermazione senza grande fondamento, ma ho trovato questo step utile per assicurarmi comunque di uscire dall’ammostamento senza lasciarmi dietro amidi residui. In effetti è stato interessante vedere come, dopo test dello iodio positivo alla fine della sosta a 65°C per un’ora, la densità sia leggermente salita lo stesso di qualche punto dopo lo step a 72°C. Allungare il tempo di ammostamento, con o senza step, aiuta spesso ad aumentare l’efficienza rendendo anche il mosto più fermentabile.    

Come lievito e luppolo sono rimasto sul tradizionale. Per quanto riguarda l’acqua, sono partito da acqua osmotizzata aggiungendo Gypsum per il calcio e sale da cucina per alzare cloruri e sodio. Un pizzico di sodio cade bene in questo stile, aiuta a rendere la parte maltata brillante, come il sale quando viene utilizzato in cucina. Parliamo di valori in ppm comunque molto bassi, ma nel mio caso più alti rispetto a quelli che utilizzo solitamente.

Altro elemento nuovo che ultimamente mi capita spesso di introdurre: la bollitura di due ore. A differenza della decozione, che trovo un processo lungo e soprattutto faticoso da mettere in campo, la bollitura prolungata non richiede grande fatica: si tratta solo di allungare di un’oretta la cotta. A mio avviso questo approccio rende il profilo maltato maggiormente complesso, lo adotto spesso nei Barley Wine ma anche nelle Imperial Stout. Potrebbe essere una mia impressione, ma non mi costa grande fatica bollire un’ora in più. Inoltre, e nel mio caso è importante, mi concede qualche litro di acqua in più che rende l’ammostamento più fluido, nel mio piccolo sistema con ricircolo e doppio fondo, e a volte mi permette anche di fare un piccolo sparge come in questo caso.

FERMENTAZIONE

Per la fermentazione con questo lievito continuo sostanzialmente a seguire l’approccio che scelsi in occasione della mia prima Pilsner diversi anni fa: partenza bassa e rampa verso la metà della fermentazione, con sosta diacetile di diversi giorni fino a quando la densità non diventa stabile. Con questo lievito non serve altro a mio avviso, funziona perfettamente così.

Ho abbondato con il tasso di inoculo. Considerando che in una bustina di lievito secco dovrebbero esserci circa 100 mld di cellule, ne ho inoculate 300 mld per 9,5 litri di birra con OG pari a 1,084. Secondo il calcolatore di Brewer’s Friend ne sarebbero servite addirittura 384 mld, ma mi sembrava esagerato. Nel complesso ho inoculato comunque 3.5 grammi di lievito secco per litro di birra, ben oltre qualsiasi raccomandazione del produttore.

Dopo la fermentazione, che è stata lineare e anche tutto sommato veloce, ho ridotto velocemente la temperatura fino a portarla a quella di maturazione a freddo. Non serve accompagnare il lievito alle basse temperature, tanto con questo sistema il lievito ha ripulito quello che doveva ripulire durante la pausa diacetile, nel corso della lagerizzazione può anche dormire.

Dopo aver raggiunto la temperatura di lagerizzazione, ho travasato in contropressione nel fustino da 10 litri saturo di anidride carbonica (prima riempito di acqua e poi svuotato con anidride carbonica in pressione) e riposto il tutto nel frigorifero dove tengo anche altre birre e le spine. Ho quindi dimenticato la birra nel frigo per due lunghi mesi, per poi carbonarla forzatamente e attaccarla alla spina.

ASSAGGIO

Ho fatto diversi assaggi di questa birra nel tempo. Sia spillata direttamente dal fusto, sia dalla decina di bottiglie dove l’ho trasferita con asta cinese, già carbonata. Ho dato anche diverse bottiglie in giro, ricevendo riscontri positivi. Questo assaggio si riferisce a una bottiglia con un mese sulle spalle, ovviamente sempre tenuta in frigorifero.

 ASPETTO  L’aspetto è molto bello, in linea con lo stile. La birra si presenta nel bicchiere piuttosto limpida, di colore mogano con bellissimi riflessi rossastri. Schiuma fine, di colore marrone chiaro, con una persistenza bassa (come si vede dalla foto sotto). La pausa a 72°C non mi sembra aver aiutato in questo senso, anche nelle precedenti versioni avevo ottenuto una schiuma del genere. Del resto non c’è da stupirsi: poco luppolo, molto alcol, pochi malti tostati, è normale che la schiuma non si esprima al massimo. Lo concede anche il BJCP, che dice “stronger versions might have impaired head retention“.  Considerando che siamo quasi a 9% ABV e il massimo per lo stile è 10% ABV, direi che c’è poco da fare. Come ripeto sempre: se il processo è gestito decentemente, la birra ha la schiuma che deve avere. Detto ciò, avrei comunque preferito una schiuma con persistenza maggiore. Prossima volta aggiungerò qualche etto di Carapils. Scherzo! 🙂

 AROMA    Buona intensità aromatica. Il mix è molto interessante: arrivano subito al naso note di frutta secca dolce, come dattero e uvetta, ma anche un tocco leggero di ciliegia sotto spirito e forse anche amarene. In secondo piano note caramellose, di caramello molto tostato, affiancano venature di crosta di pane tostata e biscotti al forno. Lasciandola scaldare emergono anche ricordi di panpepato, miele di castagno, croccante. Aroma molto complesso, persistente, senza difetti. Mi piace molto. A tratti si percepisce un leggero sbuffo alcolico, ma non mi dispiace: la birra è piuttosto robusta, tutto sommato ci sta. Anche in questo caso, il BJCP lo concede: “Moderate alcohol aroma may be present“.

 AL PALATO  Arriva al palato con intense note maltate che percorrono lo spettro di Maillard: caramello, crosta di pane tostato, datteri, biscotti al forno. Le note fruttate sono più esili rispetto all’aroma. La dolcezza è intensa, inizialmente, ma è ben bilanciata dall’amaro che è lungo e morbido, sostiene la bevuta evitando che il tutto collassi in un caramellone stucchevole. Retrolfatto con sbuffi di frutta, sul palato permane una sensazione di toffee e nocciola.

 MOUTHFEEL  Corpo pieno, carbonazione bassa (forse troppo bassa, un filo in più ci sarebbe stato bene). Leggero calore alcolico che però non brucia. No astringenza.

 IMPRESSIONI GENERALI  Personalmente, questa birra mi è piaciuta davvero tanto. Questa è la versione a cui volevo arrivare: piena, intensa, alcolica ma piacevole da bere. I pareri che ho ricevuto sono stati in generale positivi. Qualcuno mi ha consigliato di abbassare il grado alcolico: per carità, si potrebbe anche fare, ma la mia intenzione era di fare una Doppelbock piuttosto alcolica, quindi direi che ci siamo. Volendo la si potrebbe portare a 8% ABV e magari togliere il Vienna sostituendolo con il Pilsner, per renderla ancora più snella. Potrebbe essere una variazione interessante. Per il resto ha colpito tutti per l’equilibrio maltato e la facilità di bevuta, nonostante la complessità. Birra molto pulita, a mio avviso ben riuscita, che mi ha dato grandi soddisfazioni. E di cui, purtroppo, è rimasta una sola bottiglia.

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Ingegnere elettronico prestato al marketing, da sempre appassionato di pub e di birre (in questo ordine). Produco birra in casa a ciclo continuo dal 2013. Insegno tecniche di degustazione e produzione casalinga. Sono un divoratore di libri di storia e cultura birraria. Dal 2017 sono giudice BJCP (Beer Judge Certification Program). Autore del libro "Fare la birra in casa: la guida completa per homebrewer del terzo millennio"

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