A distanza di un anno dalla cotta, eccoci ad assaggiare il risultato finale di una produzione lunga e affascinante: la mia prima Flanders Red Ale. Non ho spazio né temperatura adatta a produrre birra a lunga maturazione, ma ogni tanto mi cimento in qualche piccola produzione. Sfrutto i mesi invernali, durante i quali le temperature in casa sono tali da poter osare fermentazioni secondarie con lieviti selvaggi e batteri, senza rischiare eccessive derive acetiche o sgradevoli aromi di solvente. Vediamo come è andata questa volta.

RIASSUNTO PUNTATE PRECEDENTI

Dello stile Flanders Red Ale ho accennato nel post precedente, nel quale ho descritto nel dettaglio anche la ricetta, i lieviti utilizzati in primaria e le aggiunte in secondaria. Per chi non avesse voglia di rileggere il vecchio post: in primaria ho fermentato a temperatura controllata con S04 e Philly Sour, sperando di arrivare alla fine della fermentazione con una base dotata già di un minimo di acidità. Purtroppo il Philly non ha prodotto acidità, probabilmente a causa dell’inoculo troppo precoce dell’S04. Non mi sono scoraggiato e ho portato a termine la prima fermentazione che si è fermata, come previsto, a 1.020 (volevo lasciare qualcosa da mangiare ai microrganismi che avrei aggiunto in fermentazione secondaria).

Dopo un paio di settimane ho travasato in due contenitori da 5 litri: una damigiana in vetro, in cui ho aggiunto il Roeselare Blend della Wyeast (WY3763); un piccolo fermentatore in plastica, dove ho aggiunto invece una fiala di fondi della fermentazione della Piè Veloce Brux di Ca Del Brado (il birrificio ogni tanto ne regala agli homebrewer) insieme al fondo di una Cerbero Old Ale sempre di Ca Del Brado. Nel fermentatore di plastica ho poi aggiunto pezzi di botte ex whisky che avevo preso da The Malt Miller: 200 grammi per 5 litri, sanitizzati su vapore per 15 minuti e mantenuti in contatto per circa un mese.

Dal travaso nei due contenitori da 5 litri all’imbottigliamento sono passati circa 6 mesi, con temperature che hanno fluttuato tra un minimo di 17-18°C in inverno e un massimo di 22-23°C ad Aprile-Maggio.

BLENDING E PRIMING

Credo fermamente che l’attività di blending sia fondamentale per produrre stili come questo. Si possono ottenere buoni risultati anche con un singolo batch, ma è davvero difficile raggiungere un buon equilibrio in una birra del genere senza alcun blend. Serve la botta di fortuna, cosa che capita raramente se si fa una produzione di questo tipo ogni tanto. Dividendo il batch in due o in tre si può invece osare da una parte e contenersi dall’altra, in modo da modulare il risultato finale con l’attività di blending.

Idealmente sarebbe comodo avere più di due birre da miscelare in fase di imbottigliamento, ma oltre a diventare impegnativo in termini di produzione e di spazio, diventa difficile anche in fase di blending. Con due contenitori si riduce il rischio senza complicare eccessivamente l’attività di miscelazione in bottiglia. Alla fine si tratta di scegliere tra il giusto mix di due birre, basta fare qualche prova. Al limite, se una riesce proprio male, se ne usa solo una piccola parte e il resto si butta. Ma almeno non si butta l’intera cotta.

Nel mio caso, ho scelto due contenitori diversi (plastica e vetro) proprio per ottenere due risultati diversi. Ho volutamente “abusato” della birra in plastica, aprendola per inserire il legno, nella speranza che sviluppasse un po’ di acido acetico. È andata bene in effetti, mentre la damigiana in vetro mi ha piuttosto deluso. Il Roeselare Blend in sei mesi non mi pare essersi minimamente svegliato. Non avevo fatto starter per non modificare la composizione dei microrganismi nella busta, ma soprattutto perché si trattava di un inoculo in secondaria per il quale non c’era bisogno di chissà quale vitalità. Si è sviluppata dopo mesi una leggera pellicola, ma il pH è rimasto alto e i punti di densità consumati sono stati esigui anche dopo sei mesi. A un certo punto ho aggiunto un fondo di Cerbero Old Ale, si è sviluppata un po’ più di pellicola ma non è successo granché.

Qui sotto le note degli assaggi e delle misure dai due fermentatori al momento dell’imbottigliamento.

Per il blend di imbottigliamento ho fatto tre prove con mix diversi: una 25-75%, l’altra 50-50% e il terzo 75-25%. Mi ha convinto di più quello al 50-50%, anche perché, devo ammetterlo, portava a zero spreco di birra. Il pH del blend è 3.4, acidità modesta per lo stile, forse un pelo bassa.

Ho aggiunto lievito da rifermentazione nella dose di 0,05 g/L  (mi pare T-58, ma non sono sicuro) puntando a una carbonazione bassa (1,8 volumi). Avevo paura che miscelando i due batch, terminati a densità molto differenti, si creasse anidride carbonica in eccesso. Cosa che non è avvenuta, nonostante le bottiglie non siano state tenute in frigo.

ASSAGGIO

L’assaggio di oggi arriva dopo quasi sei mesi passati in bottiglia. In estate sono riuscito a tenere le bottiglie in frigo a 18°C in pieno agosto, evitando di lasciarle alla temperatura ambiente di casa che facilmente supera i 30°C nel mese di agosto. Tuttavia a Luglio e Settembre hanno attraversato periodi a 28°C sugli scaffali dello sgabuzzino, ma la cosa non sembra aver creato enormi problemi.

 ASPETTO  Scende nel bicchiere formando poca schiuma. Bolle di grandezza media, qualcuna più grande sui bordi del bicchiere. La persistenza è scarsa, ma un filo di bollicine rimane sul perimetro circolare del bicchiere per tutta la bevuta. La birra è di color ambrato carico nel bicchiere piccolo,, in quello più grande si spinge verso il mogano. La limpidezza è buona, permane una leggera velatura.

 AROMA  L’intensità è buona. Prevalgono inizialmente le note funky del Brett con sfumature di cuoio e un leggero fruttato che ricorda gli agrumi. Mi sembra di percepire arancia rossa, ma probabilmente è il mix dell’agrumato da esteri con le tonalità caramellate dei malti. Piccoli sbuffi di solvente qui e là, ma nulla di preoccupante né fastidioso in alcun modo. In secondo piano si distinguono note di frutta disidrata, soprattutto dattero, forse anche qualche ricordo di prugna secca. Il malto è molto delicato, viaggia sulla dorsale della crosta di pane con qualche accenno di caramello. Percepisco una sottile nota legnosa, ma potrei essere condizionato dalla conoscenza del processo produttivo e dell’aggiunta di pezzi di botte. Nel complesso un aroma interessante, abbastanza complesso, non elegantissimo ma nemmeno scomposto.

 AL PALATO  Arriva sul palato con una buona acidità, non invadente. L’acetico è lieve, non crea intralcio. La base maltata è un po’ sottotono, manca la componente fruttata da frutta rossa o disidrata che ci si aspetta dallo stile e che l’aroma sembrava in piccola parte preannunciare. La bevuta è piacevole, accompagnata da una acidità nettamente percepibile ma non aggressiva e dal leggero fruttato del Brett. Mi sarei aspettato – e avrei gradito – una base maltata più decisa e presente. Si avverte giusto un pelo di crosta di pane e di cereale sul finale e, forse, qualche timida nota di caramello. Non stupisce al palato – anzi, forse delude un po’ – ma si lascia bere con soddisfazione.

 MOUTHFEEL  Corpo medio, carbonazione bassa (ci può stare con lo stile). Astringenza quasi nulla, forse un filo di tannino. Alcol morbido.

 CONSIDERAZIONI GENERALI   Non pretendevo certo di fare una Flanders Red Ale perfetta al primo giro, senza uso di botte, ci mancherebbe pure. Considerando gli incidenti di percorso, alla fine è uscita una birra molto piacevole che sto bevendo con soddisfazione. Continuo a trovare il contributo del legno, in qualsiasi modo lo si aggiunga come alternativa alla botte, piuttosto sgraziato e nel migliore dei casi ininfluente. Probabile che prima o poi acquisterò un caratello per usarlo con passaggi veloci nei mesi invernali, perché né i pezzi di botte né le scaglie che ho usato in un paio di occasioni mi hanno mai soddisfatto. La ricetta base la cambierei, rafforzando la parte maltata: forse più monaco, ma anche un crystal o anche semplicemente più Caramunich o più Special B. Ci devo riflettere su. Il Roeselare Blend ci mette troppo tempo a partire, non è adatto per le mie produzioni. Prossima volta manterrò la primaria con S04 che mi ha soddisfatto, in secondaria magari più fondi da diversi, o una nuova fiala di Ca Del Brado se riuscirò a recuperarla. Fondamentale mantenere le due damigiane trattate diversamente l’una dall’altra per poi poter lavorare con il blend.

ASSAGGIO DOPO UN ANNO E MEZZO IN BOTTIGLIA E DUE DALLA PRODUZIONE

Eccomi tornato ad assaggiare questa birra. Sono riuscito a tenermi un paio di bottiglie, è una di quelle rare volte in cui una mia birra rimane così a lungo sugli scaffali dello sgabuzzino. Siamo arrivati all’inizio del 2023, pochi giorni dopo capodanno: ho deciso di assaggiare nuovamente questa produzione che risale addirittura a Novembre 2021.

Una birra che ha avuto alti e bassi. Inizialmente mi è piaciuta abbastanza, poi alcune bottiglie hanno iniziato a deludermi. Un paio non sono riuscito a berle, le ho lavandinate dopo il primo sorso: solvente, plastica, aromi non particolarmente gradevoli. Altre, invece, si sono rivelate bevute estremamente piacevoli, sebbene mai esenti da piccoli problemi.

L’ho fatta anche assaggiare a diverse persone, più meno esperte, ricevendo pareri a volte piuttosto discordanti. A qualcuno è piaciuta, l’ha trovata interessante e piuttosto in stile, sebbene non esente da difetti. Ad altri non è invece piaciuta affatto, l’hanno trovata non bevibile e sovrastata da difetti come aromi di solvente o plastica.

Dal mio punto di vista, come ho già scritto, non è mai stata perfetta. Anzi, tutt’altro. In genere l’ho bevuta volentieri, trovando diverse note organolettiche che tutto sommato richiamano lo stile a cui è ispirata. Effettivamente mi è sembrato di trovare una certa variabilità tra le bottiglie, non coerente con il tempo trascorso dall’imbottigliamento. Prima piacevole, poi meno, poi di nuovo piacevole. Un’evoluzione particolare.

Ero pronto a buttare questa bottiglia, la penultima che conservato, dopo la pessima esperienza della bottiglia precedente, che non sono riuscito a bere. E invece questa bevuta mi ha colpito positivamente. Purtroppo era completamente piatta, il che mi ha stupito. Nessuna delle bottiglie aveva carbonato appieno, ma la maggior parte delle altre almeno aveva un minimo di carbonazione. A distanza di un anno e mezzo dall’imbottigliamento, questa bottiglia era invece completamente piatta: nemmeno una bolla. Mi è sembrato davvero strano, visto che le altre avevano un po’ di carbonazione. Questo mi fa pensare che non fosse stata tappata bene.

Com’era la birra? Al naso, come sempre, non particolarmente entusiasmante. Si percepisce l’acidità, anche acetica, senza che dia fastidio. Annusando bene tornano le note di solvente/plastica, ma leggere come le ricordavo nelle bottiglie migliori. A me sinceramente non danno particolarmente fastidio. Per il resto frutta rossa e secca, ma poca: probabilmente l’assenza di carbonazione riduce l’impatto aromatico al naso.

Al palato la trovo tutto sommato piuttosto piacevole. Acidità presente ma contenuta, non spigolosa. Il maltato è tenue ma fornisce un discreto supporto alla bevuta. Acetico assolutamente controllato, rinfrescante ma non fastidioso. L’assaggio era partito con il timore che sarebbe stata gentilmente versata nel lavandino, invece ho finito il bicchiere con soddisfazione.

Ora mi rimane l’ultima bottiglia, chissà se anche questa sarà completamente liscia.

In conclusione: per me rimane una birra abbastanza riuscita, considerando che si tratta del primo tentativo nel replicare in casa uno stile difficilissimo da produrre, in particolare senza l’ausilio di botti. L’idea del blend funziona, prossima volta sicuramente replicherò. Peccato davvero per la scarsa/nulla carbonazione, nonostante i 5 g/L di zucchero di priming, l’aggiunta di lievito da rifermentazione e l’assemblamento di due blend a FG molto diverse tra loro (uno ha terminato a 1.006, l’altro a 1.012).

È possibile che nel pitch della fiala di Ca’ del Brado ci fosse qualche batterio molto attivo che ha consumato gli zuccheri aggiunti e residui senza produrre anidride carbonica, impedendo di fatto al lievito di rifermentare. Non credo che, in un blend del genere, con diversi ceppi di lieviti selvaggi e batteri, possano essere rimasti 5 g/L di zuccheri residui dopo un anno e mezzo di bottiglia. Anche perché non si avverte nessun tipo di dolcezza residua.

Appuntamento tra qualche mese con l’assaggio dell’ultima bottiglia rimasta!

 

 

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