In questi ultimi anni mi sono molto avvicinato alle birre del Belgio. Non è stato amore a prima vista, come invece accade per molti – la mia passione primaria restano i pub e le birre del mondo anglosassone – ma piuttosto un percorso di conoscenza graduale e sorprendente.

Come credo risulti evidente dalle produzioni casalinghe di cui ho raccontato negli ultimi tempi sul blog, la mia attenzione si è focalizzata prima sulle Tripel, di cui sono riuscito a elaborare una versione piuttosto soddisfacente, poi sulle Belgian Dark Strong Ale, sulle quali ho ancora molto da lavorare. Le Saison sono state invece uno dei miei primi pallini, con prove e controprove che alla fine hanno portato a diverse produzioni soddisfacenti. Le Dubbel sono la tipologia di birre belga che forse mi attrae meno, su quelle devo ancora lavorare.

Ultimamente mi è capitato di assaggiare diverse Patersbier, chiamate anche Enkel oppure, con l’appellativo scelto dal BJCP, meno romantico ma forse per certi versi più pratico, Belgian Single. Vediamo di cosa si tratta.

LO STILE

Il nome dello stile affibbiatogli dal BJCP, con la designazione “Single” (rispetto a Dubbel, Tripel e Quadrupel) fa intuire il carattere principale di queste birre: sono belghe, aromatiche, fruttate, fenoliche, ma con grado alcolico più basso rispetto alle tipiche produzioni del Belgio. L’American Homebrewers Association le definisce “The Lawnmower Beer of Trappist Monks“, l’equivalente per la comunità monastica delle birre americane da bere mentre si taglia il prato, ovvero le Cream Ale o le Blond Ale americane.

Vengono chiamate anche Patersbier, proprio per indicare che si tratta delle birre care ai monaci perché bevute nella vita quotidiana senza troppi pensieri, a differenza delle altre birre monastiche, più intense e soprattutto più alcoliche. Qualcuno le chiama anche Enkel, che in olandese significa sempre “single”.

Se togliamo i Lambic o le Gueuze, le Belgian Single rappresentano una rara eccezione di birre belghe a basso grado alcolico, insieme all’equivalente “laico” delle Specialty Belge, chiamate anche Belgian Pale Ale, popolari nella città di Anversa (de Koninck ne è un esempio tipico) ma meno intense in aroma e con una dorsale maltata più vicina alle bitter. Anche le Saison possono essere considerate birre belghe a bassa gradazione, ma da un lato non sono tipicamente “monastiche”, dall’altro, negli esempi classici contemporanei come la Saison Dupont, la gradazione alcolica non è nemmeno poi così bassa.

Non tutte le Belgian Single vengono imbottigliate, alcune sono disponibili solo alla spina per i monaci del monastero o al massimo al locale del monastero, come ad esempio la Petite Orval. Altre invece vengono anche imbottigliate, come l’ottima St. Bernardus Extra (la mia preferita), la Chimay Doree e, da tempi relativamente recenti, la Westmalle Extra.

 

Le caratteristiche principali di queste birre, al solito, sono a mio avviso ben descritte dal BJCP, sebbene il nome scelto per inserirle tra gli stili non sia dei più romantici. I tratti principali sviscerati dal BJCP nella categoria 26A Belgian Single (ex Trappist Single) sono i seguenti:

  • alcol in concentrazione “session”, almeno per gli standard belgi. Parliamo di una gradazione compresa tra i 4,8 e i 6% ABV
  • profilo aromatico intenso, dai tratti fruttati e delicatamente speziati. Le note fruttate possono assumere le caratterizzazioni più diverse: pompelmo, limone, pesca, pera, albicocca, mela
  • possono incorporare – raramente – aggiunte di spezie agrumate (immagino fondamentalmente coriandolo, che è presente infatti nella versione della Chimay)
  • sono piuttosto luppolate, sia in aroma che in amaro. Luppoli, ovviamente, continentali europei
  • estrema secchezza, come tutte le birre belghe
  • bollicina vivace
  • malto in secondo piano, principalmente con note di miele

Ne produce una versione anche il mitologico birrificio trappista Westvleteren, chiamata Westvleteren Blond. Con questo nome si apre una diatriba.

Che differenza c’è tra una Belgian Blond Ale e una Belgian Single?

Molti, fregandosene del BJCP (comprensibilmente) rifiutano l’appellativo Belgian Single e chiamano queste birre genericamente Blond Ale, che però nel BJCP rappresentano uno stile a parte, molto diverso dalle Trappist Single (Belgian Blond Ale, stile 25A del BJCP). A mio avviso, questo crea un po’ di confusione. Le Blonde Ale belghe nascono infatti come contraltare alle lager continentali europee. Il loro profilo è decisamente più neutro, molto meno fruttato rispetto alle Belgian Single, appunto per renderle una sorta di equivalente belga alle basse fermentazioni che dalla fine del 900 hanno iniziato a conquistare il mercato.

Si tratta di birre diverse nel profilo aromatico, oggi incarnate principalmente da esempi industriali come Leffe, Grimbergen, Affligem. Ne produce un esempio meno “blando” il birrificio trappista olandese La Trappe con la sua La Trappe Blond. Bevendola ci si rende subito conto di come questa birra non rientri nelle specifiche tipiche delle Belgian Single, soprattutto per l’assenza di una luppolatura importante (aspetto che invece la Westvleteren Blonde esalta piuttosto marcatamente). Anche il range alcolico è nettamente diverso tra i due stili: le Single vanno dal 4,8 al 6% ABV, le Blond dai 6 ai 7,5% ABV.

Mi rendo conto di uscirne, al solito, come un esaltato del BJCP. Ma in questo caso, secondo me, il BJCP rende onore alle caratteristiche peculiari dello stile Belgian Single pur affibbiandogli un nome tecnico obiettivamente non particolarmente esaltante.

 

LA RICETTA

Per quanto riguarda la ricetta, ho mantenuto un approccio votato alla semplicità. Due malti base, entrambi di produzione belga, per dare un minimo di complessità senza ingolfare la base maltata. Una piccola aggiunta di destrosio, per favorire l’attenuazione.

Luppoli continentali, in quantità generose ma non eccessive. Leggero dry hopping, con luppolo aggiunto durante la fermentazione attiva per favorire la biotrasformazione ma soprattutto limitare al minimo l’apporto resinoso/erbaceo dato dai mirceni (che tendono a incollarsi alle cellule di luppolo precipitando sul fondo).

Lievito classico per lo stile, ovvero Trappist High Gravity della Wyeast (WY3787).

Acqua sbilanciata sui solfati, per esaltare la secchezza e dare uno sprint al finale amaro.

LA FERMENTAZIONE

Per la fermentazione ho adottato un approccio particolare. Ho recuperato un vecchio fermentatore in plastica equipaggiandolo con un blow-off assemblato tramite John Guest dotato di rubinetto.

La forma del fermentatore in plastica, più largo e basso rispetto al keg da 19 litri dove fermento di solito, dovrebbe modificare – anche se lievemente, visti i volumi – il comportamento del lievito durante la fermentazione. Ho scelto anche di lasciare il fermentatore aperto per circa tre giorni, a partire dal momento in cui è partita la fermentazione tumultuosa. Il tutto era in frigo, che era stato precedentemente ben pulito.

In Belgio, ma anche in Inghilterra, le fermentazioni in contenitori aperti di forma squadrata sono piuttosto comuni. L’assenza di coperchio e la forma tozza e bassa del fermentatore riducono la pressione sul mosto, limitando la CO2 che rimane in soluzione nella birra durante la fermentazione.

Più si riduce la C02 disciolta nella birra durante la fermentazione, meno il lievito lavora in condizioni di stress. Inoltre, il contatto con l’aria può favorire l’ossigenazione continua (comunque ridotta per via del krausen e della CO2 che esce dalla birra), anche questa positiva se ovviamente limitata alle fasi di fermentazione tumultuosa. Non è detto che questi fattori possano avere influenza su volumi di mosto così ridotti (i miei classici 11 litri), ma ho voluto provare.

Il rubinetto John Guest mi è servito successivamente per trasferire la birra in fusto a caduta con collegamento a circuito chiuso.

Per quanto riguarda le temperature di fermentazione, ho seguito più o meno il profilo adottato nella mia ultima Tripel, prodotta sempre con il Trappist. Sono partito un grado più basso per evitare che al naso uscisse fuori troppo fruttato, ma si tratta di una estrema precauzione, probabilmente poco influente.

Dopo la lunga winterizzazione in fusto da 10 Litri, per rendere la birra limpida, metà l’ho trasferita in un fustino da 5L e carbonata forzatamente a 2.5 volumi. L’altra metà è invece finita in bottiglia dove è stata rifermentata a una carbonazione più consona per lo stile, arrivando a 3.0 volumi. In bottiglia ho aggiunto lievito T58 per dare una mano nella rifermentazione.

ASSAGGIO

La versione in fusto è finita in un batter d’occhio: leggera, fresca e molto piacevole da bere. L’assaggio che segue viene da una bottiglia con circa 5 settimane sulle spalle. Ho trovato la birra rifermentata e quella carbonata forzatamente in fusto molto simili nell’aroma e nel profilo gustativo. Unica differenza molto netta, ovviamente, la carbonazione. Ho evitato di carbonare troppo quella in fusto, per non avere problemi di spillatura. Se devo dire la verità, entrambe le versioni – più o meno carbonate – mi sono piaciute molto. Certo, quella in bottiglia è più fedele allo stile originale.

 ASPETTO  Direi che la lunga winterizzazione ha fatto il suo lavoro. Devo dire che la birra era piuttosto limpida sin dal trasferimento, merito forse anche dei malti Dingemans, che era da un po’ che non utilizzavo. L’aspetto è molto bello, nulla da dire: dorata, limpidissima (alcune bottiglie sono leggermente velate per via del fondo di lievito), bel cappello di schiuma bianca, abbondante e persistente. 3 punti su 3 all’aspetto.

 AROMA  L’intensità è buona. Spiccano piacevoli note fruttate tra cui pera, frutta a nocciolo come pesca bianca e pesca nettarina, limone e pompelmo. Niente derive bananose. Probabilmente parte del fruttato arriva anche dal luppolo Hallertau Tradition, che trovo molto interessante. Il fenolico è abbastanza delicato, si concretizza in note di pepe bianco (rustico) senza sconfinare troppo nel chiodo di garofano. Nel sottofondo anche piacevoli note di miele, con qualche accenno di fiori bianchi (camomilla) su un fresco tappeto erbaceo. Aroma complesso e pulito.

 AL PALATO  In bocca scorre veloce. L’amaro è deciso, erbaceo, netto. Il finale è estremamente asciutto, nel retrolfatto compaiono note di cereale e torna il fruttato di pesca e albicocca. Un leggero agrumato accompagna tutta la bevuta, accompagnato da delicate note mielate. Vivacizza la bevuta una sensazione speziata, fresca.

 MOUTHFEEL  Corpo medio basso, frizzantezza esuberante molto adatta allo stile.

 IMPRESSIONI GENERALI  Una birra che mi sta piacendo molto. Non so quanto la fermentazione aperta abbia contribuito al profilo organolettico, ma in generale lo trovo molto pulito, complesso e azzeccato per lo stile. La base maltata mi sembra molto centrata, così come carbonazione, amaro e secchezza. Secondo me una birra ben riuscita, da rifare. Mi godo le ultime bottiglie.

Il nome della birra viene da una serie un po’ vecchiotta che ho iniziato a seguire qualche mese fa: The Office, versione americana. Il personaggio in questione è Dwight, un mezzo pazzo che mi fa morire dalle risate.

14 COMMENTS

  1. Molto interessante, soprattutto l’idea della fermentazione aperta! Considerazione sul dry hopping: guardando il tuo grafico, alla fine quasi 3 g/l sono rimasti nel mosto a 20 gradi per ben 16 giorni? Niente erbaceo o altri difetti che una certa scuola di pensiero attribuisce a luppoli per troppo tempo nel fermentatore? Tutto e solo merito dell’interazione col lievito durante la tumultuosa oppure quella scuola di pensiero è morta e sepolta? 🙂 Grazie!

      • Ho appena imbottigliato una bgsa con 14 giorni di dh con 4 gr/lt. Sappi che me la prenderò con te e Iuppa se mi arresteranno per spaccio d’erba

  2. Ciao frank, in questo caso hai prima saturato il fustino con co2 e poi hai usato la co2 nel fustino per travasare la birra attaccandolo al tubo di blowoff? Il rubinetto è servito a non far entrare aria nel fermentatore quando dovevi cambiare attaccare il tubo? Funziona ben questo metodo?

      • Perfetto grazie mille, prima di attaccare il fustino saturo al fermentatore quanto sfiato per non avere troppa pressione? Fino a che sento che non esce più niente?

  3. Ciao Frank sto progettando una birra simile, ma come luppoli mi piacerebbe usare il Mandarina Bavaria e lo Huell Melon in quantità modeste (2g/L di ogni uno dei due tra flame out e dry hopping).
    Secondo te rischio di andare fuori stile essendo luppoli un po’ particolari?

    • Se ti va di usarli, usali. Non sono propriamente i luppoli più indicati per lo stile, ma in dosaggi bassi mnon credo mandino troppo fuori stile la birra. Ma il concetto di base per me è: se vuoi fare una birra in stile da presentare al concorso, usane altri; se vuoi fare una birra che ti piace che ricordo un Single, vai tranquillo e scegli la strada che più di aggrada. E non è detto comunque che vada poi troppo fuori stile, il rischio secondo me si può correre.

  4. buongiorno una domanda da inesperto, il destrosio va aggiunto durante il mash insieme ai malti o in un altro momento? grazie

    • Ciao, come oh scritto nella ricetta (tra gli ingredienti) l’ho aggiunto met a fine bollitura e metà a fermentazione iniziata. Ma ormai lo metto quasi sempre tutto verso la fine della fermentazione.

  5. Ciao Frank, vorrei farti alcune domande perche ho fatto una cotta ispirandomi alla tua ricetta che mi e’ sembrata molto interessante. Un problema riscontrato riguarda la OG misurata (ho prelevato il campione pre bollitura, dopo averlo raffreddato ho misurato la densita a 20 gradi). Il valore era 1051 perfetto. Tuttavia dopo la bollitura ho aggiunto il destrosio ed e’ salita a 1060, nn mi aspettavo che salisse cosi tanto, comunque ho deciso di inizare la fermentazione cosi senza fare aggiunte. Volevo chiederti il motivo di questa salita cosi alta(per la quantita sono rimasto fedele alla percentuale della tua ricetta). La seconda domanda riguarda il dry hopping. Vorrei farlo con 3g/l , ( volume totale di litri nel fermentatore 19) ma vorrei evitare di fare il travaso a fine fermentazione, cosa che fin’ora ho fatto sempre. Tuttavia sono terrorizzato dai residui pre imbottigliamento. Il mio programma e’ fare una winterizzazione di circa 20 giorni e poi imbottigliare direttamente senza fare travasi con priming in bottiglia. Ti chiedo due cose, va bene se imbottiglio direttamente usando il rubinetto del fermentatore a cui collego il tubo crystal?Oppure meglio utilizzare asta da travaso?( l’ho usata in un’altra cotta ma nn mi sono trovato bene, incamera molta aria,si inceppa).L’altra domanda e’ questa, partendo da un OG di 1061 molto piu alta, cosa comporta iniziare la winterizzazione ad una FG di 1018 cosi da evitare un grado alcolico piu alto? Per le prossime cotte se arrivo ad una OG giusta pre bollitura e nella ricetta prevedo l’aggiunta di zucchero prima che inizio la fermentazione, come devo comportarmi?Invece riguardo la winterizzazione e la limpidezza finale della birra, nell’ultima cotta ho fatto winterizzazione ed ho imbottigliato, risultato ottimo, residuo quasi assente, tuttavia all’apertura della birra, primo bicchiere limpidissima, secondo bicchiere molto torbida, quasi fosse un altra birra, non riesco a capire perche.
    Grazie in anticipo, mi scuso per la lunghezza de post! Spero che riuscirai a rispondere. L’attrezzatura che uso e’ una pentola da 35lt, con sacca in nylon per i grani, una sorta di BIAB, cui pero faccio fly sparge. Volume cotta 23 litri, post bollitura arrivo piu o meno a 20, efficienza poco piu del 60%.

    • Ciao Mattia, mi sembra tu abbia le idee un po’ confuse. Provo a rispondere per punti:

      (1) Il contributo alla densità del destrosio (o dello zucchero semplice) si calcola facilmente ion base al peso e alla quantità di liquido in cui lo sciogli. Per esempio: 1 Kg in 10 litri produce un contributo alla densità di (46×8,345x1Kg)/10L=38 punti di denstà. In base a questo puoi prevedere l’aumento di densità. TI consiglio comunque di usare un sw per gestire tutta la ricetta e non avere sorprese

      (2) No, non puoi fermare la fermentazione con il freddo prima di raggiungere la FG. Primo perché la birra avrebbe un bilanciamento diverso con maggiori zuccheri residui. Secondo perché le bottiglie diventerebbero potenziali bombe a mano appena tolte dal frigo per via della sovracarbonazione.

      (3) L’asta da travaso non mi hamai dato problemi di incameramento aria, si vede che ne hai una rotta. Non ci sono problemi a pescare dal fondo a meno che non si tappi il rubinetto, ma se usi i pellet si stappa con il primo flusso di birra (che puoi buttare nel lavandino o usare per un abottiglia campione). Il residuo sul fondo delle bottiglie non dipende direttamente dal residuo sul fondo del fermentatore: se procedi con delicatezza, solo le prime bottiglie avranno un po’ di fondo, il resto rimarrà sul fondo del fermentatore perché il rubinetto è più alto. In alternativa, pupi usare un sifone e pescare dall’alto.

      (4) la bottiglia si sarà intoebidita a metà perché probabilmente c’era molto fondo che mano mano è salito per via delle bollicine che salivano dal fondo (immagino la birra fosse molto carbonata)

  6. Grazie per tutte le risposte e la pazienza. Si ho le idee un po confuse perche usando il software brewfather nell’impostare la ricetta mi ha calcolato la OG a 1051 nonostante ci fosse tra i fermentabili il destrosio, per questo sono rimasto sorpreso, probabilmente avendo ottenuto una OG pre boil di 1051 nn avrei dovuto aggiungere quel quantitativo di destrosio, desumendo che mi avrebbe fatto aumentare la densita di 10 punti. Riguardo l’asta la usero per imbottigliare e ti faro sapere, cerco di fare degli esperimenti prima. Per la torbidita’ ti aggiorno anche. Posso chiederti un consiglio, tu che software utilizzi? Che cosa mi consiglieresti? Grazie ancora.

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