L’altro giorno, mentre ero a correre, stavo ascoltando uno degli ultimi episodi di Brülosophy podcast. Oggetto della puntata era la fermentazione aperta, tema di cui mi sto interessando molto negli ultimi tempi. Mi è capitato infatti di fermentare diverse birre belghe con il fermentatore aperto, il vecchio secchio in plastica senza coperchio. Non è ancora chiarissimo quali siano i benefici di una fermentazione senza coperchio, ma tra quelli spesso citati ritroviamo il vantaggio che ne trarrebbe il lievito lavorando a contatto con l’aria e con l’ossigeno. L’ossidazione nella fase di fermentazione tumultuosa è trascurabile, in quanto l’ossigeno solubilizzato nel mosto viene consumato in tempi brevissimi dal lievito in piena attività.
Devo dire che le ultime birre belghe che ho prodotto con la fermentazione aperta sono venute piuttosto bene. Se poi questo dipenda dalla fermentazione o dall’esperienza che nel frattempo ho accumulato nella produzione di questi stili, è difficile da dire.
Anche Vinnie Cilurzo di Russian River racconta dei benefici della fermentazione aperta (link), che utilizza da tempo per alcune sue produzioni.
Tra i miei esperimenti con fermentazione aperta c’è stato anche quello con contaminazione (non intenzionale) da Brettanomyces. Per fortuna la birra è venuta comunque molto piacevole al naso e al palato, ma la contaminazione c’è stata. Questa storia sarà oggetto di altro post che pubblicherò prossimamente, al momento ho mandato la birra ad analizzare per capire di che specie di Brett si tratti e soprattutto se c’è finito dentro altro. La fermentazione aperta comporta ovviamente dei rischi in termine di contaminazioni, ogni tanto l’incidente succede. Fa parte del gioco.
Dicevo del podcast di Brülosophy . Si tratta della puntata numero 281, in cui si fa riferimento a questo esperimento: il confronto testa a testa tra una American Pale Ale fermentata aperta e l’altra chiusa. Il solito test alla cieca non ha dato risultato rilevanti, ovvero gli assaggiatori (e anche chi ha prodotto la birra) non hanno notato differenze evidenti tra queste due birre.
L’aspetto interessante di questo esperimento non è il fatto che le due birre siano risultate molto simili, il che era piuttosto probabile visto che si tratta di una American Pale Ale con parecchio luppolo (anche in dry hopping) fermentata con un lievito piuttosto neutro.
Ci sono, in questo esperimento, un paio di dettagli curiosi che vale la pena approfondire
Quanto influisce la FG sul profilo organolettico della birra?
Il primo punto che secondo me merita attenzione è la notevole differenza riscontrata nella densità finale: nella birra la cui fermentazione è stata condotta senza coperchio, la FG era più alta di ben 4 punti. Prima di approfondire le potenziali cause di questa differenza, vorrei sottolineare come 4 punti di FG non abbiano di fatto generato una variazione significativa in termini di profilo organolettico.
Questo è un fatto abbastanza noto, ma gli homebrewer sembrano non volerlo digerire. Ogni volta che una fermentazione finisce un paio di punti di densità al di sopra di quella ipotizzata, scatta il dramma. Come se due o tre punti rendessero poi la birra sbilanciata, o imbevibile. Non è così. Segnalo un articolo molto interessante apparso sulla rubrica “Skeptical Brewing” di Zymurgy di Nov/Dic 2021. In questo articolo viene evidenziato come, in un assaggio alla cieca, gli assaggiatori abbiano iniziato a rilevare differenze quando lo scarto di densità tra i due campioni assaggiati è arrivato a superare i 20 punti di densità. Avete letto bene: 20 punti!
Ora, è chiaro che questo dipende dal tipo di birra e da tanti altri fattori, ma 20 punti sono 20 punti. Facciamo pace con le nostre fermentazioni e smettiamola di andare nel panico se la fermentazione finisce due o tre punti sopra o sotto la FG prevista. L’importante è assicurarsi che la fermentazione sia realmente terminata per evitare di imbottigliare e generare una sovracarbonazione, per il resto possiamo dormire sonni tranquilli.
Una prima spiegazione per la differenza nella FG
Nel post di Brülosophy, ma anche nella puntata del podcast, la differenza nella FG viene attribuita alle differenti performance della fermentazione nel caso di contenitore aperto o chiuso. Questo può essere senza dubbio un elemento, ma a mio avviso si trascura un altro aspetto.
Se interpreto bene le foto e il testo dell’esperimento, in ciascun fermentatore viene inoculata una busta di lievito. Due buste diverse quindi, aperte e versate direttamente nel mosto.
Questo approccio, come segnalato anche da altre persone in altri esperimenti, può creare discrepanze. Il lievito nelle due buste può infatti trovarsi in condizioni di vitalità diverse, per ragioni variabili che possono andare dalla conservazione, al trasporto, al lotto di produzione. Questo può generare condizioni di fermentazione differenti, tra cui una differenza nell’attenuazione.
In questi casi, sarebbe meglio aprire le due buste, versarle in un contenitore, mescolare bene e poi inoculare metà del volume in ciascun fermentatore.
È quindi possibile che la differenza nella FG non sia imputabile alle condizioni della fermentazione – aperta o chiusa – ma a quelle del lievito inoculato. Ovviamente è una ipotesi, non potremo mai saperlo.
Ma se invece la FG più alta fosse da imputare proprio alla fermentazione aperta? Come è possibile? Qui arriviamo al terzo elemento interessante di questo esperimento.
Il ruolo dell’ossigeno durante la fermentazione
Un lettore del blog di Brulosophy ha segnalato una acuta ipotesi per giustificare la minore attenuazione riscontrata nella fermentazione aperta. Ipotesi che ha a che fare con il maggiore scambio di ossigeno che avviene con la fermentazione aperta.
Le cellule di lievito possono infatti moltiplicarsi seguendo due modalità differenti. In assenza di ossigeno, ovvero nella modalità anaerobica, consumano gli zuccheri producendo alcol etilico e anidride carbonica. Per ogni molecola di glucosio consumata, vengono prodotte 2 ATP. L’ATP (adenosina trifosfato) è un indicatore proporzionale alla quantità di energia che si sviluppa da una reazione chimica.
In presenza di ossigeno, il lievito invece respira. La respirazione del lievito produce, anziché etanolo, acqua e anidride carbonica. Questo processo metabolico sviluppa 38 ATP per ogni molecola di glucosio consumata. Risulta piuttosto evidente come questo processo, sebbene più lento, abbia un’efficienza decisamente maggiore rispetto alla fermentazione. Quindi, in presenza di ossigeno, il lievito preferirebbe respirare anziché complicarsi la vita con la fermentazione alcolica.
C’è però un ulteriore elemento da considerare: l’effetto Crabtree, che inibisce la respirazione anche in presenza di ossigeno. Questo effetto si verifica quando nel mezzo in cui si trova il lievito è presente una concentrazione di zucchero che supera i 150 mg/L, ovvero 0,15 g/L. Tradotti in Plato (1 Plato = 10 grammi di zucchero in circa 1 litro di mosto) sarebbero circa 0.03 Plato. Ovvero una densità maggiore di 1.001. Quindi, nel mosto di birra, la respirazione non si verifica mai.
Su questo non ci piove. Tuttavia, questo è un comportamento “medio”, ovvero possiamo dire che mediamente la maggior parte delle cellule nel mosto di birra opta per la fermentazione alcolica. Ci sarà sempre qualche cellula che respira in presenza di ossigeno, anche se la concentrazione di zuccheri ha generato l’effetto Crabtree. È anche ragionevole pensare che più ossigeno è presente, maggiore sarà la quantità di cellule che passa per la respirazione. Questo è anche lo scenario che si presenta negli starter con agitatore, dove l’agitazione e il continuo ingresso di aria e ossigeno del mosto incrementano la crescita cellulare, probabilmente anche per la maggiore componente respirativa che aumenta il tasso di moltiplicazione delle cellule.
Tornando alla nostra fermentazione aperta, il contatto con l’aria sembrerebbe essere proprio una delle ragioni per cui il lievito si comporta meglio, in condizioni di minore stress, producendo – in alcuni casi, almeno così sembrerebbe – un profilo organolettico più interessante.
E qui arriviamo alla acuta osservazione dell’ascoltatore del podcast di Brulosophy. Il passaggio per la respirazione di una percentuale maggiore di cellule durante la fermentazione aperta, per via della maggiore presenza di ossigeno, produrrebbe nel complesso una minore quantità di alcol (ricordiamo che la respirazione non produce alcol) a parità della concentrazione degli zuccheri di partenza. Questo porterebbe a un mosto con maggiore densità specifica, in quanto la diluizione con l’etanolo, meno denso dell’acqua, sarebbe minore. Ne deriverebbe quindi una minore attenuazione apparente misurata nella birra fermentata con il contenitore aperto, perché banalmente il densimetro galleggerebbe di più nella birra in cui è presente una minore quantità di etanolo. Da qui la potenziale spiegazione per la differenza di attenuazione misurata tra i due mosti.
Può questo giustificare una discrepanza di ben 4 punti di densità? Questo indurrebbe poi una conseguente differenza in ABV di ben 0.5%. Non lo so, probabilmente la differenza non è dovuta interamente a questo, ma il ragionamento mi sembrava interessante e ho voluto condividerlo.
Cosa ne pensate?
Come sempre grazie Frank! Per quel che mi riguarda un faro per noi homebrewers!
Mi piacerebbe se in futuro potessi approfondire l’argomento, ma dal punto di vista organolettico, ovvero se la fermentazione aperta porta dei benefici alla birra, tali da giustificare a provare l’approccio
Grazie Enrico! Sicuramente ne scriverò ancora perché continuerò a farle (in alcuni casi), ma certo non farò mai un confronto testa a testa alla Brulosophy perché non è la “mia cosa” (ovvero non mi va 🙂 ).
E quelle poche cellule che utilizzano la respirazione producono ROS, con conseguente apoptosi cellulare…🤔 (alla fine sarà stato il lievito non identico🤣 anche perché stavo vedendo che negli altri esperimenti aperto-chiuso hanno avuto il risultato contrario o FG uguale)
Apoptosi mi mancava, anche perchè allora le propagazioni con respirazione come si fanno?
Infatti dopo questo post sono finita in un buco nero! Più che risposte sto trovando altre domande… quando trattano dei vantaggi evolutivi per cui si sarebbe sviluppato il Crabtree effect nonostante la fermentazione non sia la via metabolica più efficiente, ho trovato in vari articoli che effettivamente con la respirazione si sviluppano ROS e che inducano alterazioni fino a necrosi o apoptosi è cosa ampiamente nota. L’ultimo esempio che ho ancora aperto: The negative impact of ROS leading to aerobic glycolysis has been particularly explored in the case of tumour cells [63] and also in yeast [64] demonstrated that in colonies of S. cerevisiae, repression of respiration and ROS-scavenging via glutathione inhibited apoptosis and conferred a survival advantage.
Aiuto😱
Siamo andati leggerissimamente fuori tema… 🙂 Ma capisco la sensazione, anche io finisco spesso in queste “rabbit hole”!
Per le propagazioni con respirazione ad esempio di lievito secco, si usa la tecnica del fed-batch:
What is a fed-batch culture? When glucose is present, metabolism is always fermentative, and alcohol and CO2 are the primary products formed. This happens even if oxygen is present. It is called the Crabtree effect. It is what we see in brewery propagations using wort as the source of yeast nutrients.
In a fed-batch culture, molasses is usually used as the source of sugar. Cultures are highly aerated. The trick is that the sugar is fed into the growth vessel at a rate that means it is used by the yeast as soon as it enters. The result is that the actual glucose concentration at any time is close to zero. The Crabtree effect does not kick in, and the cells are fully respiratory at all times.
This gives a very high yield of yeast, about five times more than we get in a brewery propagation, and the cells are loaded with a lot more sterol and unsaturated fatty acids than we ever get in a brewery fermentation.
Sì, infatti. C’è un interessante post sul blog di Ca De Brado su come si sono costruiti un propagatore che sfrutta il fed-batch per le prime fasi della propagazione.
Personalmente, non credo che a livello HB sia molto sensato fermentare con il fermentatore aperto.
Sono alquanto scettico che l’assorbimento di ossigeno in questo caso sia significativo e che influenzi positivamente la fermentazione. Abbiamo il cappello di schiuma e la CO2 continuamente prodotta che credo limiti seriamente l’introduzione di aria nelle fasi iniziali, soprattutto se pensiamo a fermentatori industriali di volumi più importanti.
Credo che i vantaggi dei fermentatori aperti tradizionali risiedano soprattutto nella geometria del fermentatore (che ha un rapporto altezza/larghezza anche di 1:1, rispetto ai 3 o 4:1 dei fermentatori cilindroconici). Questa geometria favorisce la fuoriuscita della CO2, riduce la pressione idrostatica, e sicuramente favorisce l’espressione del profilo di esteri di alcuni ceppi di lievito. Il fatto che poi siano aperti, rende più semplice il recupero del lievito direttamente dalla superficie, pratica sempre applicata con questo tipo di fermentatori.
Nel caso si voglia seriamente aumentare l’ossigenazione del mosto in fermentazione, il sistema più indicato è lo yorkshire square, piuttosto che un normale fermentatore aperto.
Detto questo, a mio avviso a livello domestico non credo ci siano benefici a fermentare senza coperchio, piuttosto che con un semplice secchio con gorgogliatore. La facilità di rimozione della CO2 disciolta sarà probabilmente la stessa, e non avremo rischi di contaminazioni (che su volumi piccoli come quelli domestici sono sicuramente più probabili che non nei grandi fermentatori da 100 hL). Se poi volessimo veramente ossigenare nelle prime fasi (cosa che mi è capitata per alcune fermentazioni con lieviti inglesi), ci sono sistemi più sicuri.
Detto questo, la differenza di attenuazione nell’esperimento soprariportato è molto probabilmente dovuta ad altro (es, come dici tu, vitalità diverse del lievito). Mi sembra un’ipotesi molto remota che sia causata dalla respirazione di un buon numero di cellule di lievito.
Grazied Manferdi, condivido abbastanza. Nel mio caso, in questo post non l’ho specificato, la differensa risiede anche nel tipo di fermentatore visto che in genere fermento nel keg da 19 litri alto e stretto, mentre il belgio lo sto facendo nei secchi di plastica che sono più larghi.
Per quanto riguarda le convinzioni, non saprei sinceramente. Concordo con i tuoi razionali, ma non ho trovato studi che spieghino davvero in modo aprofondito le dinamiche della fermentazione aperta. Quindi, teoricamente, tutto rimane più o meno possibile. Per il momento io ho notato davvero dei miglioramenti nelle mie fermentazioni aperte (a parte la contaminazione, ma non avevo pulito il frigo). Certo possono dipendere da mille altri fattori, senza ombra di dubbio.
Tempo fa ho fatto un esperimento per vedere l’efficacia di un chiarificante su una birra che mi veniva molto torbida.
Ho prodotto 20 litri di mosto (OG: 1.053) e ho aliquotato 10 litri di questo in 2 fermentatori da 13 (SS brewtech). Ho usato 2 bustine di lievito S05 (Fermentis) che ho inoculato separatamente. La temperatura nei 2 fermentatori durante la fermentazione erano praticamente le stesse. Il risultato è stato che le FG erano di 1.007 in uno e 1.008 nell’altro. Naturalmente i 2 fermentatori erano chiusi, quindi la tua ipotesi che la fermentazione aperta porti ad avere una FG più alta potrebbe essere valida.
Bisognerebbe fare più prove per fare una statistica, ma chi ha tempo? 🙂
Domanda: quando fai le fermentazioni aperte ti ritrovi ad avere una FG più alta di quella prevista?
Guarda, le “previsioni” di FG lasciano sempre il tempo che trovano perché i fattori che possono influenzarla sono moltissimi. Un “errore” di previsione di 2-3 punti è più normale, a meno che uno non rifaccia la stessa birra tante volte utilizzando sempre lo stesso approccio e gli stessi identici ingredienti. Non sono in grado si stabilire se le mie FG siano state più alte del “solito” con le fermentazioni aperte, mi sono sembrate abbastanza in linea ma – appunto – è difficile dirlo se non si fanno due fermentazioni con lo stesso mosto in parallelo.