Quando c’è da svuotare la dispensa a fine stagione da malti e luppoli avanzati, mi oriento sempre su una birra scura ad alta fermentazione. Ancora meglio se lo stile concede qualche licenza sull’intensità della luppolatura e sui malti speciali.

Una Dry Stout non funzionerebbe bene come birra svuota-dispensa: troppi malti speciali la manderebbero fuori stile, luppolo in aroma quasi non ce n’è e per giunta il grado alcolico basso limita la quantità di malti da utilizzare.

Una Imperial Stout potrebbe servire allo scopo, ma il grado alcolico elevato renderebbe la cotta molto impegnativa. Di solito ne faccio una all’anno: basta e avanza.

Insomma, avete capito dove sto andando a parare: le scure americane, dove tutto – o quasi – è concesso. American Porter o American Stout. Con il primo stile avevo già avuto a che fare (qui la ricetta, anch’essa nata da una svuota-dispensa). Questa volta ho deciso di optare per una American Stout. Vediamo cosa è contemplato nello stile.

LO STILE

Partiamo dalle differenze tra American Stout e American Porter, così come emergono dalle linee guida del BJCP 2021.

Sono stili molto simili, per molti aspetti sovrapponibili. Volendo delineare delle differenze, possiamo dire che generalmente le American Stout sono più tostate, a volte ai limiti del bruciato. La luppolatura, sia in amaro che in aroma, è mediamente più presente rispetto alle American Porter. Tendono a essere leggermente più alcoliche, ma non è sempre detto.

L’aspetto curioso di American Stout e American Porter è che la connotazione americana non è necessariamente data dalla luppolatura. Nella categoria delle American Porter, infatti, ricadono quelle che una volta venivano denominate Robust Porter, che di luppolatura americana non ne hanno.

Per le American Stout la questione è leggermente diversa, visto che sono rimaste nel BJCP 2021 altre categorie per le Stout più robuste e alcoliche, ovvero le Irish Extra Stout e le Foreign Extra Stout.

Le Robust Porter, invece, sono sparite già con l’edizione 2015 delle linee guida. Quindi, se uno vuole fare una Porter più alcolica, senza luppoli americani e che non sia una Baltic Porter, deve necessariamente iscriverla tra le American Porter. Non può – e non deve – essere penalizzata in alcun modo per l’assenza di luppoli americani.

Di contro, nelle linee guida delle American Stout vengono espressamente citati luppoli agrumati, il che strizza l’occhiolino verso le luppolature americane. Basta che non siano eccessivamente tropicali o intense (very low to medium).

L’amaro può spaziare da medio a medio-intenso, così come la luppolatura e la dolcezza residua. Il bilanciamento è molto variabile, il che le rende adatte a inglobare una quantità molto varia di malti e luppoli. Come dicevo, ideali per una birra svuota-dispensa.

Il che, attenzione, non significa che uno debba buttare roba a caso nel pentolone. Ma questo vale sempre.

Di esempi non se ne trovano granché in giro. Una delle mie preferite è la Stout di Sierra Nevada, che però non bevo da molti anni. Ricordo un leggerissimo aroma citrico e resinoso, una tostatura non elevatissima, un bel corpo morbido ma con un finale leggermente bruciacchiato.

Fu la prima birra prodotta dal birrificio nell’impianto assemblato a mano dal fondatore Ken Grossman. Incredibile che siano partiti proprio con una scura in versione americana, che infatti abbandonarono presto per la Pale Ale. Per poi rimetterla in linea come special release saltuaria.

Altro mio riferimento contemporaneo per gli stili scuri luppolati è The Kernel, birrificio di Londra che ogni tanto tira fuori qualche versione luppolata delle sue molteplici birre scure (tutte ottime).

In foto la versione luppolata della dry stout, ma ricordo di averne assaggiate anche di più alcoliche. Sempre impeccabili.

RICETTA

Come si evince dalla ricetta, ho usato parecchie tipologie di malti. Ho cercato di mantenere comunque un certo equilibrio, evitando di buttare dentro cose a caso.

Il Brown è molto utilizzato da The Kernel. Lo racconta il birraio Evin O’Riordain in una intervista che ascoltai tempo fa. Piace utilizzarlo anche a me nelle birre scure, in percentuali che vanno dal 4 al 7%.

Un paio di Crystal in discreta quantità ci stanno bene per bilanciare l’amaro e il tostato e mantenere alta la FG.

Per quanto riguarda i malti scuri, ho usato quelli che avevo, in quantità non esageratissime vista la presenza anche del Brown. Avrei potuto osare un filo di più.

Ho deciso di non esagerare con il luppolo, utilizzandolo solo in late boil. Anche perché mi erano rimasti solo coni, che evito di usare in dry hopping. Ho messo tutto quello che avevo, se ne avessi avuto di più lo avrei aggiunto per arrivare magari a 5 g/L, visto che con il formato in coni si tende a estrarre meno.

Amaro non eccessivo per evitare contrasto eccessivo con la tostatura, ma sempre abbastanza alto per arrivare a una BU/OG di 0,8.

Il BRY-97 è ormai il mio fidato compagno per le birre scure con tenore alcolico più elevato. Anche The Kernel utilizza lievito americano nelle sue birre scure.

Per quanto riguarda l’acqua, ho spinto un po’ sui solfati e aumentato un filo il sodio, che nelle scure esalta il corpo e dona leggerissima sapidità che trovo molto piacevole. Anche qui, avrei potuto osare un filo di più.

FERMENTAZIONE

Fermentazione standard. Solita rampa a salire, poi travaso nel fustino e cold crash. Ho carbonato forzatamente a circa 2 volumi.

ASSAGGIO

Questa birra mi è piaciuta molto sin dal primo assaggio. Ne ho imbottigliato subito qualche litro direttamente dalla spina, altrimenti ne avrei bevuta troppa. Questo assaggio viene da una bottiglia con un mesetto alle spalle, tenuta sempre in frigo durante la torrida estate romana.

 ASPETTO  Colore marrone scurissimo, praticamente nero. Schiuma marrone chiaro, bolle abbastanza fini. La persistenza è ottima, rimane un velo compatto sopra la birra per tutta la bevuta. Difficile valutarne la limpidezza, ma non importa.

 AROMA  L’intensità è medio alta. Dominano le note di caffè e liquirizia, con suggestioni di pane ben tostato in sottofondo. Man mano che la birra si scalda arriva un leggero aroma di cioccolato fondente. L’aroma di luppolo è medio-basso, con tonalità che virano soprattutto sulla resina e gli aghi di pino. A farci proprio caso, si avvertono delle lievi note agrumate tipo pompelmo. Non avverto esteri da fermentazione.

 FLAVOUR  Abbastanza intensa anche al palato. Entra con una sferzata di caffè e liquirizia, per virare verso il cioccolato sul finale, con un piacevolissimo retrolfatto di mou. La luppolatura emerge meglio rispetto all’aroma, sempre con note resinose e leggermente agrumate. L’amaro è intenso ma scorre bene senza scontrarsi con la leggera acidità dei malti tostati, accompagnando con eleganza il sorso.

 MOUTHFEEL   Corpo medio, carbonazione medio-bassa che la rende abbastanza morbida, nonostante l’amaro e l’elevata tostatura. Calore alcolico appena percepibile.

CONSIDERAZIONI GENERALI

L’ho già detto: questa birra mi è piaciuta moltissimo. Purtroppo le bottiglie stanno finendo. Se proprio dovessi migliorare qualcosa, aumenterei leggermente il luppolo in aroma, magari posticipando la gettata a 5 minuti dalla fine della bollitura, con un dosaggio verso i 4-5 g/L.

Potrebbe essere interessante usare altri luppoli come Chinook o Simcoe, oltre al Citra.

Si potrebbe anche aumentare leggermente il malto roasted, ma non è indispensabile. verrebbe un filo più “americana”, ma secondo me lo è anche così. Sembra quasi una “session imperial stout”, che è un po’ la mia idea dello stile American Stout.

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