Ideare e sperimentare nuove birre è divertente, ma anche ritrovare nel bicchiere una vecchia ricetta ben collaudata – ogni tanto – fa piacere.

È il caso di questa Scotch Ale/Wee Heavy, di cui ho già raccontato l’incidente di percorso a cui sono andato incontro il giorno della cotta (è la birra del pH sballato di cui parlo da settimane).

Nei casi in cui semplicemente rifaccio una vecchia birra, evito di pubblicare sul blog il solito post con ricetta e assaggio. Sarebbe andata così anche stavolta; se non fosse che, quando un paio di homebrewer mi hanno chiesto la ricetta (chi si è iscritto alla newsletter la conosce già nel dettaglio), mi sono reso conto che in realtà non era mai stata pubblicata sul blog.

Qualcosa online c’è (qui). Avevo evitato di divulgare troppi dettagli, in quanto la birra è stata prodotta presso il birrificio Eastside di Latina per un pub di Fregene. Rispetto alla ricetta originale, ho anche cambiato qualcosa. Specialmente nel grist.

Essendo passato ormai molto tempo, ho pensato che fosse arrivato il momento di archiviare la ricetta nel dettaglio qui sul blog. Anche perché la birra, nonostante i problemi di produzione che ho avuto in questo caso, a mio avviso è molto buona e ben centrata nello stile.

Originariamente, avevo affibbiato alla mia produzione casalinga un nome quasi impronunciabile ma per me molto caro. Il nome di una località sperduta nel cuore delle Highlands scozzesi – Altnaharra – legata a un ricordo bellissimo di un viaggio in Scozia (nel post originale racconto l’aneddoto legato al nome). Per ovvie ragioni, il nome commerciale della birra ha poi virato sul più scontato Wallace.

Evito l’introduzione con il solito approfondimento sullo stile, di cui ho parlato a sufficienza nel già citato post. Andiamo quindi al dunque.

RICETTA

Questa è una delle poche ricette – forse l’unica, almeno negli ultimi tempi – in cui utilizzo il malto Melanoidin. Lo usai nella prima ricetta e ci sono rimasto affezionato. Non lo amo perché è un malto che in genere lascia molto residuo dolce. Lo vendono come malto che in qualche modo simula la decozione o le lunghe bolliture, il che – nella pratica – si dovrebbe tradurre in una concentrazione di aromi dovuti alla reazione di Maillard.

Comprarne un Kg per usarne 200 grammi una volta ogni due anni mi pare uno spreco. È capitato però che un amico homebrewer americano me ne lasciasse un po’ prima di tornare in America, così ho pensato subito alla mia Scotch Ale e mi sono lanciato.

Non avevo il Carared e nemmeno il Vienna, usati nella ricetta originale. Li ho sostituiti con una buona percentuale di Monaco. Non è la stessa cosa, ovviamente, ma ridurre le note caramellate mi sembrava una buona cosa (erano abbastanza intense nella versione precedente).

Il tocco di Roasted Barley (andrebbe benissimo qualsiasi altro malto Roasted) è essenziale per le sfumature rossastre del colore, quindi è rimasto.

Come luppolo sarebbe stato meglio l’EKG per la gettata in late boil, ma non ne avevo e l’ho rimpiazzato con il Nugget. L’aroma di luppolo è leggerissimo in questa birra, il cambiamento della varietà di luppolo non ha avuto un impatto sostanziale. IBU bassi ma non bassissimi, perché la FG rimarrà abbastanza sostenuta, come è giusto in una birra del genere. Alla fine, è scesa anche più del previsto; ma il bilanciamento complessivo è buono.

Guardando alla precedente ricetta, mi sarei aspettato una FG leggermente più alta. Probabilmente, l’aver tolto il Carared ha spinto la fermentazione un filo oltre.

Acqua decisamente sbilanciata sui cloruri, per enfatizzare la componente maltata. Il pH è stato sballato sia in ammostamento (6.0) che durante lo sparge (6.0 anche qui). Non l’ho misurato a inizio bollitura, ma probabilmente era intorno  5.8. Dopo due ore di bollitura, opzione che ho scelto per enfatizzare le note maltate, il pH è sceso a 5.3. Quasi normale, al momento dell’inoculo del lievito.

Nonostante tutti questi casini, il pH alto non sembra aver influito negativamente sul risultato finale.

FERMENTAZIONE

Confermato l’approccio della prima ricetta: lievito ad alta fermentazione neutro, lasciato fermentare nel range basso di temperatura. Stavolta ho usato un mix di BRY97 e US05 (le ultime bustine che avevo nel frigo) e avviato la fermentazione a 17°C.

Tutto è filato liscio, senza intoppi.

Fondamentale la lagerizzazione di quasi un mese per pulire la birra e arrotondare l’amaro, che inizialmente era troppo intenso e lungo.

Avrei potuto rifermentare, ma sono stato pigro e mi sono affidato alla carbonazione forzata. In ogni caso, non credo che la rifermentazione sia particolarmente importante per questo stile. Non credo aggiunga chissà quale contributo. Carbonazione bassa, intorno ai 2 volumi, sempre per enfatizzare le note maltate.

ASSAGGIO

Non mi dilungo troppo sul profilo organolettico. La birra è venuta bene, a mio avviso molto bene. L’aspetto, come si evince facilmente dalle foto, è perfetto. Limpidissima, di colore mogano con riflessi rossastri e una fine schiuma color avorio, pannosa e persistente.

Al naso ha una buona intensità. Un tripudio di caramello tostato, frutta secca (uvetta e dattero) e anche un filo di frutta rossa. Leggerissimo erbaceo con una spruzzata di alcol che fa intuire il grado alcolico non bassissimo.

Al palato scorre morbida e vellutata con un impatto maltato significativo, leggermente dolce. L’amaro arriva in soccorso a metà sorso, sostenendo la bevuta quel tanto da non renderla stucchevole. Leggero calore alcolico che riscalda, ma non brucia.

Una birra piena, intensa, non snella come la Scotch Ale della Belhaven, per intenderci. Si potrebbe snellire un po’ riducendo il Melanoidin, il cui impatto mi pare si avverta chiaro. O sostituirlo con un malto Crystal a media tostatura. Nonostante il corpo importante, si lascia bere con piacere. Questo è l’effetto che mi piace di più.

L’impatto complessivo mi sembra simile alla birra che ricordo, anche se – riguardando la ricetta – secondo me tutto quel Carared la rendeva ancora più piena. Ma per venderla come “rossa doppio malto”, all’epoca, ci stava. Questa versione mi piace ancora di più.

Cheers,alla faccia del pH sballato!

 

6 COMMENTS

  1. Per ovvie ragioni, il nome commerciale della birra ha poi virato sul più scontato Wallace.

    Why ? Nome commerciale ?

    • Ho scritto che è stata prodotta in birrificio per un pub di Fregene (cittadina di mare vicino roma), c’è anche il link alle foto 🙂 SOno state fatte un paio di cotte e vendute al pub.

  2. Ciao Frank, solo una curiosità: leggendo la tabella relativa alla composizione dell acqua vedo che i solfati sono molto più alti dei cloruri mentre nella descrizione (se non ho letto male ) l intenzione era quella di sbilanciare l equilibrio verso i cloruri per accentuare la componente maltata. Inoltre una concentrazione così alta di sodio è opportuna per accentuare il corpo della birra? Grazie

    • Ho invertito le due caselline di solfati e cloruri in Excel, grazie per avermelo fatto notare! Correggo subito. Per quanto riguarda il sodio, io trovo che esalti molto i profili maltati di birre con corpo pieno, lo aumento anche nelle stout. Si tratta comunque di una concentrazione relativamente bassa, conta che in una Gose, per avvertire la sapidità, si arriva notmalmente intorno alle 200-300 ppm.

  3. Ciao,
    finalmente il mito del controllo maniacale del ph è stato sfatato. Basta con le misure ogni 10 minuti con phmetro professionale per verificare se il ph sta tra 5.20 e 5.21!
    Vero è che ogni homebrewer sceglie a suo insindacabile giudizio quali pratiche sono una perdita di tempo e quali indispensabili. È il bello di questo hobby.
    Poi arriva brulosophy: per loro qualunque pratica o accorgimento è inutile. Prossimo esperimento la birra con e senza malto, si noterà la differenza?

    • Non esagererei… 🙂 Sfatato con una singola prova, mi sembra eccessivo. Diciamo che in questo caso non ha avuto grande impatto, ma con questo non intendevo assolutamente dire che controllarlo non serve. Come dici anche tu, non c’è bisogno di essere maniacale e controllarlo 80 volte durante la cotta. Su questo, sono assolutamente d’accordo.

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