Utilizzare i fusti invece delle bottiglie è una svolta, c’è poco da fare. Da quando sono passato all’utilizzo della contropressione, raramente gestisco più di 15 bottiglie per cotta. Su questo, non tornerei mai indietro.
A valle della fermentazione, i 10 litri che produco finiscono tutti in fusto. Passano poi per una sosta al freddo – tipicamente intorno ai 4°C – che può durare da un minimo di due settimane a oltre un mese, in funzione del tipo di birra e del livello di torbidità di partenza.
Quando ho intenzione di rifermentare in bottiglia, come nel caso di birre belghe o di Weisse (sì, ho fatto anche una Weisse!), travaso 5 litri in un fustino, per berli alla spina; gli altri 5 litri li imbottiglio, per rifermentarli. Come dicevo, al massimo una quindicina di bottiglie da 33cl.
Se invece non rifermento, consumo la birra dal fusto da 10 litri attaccato alla spina finché mi va; poi, imbottiglio le rimanenze direttamente dal rubinetto di spillatura con il riempitore in contropressione della Kegland. In questo caso, imbottiglio 3-4 litri al massimo.
Quanto si può aspettare, prima di imbottigliare gli ultimi residui del fusto? Quanto dura la birra, una volta attaccata alla spina? Domanda dalla risposta complicata, proviamo a ragionarci su.
Cosa ci dice la teoria
Teoricamente, il collegamento alla linea di spillatura non dovrebbe in alcun modo alterare le condizioni della birra all’interno del fusto. Se l’impianto è fatto bene e la linea è bilanciata a dovere, la pressione applicata al fusto per spingere la birra fino al rubinetto di spillatura dovrebbe essere pari a quella equilibrio prevista per la carbonazione desiderata nella birra. Quindi, in teoria, nessun problema di alterazione della carbonazione.
La pratica può essere leggermente diversa, ma una variazione di piccola entità nella carbonazione non altera irrimediabilmente la birra. Se poi chiudiamo la bombola dopo aver spillato la birra – nei pub magari non si riesce, in casa sì – non vedo un grande potenziale di alterazione della carbonazione.
Sempre in linea teorica, se l’impianto di spillatura è assemblato bene, il collegamento del fusto alla spina non dovrebbe far altro che lasciar uscire birra mentre entra anidride carbonica nel fusto. L’anidride carbonica è inerte rispetto alla birra, lo sappiamo bene – la utilizziamo per saturare fusti e bottiglie -, quindi nemmeno questa dinamica dovrebbe creare problemi alla birra.
Se poi il fusto è conservato in frigorifero alla temperatura corretta, siamo al top.
E allora, perché la birra si dovrebbe rovinare?
Cosa succede nella pratica
In casa ho due libri che parlano di impianti di spillatura: Servire la birra di Bertinotti/Galati e il Draught Beer Quality Manual della Brewers Association. Li ho letti e studiati entrambi, ma non ho trovato accenni a questo tema.
Cercando su internet, diverse fonti (come questa), confermano la teoria che la birra nel fusto, se l’impianto è costruito a modo, non si dovrebbe rovinare affatto. Si parla di mesi di conservazione. Ovviamente, se la birra è molto delicata, dopo qualche mese tende a perdere freschezza, ma questo avverrebbe anche se il fusto non fosse stato attaccato alla spina.
Risposte più vaghe si trovano sui forum, dove c’è chi dice che la birra attaccata alla spina dura qualche settimana, chi un mese, chi non lo sa. Pareri personali piuttosto che vere e proprie indicazioni.
Eppure, dalla mia esperienza, la birra nel fusto, una volta che si inizia a spillare, piano piano tende a perdere freschezza. Non subito, e nemmeno da un giorno all’altro. Ma perde qualcosa, giorno dopo giorno, tanto che di solito cerco di passarla in bottiglia se il fusto è rimasto alla spina per più di un paio di settimane. Cosa che mi capita di frequente, anche con fustini da 10 litri.
Basta chiedere a qualunque publican, la risposta è sempre quella: un fusto attaccato alla spina si rovina dopo qualche settimana. Ovviamente, cede di più se parliamo di una birra luppolata, meno se si tratta di una Imperial Stout. Ma nessun publican serio terrebbe una IPA attaccata per due mesi. Perché si rovina, c’è poco da fare. È così.

Dalla teoria alla pratica
Perché quindi teoria e pratica non coincidono? Perché la birra si rovina nel fusto, una volta che si inizia a spillare, anche se non dovrebbe essere così?
Vi dico la mia, ma sono curioso di ascoltare altre teorie.
Il problema, secondo me, è sempre lo stesso: l’ossigeno. Finché il fusto è tenuto chiuso, scollegato dal mondo esterno, la birra è protetta dall’ossidazione. Difficile che possa entrare aria in un fusto chiuso, tenuto in pressione. Più che difficile, direi impossibile. Se ci fossero delle perdite, uscirebbe anidride carbonica e non entrerebbe aria. Almeno fino a quando la pressione interna non scende al pari di quella atmosferica. In quel caso, in un fusto che perde, potrebbe entrare aria.
Ma se il fusto è in pressione e non perde, la birra è protetta dall’aria esterna. Al 100%.
Stiamo chiaramente ipotizzando di aver lavorato bene a monte e che nella birra non siano già partite reazioni di ossidazione. In questo caso, la birra si rovinerebbe comunque, anche se non venisse collegata per la spillatura.
Il problema è quindi il collegamento alla linea di spillatura. Da qualche parte, a un certo punto, entra ossigeno.
Quando colleghiamo il fusto alla spina, lo mettiamo a contatto con tubi e connettori. L’isolamento interno viene alterato, la birra è a contatto con il mondo esterno. Il tutto dovrebbe avvenire in eguali condizioni di isolamento, ma probabilmente non è così.
L’aria può nascondersi nei tubi che portano l’anidride carbonica alla birra, o in quelli che portano la birra al rubinetto di spillatura. Una piccola sacca di aria potrebbe essere presente all’interno dei connettori stessi. Facendo molta attenzione a saturare i vari collegamenti si può ridurre il problema, ma quante volte lo facciamo? E quanto riusciamo a saturare tutti i collegamenti con l’anidride carbonica?
Sappiamo bene che bastano poche decine di ppb (parti per miliardo) di ossigeno per ossidare una birra luppolata. Il che non significa che diventa imbevibile da un giorno all’altro, ma sicuramente perderà freschezza.
Altra fonte di ossigeno potrebbe essere proprio la bombola di anidride carbonica. La purezza nelle bombole è garantita in genere oltre il 99.9% (link), un po’ di ossigeno è quindi sempre presente anche nelle bombole riempite al meglio. Non sono in grado di fare i conti delle ppb potenzialmente trasferite nella birra, ma sicuramente saranno di più rispetto alla birra lasciata nel fusto senza collegamento alla bombola.
Per me il maggiore indiziato rimane l’ossigeno. È sempre colpa sua.
Come il fusto viene collegato all’esterno, si corre il rischio di introdurre ulteriore ossigeno nel sistema. Più che un rischio, direi una certezza. Possiamo limitare i danni saturando tutti gli elementi che colleghiamo e utilizzando materiali e connettori adeguati, ma difficilmente potremo annullare totalmente l’ingresso di ossigeno nel fusto una volta collegato all’impianto.
UPDATE
Dopo aver pubblicato il post su Facebook, sono arrivati diversi interessanti commenti (link). Molti hanno confermato i miei sospetti sull’ossidazione, ma un commento ha proposto una spiegazione diversa.
Stefano Bisogno (docente alla DIEFFE), ha evidenziato come uno degli indiziati per la perdita aromatica potrebbe essere lo spazio di testa. Man mano che si spilla la birra, lo spazio di testa aumenta, favorendo la migrazione degli aromi della birra verso lo spazio gassoso sovrastante. Questo varrebbe soprattutto per gli aromi maggiormente volatili, come gli oli essenziali del luppolo. Devo dire che mi ha abbastanza convinto.
Qualcuno ha evidenziato come, stando a queste teorie (ossidazione o trasferimento degli aromi nello spazio di testa), i fusti con sacca interna (tipo i Talos) dovrebbero teoricamente preservare gli aromi durante la spillatura. Non tutti concordano su questo aspetto. Io non li ho mai uilizzati, quindi non saprei.

E quindi: quanto posso lasciare il fusto collegato alla spina?
Come sempre, vale il buon senso.
Nella mia personale esperienza, richiudendo ogni volta la bombola e magari scollegando il fusto se non si prevede di spillare per qualche giorno, una birra luppolata può rimanere in buone condizioni anche un paio di settimane, una volta collegata all’impianto di spillatura.
Ovviamente non si distruggerà da un giorno all’altro, ma mi sono reso conto che dopo una decina di giorni inizia a perdere leggermente di intensità. Non un dramma, per carità, si beve bene lo stesso.
Discorso simile per le birre lager, specialmente quelle più delicate come Pils e Helles. Tendono a rovinarsi presto anche le birre poco alcoliche con una significativa presenza di malti crystal, che si ossidano più velocemente.
Reggono più a lungo le birre più alcoliche, che però, per ovvie ragioni, si consumano in bottiglia e più raramente alla spina (in genere, cerco di evitare di attaccare 10 litri di Barley Wine all’impianto casalingo).
Ci sarebbe poi il tema Sodastream. Io uso queste piccole bombole per spillare, pensate per la gasatura dell’acqua. A volte prendo delle sottomarche. Anche le Sodastream e simili dovrebbero garantire una purezza oltre il 99.9% (link). Mi chiedo però se sia effettivamente così, visto che sono pensate per gasare l’acqua che non risente dell’ossidazione. Potrebbero avere dei range di tolleranza più ampi.





Ciao Frank, e come spieghi il fatto che di rovinano anche le birre nei fusti dotati di sacca interna (tipo Talos), in cui in teoria la birra non viene a contatto con nulla?
Non li ho mai usati, ma in realtà mi dicono che in quel caso si conservano più lungo. Anche perché, se così non fosse, siamo davanti a un vero e proprio mistero.
La teoria dello spazio di testa per la mia esperienza può reggere. Non sono un fine assaggiatore ma ritengo plausibile che nelle luppolate dopo una manciata di giorni l’aroma (e anche il sapore) tendono a affievolirsi ma non necessariamente si tratta di ossidazione, ad esempio ho notato come in una session ipa attaccata ad un impianto da frigo con jolly keg 18l al quinto giorno sono passato da un aroma netto di pompelmo ad un citrico più generico mentre il colore non ne ha risentito affatto. Adesso e’ attaccata da circa 15 Giorni ed il sapore/aroma e’ rimasto il medesimo e anche il colore e’ rimasto brillantissimo, certo adesso sara’ il caso di finirlo sto’ fusto.. in sostanza anche se non ossida va a perdere un po di aroma comunque ma se le condizioni sono buone rimane bevibile per un tempo piu’ che sufficiente. Probabilmente per cotte standard (19/25l) le luppolate sarebbe meglio metterle nel in fusti più piccoli.
Si potrebbe testare la teoria dello spazio di testa riempendo delle bottiglie a diversi livelli, dopo averle opportunamente saturate, fino al caso limite di bottiglie riempite magari solo a 1/3 della loro capienza, e poi fare magari un test a triangolo?
Invece una precisazione abbastanza inutile ai fini del tema dell’articolo: il libro “Servire la birra” è di Bertinotti e Michele Galati 😉
Il problema è come fare a saturare le bottiglie semivuote, è difficile tappare sulla schiuma se la bottiglia non è piena, le probabilità che ci finisca dentro più ossigeno sono alte. Il che inficerebbe la logica del test.
Grazie per la segnalazione sugli autori del libro, lapsus!