Il post della scorsa settimana sullo stato delle giurie nei concorsi per homebrewer ha suscitato molte reazioni e numerosi commenti sulla pagina Facebook del blog.
Sono emersi spunti interessanti su cui vale la pena riflettere. Che io sia d’accordo o meno conta relativamente: ciò che importa è che il tema sia ancora seguito e che in tanti abbiano sentito il bisogno di intervenire. Questo mi ha fatto molto piacere.
Per evitare che i vari commenti e contributi vadano persi nelle trame del social, ho pensato di ripercorrerli in questo secondo post, con qualche mia nota aggiuntiva.
Secondo me c’è molto su cui riflettere e altrettanto su cui lavorare.

Concorsi diversi, schede diverse
Giù dai primi commenti, è emerso che diversi homebrewer inviano la stessa birra a più concorsi. Le motivazioni dietro questa scelta possono essere varie: alcune sensate, altre – a mio parere – un po’ meno. Vediamo.
Avere più opportunità di piazzare la birra al BOS
Iscrivere la stessa birra a più concorsi vuol dire aumentare le possibilità che passi al BOS e che magari si aggiudichi qualche premio. Il BOS (Best Of Show) è il tavolo finale dove confluiscono le migliori birre dai tavoli preliminari. I giudici, in genere due ma a volte anche tre o quattro per tavolo, valutano 8-12 nello stesso flight. In genere, la prima – o le prime due – passano al BOS. Quelle che ricevono i voti più alti.
Per arrivare al la birra deve anzitutto essere davvero buona, ma conta anche la fortuna: se nello stesso tavolo capitano due o tre birre di buon livello, i giudici possono mandarne avanti solo una – al massimo due – verso il BOS. Si può rimanere esclusi dal BOS anche con birre che prendono valutazioni molto alte al tavolo, se si è particolarmente sfortunati.
Iscrivendo la stessa birra a più concorsi, si hanno maggiori probabilità di arrivare al tavolo finale. Una strategia che ha il suo senso, volta a contrastare contesti sfortunati. Ci sta.
Avere più conferme sul giudizio
Può capitare di imbattersi in una giuria con giudici poco esperti, oppure giudici molto più navigati che, semplicemente, prendono una cantonata. Spesso ci si illude che il giudice sia una sorta di macchina perfetta, capace di dare sempre lo stesso verdetto, indipendentemente da ciò che gli accade intorno.
Non è così.
Un giudice si allena per ridurre al minimo gli errori, ma lo svarione può sempre capitare. Ricevere schede da concorsi diversi sulla stessa birra può aiutare: permette all’homebrewer di avere una visione più sfaccettata della propria creazione, grazie ai feedback di più persone.
Così facendo, però, aumenta il rischio di ricevere pareri contrastanti che finiscono con il crare più dubbi che certezze. Capisco però che possa essere allettante.
Mettere alla prova giudici e concorsi
Capita di incontrare homebrewer che usano l’approccio multiconcorso per screditare l’intero metodo di valutazione dei concorsi (che non è certo perfetto, sia chiaro). Magari non con dolo o malizia, spesso solo per poter dire: “Eh, lo vedi? I concorsi non servono a niente, mi arrivano giudizi diversi sulla stessa birra”.
Secondo me, e secondo molti che hanno commentato il post della settimana scorsa, questo approccio andrebbe evitato.
Primo: non dimostra nulla. Chi fa giuria da anni sa benissimo che il proprio giudizio può essere influenzato da mille fattori esterni che non controlla. La stessa birra, assaggiata in giorni diversi – o anche solo in momenti diversi della stessa giornata, o in ordine diverso da quello del tavolo di giuria – può ottenere valutazioni differenti persino dalla stessa persona. È così, bisogna accettarlo. Questo non significa però che le giurie non servano: un buon giudice e un buon organizzatore fanno di tutto per ridurre questa variabilità. Semplicemente, non si può eliminarla del tutto. L’unica alternativa sarebbe una valutazione da laboratorio, che però racconterebbe solo una parte della storia.
Secondo: una singola valutazione non può screditare né un concorso né un giudice. Non è da un singolo giudizio che si misura la qualità di una giuria o di chi ne fa parte.
Terzo: la birra potrebbe non essere arrivata nelle medesime condizioni ai diversi concorsi. A meno di non aver assaggiato la birra proveniente dalla stessa bottiglia utilizzata dai giudici il giorno del concorso, non potremo mai avere la certezza che sia stata valutata esattamente la stessa birra che abbiamo assaggiato noi. Qualcosa potrebbe essere andato storto durante l’imbottigliamento e aver generato difetti riscontrabili solo in alcune bottiglie; il corriere potrebbe aver maltrattato il pacco; l’homebrewer potrebbe addirittura aver spedito la bottiglia sbagliata. Giuro, è successo davvero.

Le schede non servono, si partecipa per vincere
La mia idea è che molti homebrewer – specialmente quelli alle prime armi – partecipino ai concorsi per avere un feedback strutturato sulla propria birra. Da quello che ho potuto percepire, sono orientati al risultato soprattutto gli homebrewer più esperti. Quelli alle prime armi spesso mandano le birre per avere un feedback, essendo più o meno consapevoli in partenza che difficilmente potranno sperare in un BOS o addirittura puntare alle vittoria.
È legittimo partecipare per vincere. Sia per i premi, che a volte possono essere interessanti, sia per la gloria. È un approccio che condivido: anche io ho partecipato (e parteciperei) per vincere. Quando è capitato, l’emozione e la soddisfazione sono state enormi.
Ho notato però che spesso gli homebrewer leggono con attenzione le schede che ricevono, elaborando i consigli per metterli in pratica già alla cotta successiva. Poi rispediscono la birra al concorso e provano a piazzarsi meglio. E spesso funziona. Questo risulta evidente nelle interviste ai vincitori che Angelo Ruggiero pubblica sulla pagina Facebook del suo concorso Damned In Black, come questa o questa.
Secondo me – e secondo molti dei commenti arrivati al post – le schede nei concorsi per homebrewer rappresentano un valore aggiunto. Il vero punto, come già detto, è la qualità delle schede e della giuria.

Un concorso non è il contesto migliore per valutare una birra
Questa è una sfumatura della discussione che ho trovato interessante. L’idea è che le schede compilate durante i concorsi non possono essere ritenute affidabili, perché un concorso non fornisce le condizioni migliori per valutare una birra. Questo non significa che i concorsi siano inutili, ma che avrebbe più senso concentrarsi sulla selezione della birra migliore piuttosto che perdere tempo a compilare una lunga scheda, in condizioni che non sono certo quelle di assaggio ottimali.
Questo ragionamento è sicuramente applicabile a un concorso pro, dove le birre da assaggiare sono molte (parliamo anche di 30-50 birre al giorno) e i singoli tavoli di giuria sono composti da tante birre (10-15) servite spesso tutte insieme, una di fianco all’altra.
In queste condizioni, sono d’accordo che la compilazione dettagliata di una scheda non porterebbe a risultati affidabili, anche solo per il fatto che le birre attenderebbero decine di minuti sul tavolo nel bicchiere, prima di essere valutate. Con numeri di birre che superano le migliaia di iscrizioni in un concorso pro, sono d’accordo che l’approccio alla valutazione con schede dettagliate sarebbe difficile da gestire e fonte di stress per i giudici. C’è da dire che esistono concorsi pro che adottano questo metodo, anche se non è il più diffuso.
Nei concorsi per homebrewer, non è così. O meglio, non è più così per la maggior parte di essi.

Anche nei concorsi pe rhomebrewer organizzati peggio, raramente si assaggiano più di 10-12 birre per tavolo, e le birre non vengono mai servite tutte insieme (tranne che al BOS, dove infatti non si compilano schede). Il tempo per scrivere c’è. Anche nei concorsi meno brillanti in cui mi è capitato di partecipare.
In quelli organizzati bene, poi, non solo viene dato al giudice tutto il tempo necessario per compilare le schede, ma anche le condizioni sono ottimali: silenzio, assenza di odori, concentrazione massima.
Ci sono ovviamente condizioni di disturbo e bias inevitabili, come ad esempio la posizione della birra nella scaletta di assaggio o le occhiate che ogni tanto ci si scambia – anche solo per sbaglio – con l’altro giudice al tavolo. Tuttavia, nel complesso, trovo il contesto di un concorso per homebrewer – se organizzato bene – molto adatto alla valutazione ragionata di un abirra e alla compilazione attenta di una scheda.
Per dire, mi sento molto più concentrato durante gli assaggi in un concorso per homebrewer rispetto a quando assaggio una birra che mi hanno spedito a casa. Senza considerare che non sarebbe un assaggio totalmente alla cieca perché saprei chi ha fatto quella birra. Ci sono pro e contro in entrambi gli scenari, nessuno dei due è quello migliore in assoluto.
La condizione ideale sarebbe un panel di analisi sensoriale strutturato, ma stiamo andando fuori tema.
Vengono chiamati sempre gli stessi giudici
Qualcuno ha fatto notare che in alcuni concorsi finiscono per essere convocati sempre gli stessi giudici. È vero che può sembrare così: negli ultimi sette anni, per esempio, ho saltato solo due edizioni del Damned in Black, organizzato dal mio amico Angelo. Ma non è vero che ci siano sempre le stesse persone: sebbene persista uno zoccolo duro di tre/quattro giudici anche al Damned, negli anni si sono alternati diversi altri giudici. Lo stesso vale per Pastorianus, il concorso che Daniele Cogliati organizza a Milano da diversi anni.
È normale che un organizzatore continui a chiamare i giudici con cui si trova bene. Sarebbe strano il contrario. Se li considera capaci, affidabili e competenti, perché dovrebbe rinunciare a loro quando l’obiettivo è offrire un buon servizio agli homebrewer che partecipano?
Poi, certo, ci sono contesti in cui la qualità c’entra poco e le stesse persone vengono richiamate solo perché si propongono e l’organizzatore non sa dire di no. E questo, sì, sarebbe da cambiare. Servirebbe più coraggio da parte degli organizzatori, ma l’ho già detto. Allo stesso tempo, però, non sarebbe nemmeno giusto “bannare” per sempre un giudice solo perché in una giornata ha preso qualche cantonata.
Un organizzatore serio non ragiona così. Sbagliare capita a tutti, per smettere di convocare un giudice devono esserci segnali negativi chiari e ripetuti, non una singola scheda fatta male o un giudizio considerato fuori linea.
Rimane però una domanda interessante: se si chiamano sempre e solo i giudici più esperti, dove fanno esperienza i nuovi giudici?

C’è bisogno di più concorsi per homebrewer
È ormai più di un anno che, nella mia newsletter settimanale, segnalo i concorsi per homebrewer che si tengono in Italia. Non riesco a intercettarli tutti, ma da quello che registro non sono affatto pochi.
Al momento, da qui a maggio, ne ho censiti nove. Con l’inizio del nuovo anno, sicuramente ne partiranno altri. In media, così a occhio, ce ne sono almeno un paio al mese per tutto l’anno.
Sono pochi? Non mi pare. Ne servono altri? Non saprei.
Sappiamo con certezza che i giudici certificati BJCP sono aumentati negli ultimi anni (ne ho parlato in un altro post), mentre censire gli homebrewer è più complicato. L’impressione generale è che il loro numero sia stabile o addirittura che si sia ridotto negli ultimi anni. I concorsi sono pensati per gli homebrewer, non per i giudici. Se aumentano i giudici ma non gli homebrewer, perché dovrebbero aumentare i concorsi?
La mia idea, quindi, è che non servano più concorsi, semmai meno concorsi ma organizzati meglio. È un’opinione personale: nei commenti al post qualcuno la pensa diversamente. Ci sta.
Se nuovi giudici vogliono fare esperienza, secondo me lo spazio già c’è. Quelli più bravi, volenterosi e appassionati emergono. E non dimentichiamoci dei concorsi all’estero: grazie al network BJCP è possibile partecipare a tantissimi eventi in Europa, basta consultare la lista dei concorsi sul sito BJCP e scrivere all’organizzatore. In genere, una partecipazione non viene mai negata.
Il mio primo concorso come giudice BJCP è stato a Bristol, poi ne ho fatti molti altri a Londra, Lisbona, Budapest. Certo, bisogna arrangiarsi e comunicare in inglese, ma secondo me quella è la base per diventare un buon giudice: il viaggio stesso fa parte del percorso formativo.
Forse è una visione un po’ romantica, ma il concetto resta: spazio per fare pratica ce n’è già, se si è disposti a mettersi in gioco. Su questo tema è emersa anche una proposta interessante: l’affiancamento.
Si potrebbe tentare l’affiancamento
Una proposta che ha ricevuto un buon riscontro tra i commenti è stata quella dell’affiancamento: riservare un posto al tavolo di giuria per un giudice alle prime armi che vuole fare esperienza.
In pratica, ai due giudici di un tavolo se ne affiancherebbe un terzo, che assaggerebbe le stesse birre e compilerebbe la scheda, ma senza influire sulla media finale dei voti. Così il giudice “junior” (passatemi il termine) potrebbe fare esperienza sul campo senza modificare la valutazione complessiva.
Detta così, sembra un’idea fattibile. All’inizio mi aveva convinto. Riflettendoci bene, però, emergono alcune criticità.
Problemi logistici. Avere un giudice in più al tavolo comporta un aggravio per l’organizzazione. Servono bicchieri in più, che nel caso del vetro vanno sciacquati e riutilizzati. Una bottiglia da 33cl potrebbe non bastare per tre assaggi, soprattutto se si cerca di evitare di versare il fondo. Questo significa chiedere agli homebrewer più bottiglie, occupando più spazio nei frigoriferi. Non è una rogna da poco, soprattutto per concorsi piccoli.
Potenziali fonti di conflitto e confusione. Un terzo giudice, anche se non conta sul voto finale, può generare confusione. Se i due giudici “senior” fossero in disaccordo, il parere del “junior” potrebbe sbilanciare la discussione. Si potrebbe decidere che il giudice junior non parli, ma sarebbe una situazione piuttosto imbarazzante e poco formativa.
Disparità di trattamento. Nei concorsi per homebrewer (e anche in quelli pro) i giudici non vengono pagati. Qualche volta, raramente in quelli per homebrewer, si offre un alloggio per una notte, più spesso un pranzo e qualche birra. Con un budget così limitato, introdurre un giudice in più creerebbe inevitabilmente disparità di trattamento tra senior e junior. È vero che chi partecipa lo sa e lo accetta, ma resta uno scenario complicato da gestire.
Insomma, un’idea che potrebbe funzionare ma con molti aspetti a cui fare attenzione. Forse ha più senso seguire l’esempio di Daniele Iuppariello e del suo concorso BrewIT, dove ogni tavolo prevede un giudice con esperienza affiancato a uno meno formato, in modo da accogliere tutti e offrire una vera opportunità di apprendimento.
Gli homebrewer dovrebbero fare la loro parte
Chiudo con un commento che ha suscitato qualche perplessità: gli homebrewer dovrebbero fare la loro parte in tutto questo? In che senso? Come potrebbero contribuire al miglioramento delle giurie? Sembra una provocazione azzardata, ma in realtà può avere il suo senso.
Ci sono concorsi che, obiettivamente, non funzionano come dovrebbero. Tornano schede compilate male, racconti di birre assaggiate calde, tavoli con 15 birre che non permettono ai giudici di compilare schede decenti, anche se vorrebbero. Qualcuno racconta perfino di birre valutate senza essere mai arrivate.
Non voglio giudicare singoli concorsi né fare classifiche, ma voglio dire una cosa: tutti possono sbagliare, capita che qualcosa vada storto. Il problema è quando questi disservizi diventano la regola. In questi casi, forse converrebbe smettere di lamentarsi e semplicemente evitare di iscrivere le birre a concorsi del genere. Oppure decidere consapevolmente di partecipare solo per i voti e i piazzamenti (scelta lecita).
Lamentarsi e allo stesso tempo continuare inviare le birre non ha molto senso. Molti homebrewer scelgono i concorsi dove si trovano bene, ricevendo schede ben fatte e compilate con cura. Agli altri concorsi, semplicemente, non mandano le birre. Se non avranno più mercato, sfumeranno con il tempo. Se lo hanno, bene così.



