Ci sono alcuni stili che hanno una indiscussa valenza storica, ma restano difficili da inquadrare in relazione alla moderna classificazione stilistica. Le Grisette secondo me rappresentano un caso emblematico di questa sorta di glitch stilistici. C’è dietro tanta storia, ma non compaiono ufficialmente nelle maggiori guide agli stili. Non le nomina il BJCP, nemmeno tra gli stili provisional, ovvero quelli provvisori; non le cita la Brewers Association, che aggiorna con maggiore frequenza le proprie linee guida; le cita appena nei tag la nuova guida europea della EBCU, nella voce in cui descrive alcune birre speciali della tradizione belga come le Saison Légère, ma senza una vera e propria specificità.

Ho deciso così di approfondire la conoscenza di questo stile di origine belga, sia dal punto di vista storico che da quello pratico, studiando e mettendo mano al pentolone. Vediamo come è andata.

LO STILE

Il mio primo contatto con le Grisette credo sia avvenuto all’Eurhop di qualche anno fa, presso lo stand del birrificio americano Oxbow. Tra le tante birre farmhouse che proponeva in assaggio, c’erano diverse Grisette tra cui scegliere. Non conoscevo bene lo stile, quindi decisi di provarne qualcuna. Ricordo che le assimilai a una Saison, o meglio a una farmhouse in alcuni casi – se non erro mostravano anche una lieve acidità – con un contenuto alcolico ridotto e una grande bevibilità. Le classificai come una sorta di Light Saison nella mia testa, e andai avanti.

Non ebbi occasione di assaggiarne altre, fino a quando il mio amico Angelo Ruggiero non mi disse che ne aveva prodotta una per il brewpub in cui lavora, Lieviteria di Castellana Grotte, in Puglia. La birra in questione si chiama Vitessse. Gli chiesi subito se poteva mandarmene un assaggio. E così fu: nell’estate del 2020 assaggiai di nuovo una Grisette, questa volta prodotta in Puglia. Ne rimasi molto colpito, e l’idea di farla in casa iniziò a ronzarmi in testa.

Ma cosa si intende precisamente con Grisette? Da un punto di vista di ingredienti, ricorda molto una Saison poco alcolica:

  • ben luppolata, con luppoli in genere provenienti dell’Europa continentale o dall’Inghilterra. Raramente prevede aggiunte di luppolo in dry hopping, nel caso in piccole quantità.
  • grist di malto pils e altri cereali, spesso grano in significativa quantità.
  • probabilmente lievito Saison, anche se in molti documenti storici il profilo aromatico di queste birre viene indicato come “clean”. È tuttavia probabile che con “clean” si intendesse non “acida e non brettata”, come erano spesso le Saison dell’epoca perché invecchiate. Le Grisette invece si bevevano piuttosto giovani, senza sentori da Brett o acidità.
  • basso grado alcolico (3-5% ABV)

Di fatto siamo ampiamente nel range delle Saison belghe, tanto che nessuna guida dedica alle Grisette una categoria a parte. Per approfondire i tratti storici e organolettici di questo stile, consiglio di visitare il blog Hors Catégorie Brewing, che ha dedicato alle Grisette due lunghi e interessantissimi post (link1, link2). Se cercate nel blog, ce ne sono anche altri su aspetti più specifici.

Storicamente, le Grisette hanno origini diverse rispetto alle Saison, pur condividendo la stessa provincia di provenienza: l’Hainaut, una regione della Vallonia nel Sud Ovest del Belgio, al confine con le Fiandre del Nord. Mentre le Saison sono nate come birre prodotte nelle fattorie per dissetare i braccianti durante il lavoro nei campi, le Grisette, nate per dissetare anch’esse, costituivano la principale bevanda dei minatori, che le sorseggiavano durante le pause lavorative. Lo stesso nome, Grisette, deriva dalla parola “grigio“, che potrebbe riferirsi alla polvere delle miniere o al colore dei grembiuli che indossavano le donne che portavano da bere ai minatori. Mentre le classiche Saison affondano quindi le loro radici storiche nelle zone rurali delle fattorie, le Grisette sono strettamente legate alla rivoluzione industriale.

Come si può facilmente immaginare, anche perché vale lo stesso per molti altri stili, la ricetta della Grisette “ideale” non è cristallizzata nel tempo. Sicuramente lo stile è cambiando, passando per fasi con più o meno alcol, minore o maggiore invecchiamento, con o senza acidità. Tuttavia, mediando sulle varie evoluzioni storiche, sembra che i tratti che ho citato sopra siano quelli più rilevanti.

LA RICETTA

Dando un’occhiata agli ingredienti della mia ricetta si evince subito che mi sono un po’ lasciato andare sulla luppolatura. Diciamo la verità: avevo dei luppoli americani in dispensa che volevo provare in accoppiata con il French Saison della Mangrove Jack’s e ho colto l’occasione. Ovviamente le Grisette non erano prodotte con luppoli americani, ma l’accoppiata con il lievito mi sembrava interessante e ho deciso di provare.

Il grist è molto vicino a quello di una Grisette, con base Pils e una buona percentuale di grano maltato. Avevo della segale che mi avanzava dalla precedente Rye IPA e ho deciso di inserirla in ricetta, sperando in un leggero contributo rustico che questo cereale in genere conferisce alla birra.

Se volete produrre una Grisette più in stile partendo da questa ricetta, è sufficiente rimpiazzare la segale con un peso equivalente di malto di grano e i luppoli americani con luppoli europei (EKG, Saaz, Styrian Goldings).

Ho optato per una ammostamento nella parte alta del range di temperatura per provare a mantenere un po’ più alta la FG, ma come vedremo non è servito a nulla: il French Saison non si lascia intimidire da qualche destrina in più. Il vantaggio di fare un ammostamento a questa temperatura è che in massimo 45 minuti tutti gli amidi sono già convertiti (test dello iodio alla mano).

FERMENTAZIONE

Lievito molto facile da utilizzare: tira dritto verso l’obiettivo senza lasciarsi intimidire. Partenza con temperatura non troppo alta per limitare – senza esagerare – la formazione di esteri, poi aumento graduale per favorire l’attenuazione. Non credo comunque faccia la differenza con questo lievito, che attenuerebbe comunque.

Cold crash brevissimo perché non avevo fatto dry hopping e non mi interessava comunque pulirla più di tanto.

Rifermentazione in bottiglia con aggiunta di T58, 0,03 gr/L puntando a una carbonazione di 3 volumi. Aggiungo sempre lievito da rifermentazione, anche se non servirebbe: non mi costa nulla e velocizza comunque la rifermentazione.

ASSAGGIO

Questo assaggio viene da una bottiglia con più di due mesi di vita. La birra è cambiata nel tempo: ha perso leggermente intensità aromatica (in particolare le note di luppolo), ma ha guadagnato a mio avviso sul bilanciamento complessivo. La versione rifermentata in fusto era più intensa negli aromi (anche perché più fresca) e meno carbonata (volutamente, per semplificare la spillatura), ma per il resto le due versioni, fusto e bottiglia, non sono molto diverse.

 ASPETTO  Scende nel bicchiere con un ampio cappello di schiuma, bianca, piuttosto pannosa, con qualche bolla grande qui e là dovuta alla carbonazione sostenuta. Molto persistente. La birra è di colore giallo dorato, leggermente più chiaro rispetto alla foto. abbastanza velata, ma non torbida.

 AROMA  Aroma di media intensità, ben convogliato nelle narici dalle bollicine e dalla carbonazione piuttosto vivace. Spiccano da subito le note agrumate, tra cui principalmente limone ma anche pompelmo, affiancate da una interessante nota di pepe bianco con decise tonalità rustiche. Oltre all’agrumato emergono sbuffi di frutta più dolce come pesca, passion fruit, uva spina e ananas. Completa il bouquet una venatura erbacea, quasi resinosa e balsamica.

 AL PALATO  L’ingresso riprende la frutta percepita in aroma con buona intensità. Più evidente l’erbaceo, che arriva subito insieme all’amaro a contrastare la dolcezza della frutta. Il bilanciamento vira subito verso l’amaro del luppolo, che accompagna la leggerissima dorsale maltata fino al termine del sorso. Il malto emerge nel retrolfatto, con note di cereale, insieme a una ritorno di frutta dolce che ricorda soprattutto la pesca e l’ananas. Non riesco a distinguere netto il contributo della segale, ma un leggero tocco speziato rimane sempre presente nelle retrovie. Finale estremamente secco.

 MOUTHFEEL  Corpo basso. Carbonazione alta. Forse qualche bollicina di troppo che si scontra con l’amaro deciso ed erbaceo. Ne risulta un amaro leggermente ruvido, ma non astringente. Mi piace carbonare vivacemente le birre belghe, in genere, ma forse in questo caso – dove la luppolatura è piuttosto spinta – una carbonazione più bassa avrebbe giovato.

 CONSIDERAZIONI GENERALI   Una birra che sto bevendo molto volentieri. La versione in fusto, carbonata leggermente meno per rendere più semplice la spillatura, mi è piaciuta di più. L’idea originale era di fare anche un po’ di dry hopping, ma quando l’ho assaggiata dal fermentatore a fine fermentazione mi sono reso conto che non era necessario. Anzi, troppo luppolo in aroma avrebbe snaturato l’idea di birra che avevo in mente.

Trovo che il French Saison secco sia davvero un bel lievito da usare insieme al luppolo: le note speziate e leggermente fruttate si bilanciano molto bene con la resina e la frutta del luppolo. Inoltre è un lievito davvero facile da usare: tira dritto fino alla densità finale senza nessun intoppo. L’unica attenzione è bilanciare l’estrema secchezza, limitando l’amaro e aggiungendo magari cereali che aumentano la percezione del corpo. Trattandosi di un lievito con un tratto Diastaticus molto evidente (link per dettagli), la temperatura di mash non ha praticamente nessuna influenza sulla FG. Nel mio caso è arrivato a 1.002 di FG con mash a 70°C, segno che questo lievito è in grado di consumare qualsiasi destrina.

In conclusione direi birra da rifare, magari sostituendo i luppoli americani con altre varietà europee, per rimanere più in linea con lo stile.

4 COMMENTS

  1. Ciao Frank, sempre molto interessante.
    Come vedi il French Saison con un grist 50/50 Pilsner/Wheat e poi frutta (lamponi) a fine tumultuosa?

  2. Come sempre grazie Frank, leggere i tuoi blog sono un piacere e un’ispirazione.
    Se posso consigliarti, io nella mia Grisette uso un 10% ( sul totale ) di farro della Château al posto della segale. Personalmente trovo dia un ottimo contributo e come luppoli resto sugli europei, su tutti H.Blanc e Ariana a fine boil o flame out, mi piace molto gli aromi che rilasciano

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