Chi segue il blog (ma soprattutto la newsletter) avrà notato come, negli ultimi tempi, mi sia focalizzato (ma potremmo anche dire incaponito) nel brassare Pils in stile ceco. In piccola parte è colpa (merito?) dell’hype che negli ultimi tempi questi stili stanno vivendo, ma in buona parte la mia motivazione è più orientata alla ricerca e alla comprensione.
Parlo soprattutto delle Světlé Ležák, ovvero delle pils ceche chiare con gradazione attorno ai 4.5-5.0% ABV. Lasciamo da parte – per ora – le Polotmavé (ambrate) e le Tmavé (scure). Nel BJCP, le Světlé Ležák sono chiamate Czech Premium Pale Lager.
Dicevo: una ricerca orientata alla comprensione. Esatto. Perché, per quanto in giro troverete persone convinte di conoscere a menadito le differenze tra queste birre e una pils tedesca (quale pils tedesca, poi?), a me non è che siano ancora totalmente chiare. Sono sincero. In via teorica sì, ma a livello di assaggio trovo ancora difficoltà a trovare una linea netta di confine tra le due interpretazioni.
Questo nonostante di assaggi ne abbia fatti un bel po’ ultimamente, grazie – appunto – all’hype che si è sviluppato e che ha fatto arrivare a Roma diversi esempi di stile. Purtroppo, non sono riuscito a tornare in Repubblica Ceca di recente, ma tra acquisti online, l’ultimo Eurhop (con spine dedicate ai nuovi birrifici cechi) e le versioni che ho trovato diverse volte alla spina nei miei pub di fiducia, qualcosa l’ho bevuta.
Non ho trascurato nemmeno lo studio. Come al solito ho letto molto, tra vari articoli online, il bellissimo libro scritto dal mio amico Angelo Ruggiero insieme al mitico Paolo Crovace (link) e le tante chiacchierate fatte con chi ne sa ben più di me.
Tuttavia, tanti dubbi rimangono. Oggi cercherò di metterli nero su bianco, in tutta sincerità.
Che diavolo è una pils chiara ceca?
Questa è una domanda che mi tormenta da tempo. La risposta sarebbe a prima vista immediata, la solita tiritera che viene ripetuta di continuo: una birra più corposa e maltata delle pils tedesche (grazie, ovviamente, alla miracolosa decozione!); erbacea, amaro più rotondo e meno tagliente (grazie alla miracolosa acqua leggera!) e agli ingredienti di origine cechi; meno attenuata delle pils tedesche, spesso con leggero diacetile che può dare corpo e rendere il mouthfeel più morbido; più scura dei classiconi teutonici e con un profilo di fermentazione leggermente fruttato.
Pare facile. Ma è davvero così? Risposta breve: no.
Basta mettere sullo stesso tavolo una pils di Budějovický Budvar, una Pilsner Urquell in bottiglia, la stessa in versione Taankova; una pils di Kamenice, una di Vinohradský, una di Uhříněves e una di Prokopák. Ammetto di non averle assaggiate tutte contemporaneamente alla cieca, ma dai miei ricordi (piuttosto recenti) si tratta di sei birre molto diverse l’una dall’altra. Alcune più tipicamente ceche, altre meno, altre una via di mezzo.
Per non parlare dei tanti esempi che i birrifici italiani hanno sfornato negli ultimi anni. Diverse volte mi sono ritrovato con il bicchiere in mano a chiedermi cosa avesse di ceco la birra che stavo assaggiando e che era venduta – dal birrificio italiano di turno – come Czech Pils. Alcune davvero buone, ma incarnavano l’essenza dello stile?
Questo stile, a mio avviso, mette fortemente a nudo l’insieme di sensazioni, percezioni e stati d’animo che comunemente viene definito bias, ovvero condizionamento. Per riassumere banalmente: sto bevendo un classicone ceco, magari in un pub in repubblica ceca, quindi si sente che è ceco. Sento la decozione. Sento il luppolo Saaz. Sento il leggero diacetile che dà corpo. Ma li sentiamo davvero?
Boh. In molti casi i miei dubbi sono stati forti.
Magari non capisco una mazza io, per carità – possibilissimo.
L’ultima epifania di questo tipo l’ho avuta durante lo scorso Eurhop. Corro al bancone ceco, ordino la Kluk pils di Prokopák (che non avevo ancora mai provato), la assaggio nella pinta americana in mezzo alla confusione totale e penso: birra ottima, ma dove sono il maltato, il finale pieno, il diacetile (vabbè, quello in realtà non c’è in molte birre moderne ceche), il colore più scuro? Poco dopo leggo su Facebook un post del mio amico Angelo – che già conosceva bene il birrificio: “Splendida Kluk di @pivovarprokopak e tanto altro!”
Il dubbio che io non abbia capito un cavolo si riaffaccia nella mia mente, netto.
Torno a casa. Ci rifletto su. Qualche giorno dopo bevo nuovamente una pils di Vinohradský da Luppolo Station – da solo al bancone – e riprendo a riflettere. Quest’ultima continua a sembrarmi molto più ceca dell’altra, ma sarà davvero così?
Chiaramente, l’esperienza solitaria al bancone è un’altra cosa. Figuriamoci quando il bancone è a Praga, o nei dintorni, e tra le mani abbiamo un boccale Tübinger e davanti un piatto di goulash. La birra è ceca per forza, il bias spinge forte.
Ma se fossi nei panni di un giudice, seduto al tavolo con davanti un bicchiere piccolo con dentro tre dita di birra, senza altri riferimenti che il mio manuale BJCP alla mano e la mia memoria, riuscirei a classificare quella specifica birra come ceca? In alcuni casi decisamente sì, immagino. Ma in altri, e non sono pochi questi casi, forse no.
Provo quindi a rispondere sinceramente alla domanda iniziale: cosa è davvero una pils ceca? Proverò a essere il più cinico e pragmatico possibile, mettendo da parte miti, storie da bancone, romanticismi, passioni, acque storiche e tutti i vari racconti – più o meno veri – che si tramandano nei vari corsi di degustazione da anni su questo stile.
Cosa ci sento – io – in una pilsner ceca
Mettiamo subito in chiaro una cosa: non pretendo che quello che io avverto in queste birre venga universalmente riconosciuto. Ci mancherebbe. Però, vorrei provare a spiegarmi meglio, evitando di usare i soliti luoghi comuni tipo “si sente il malto”, “c’è il diacetile” “è rotonda” e frasi del genere.
Colore
Partiamo dal colore. Tendenzialmente, le lager ceche sono leggermente più scure delle classiche tedesche. Ci sono eccezioni, con pils prodotte in Germania (come alcune della Franconia) che mostrano un dorato più intenso, ma mediamente le pils tedesche sono più chiare, tendenti al paglierino.
Potrebbe sembrare una banalità, ma ricordiamoci che il bicchiere fa molta differenza nel colore. La stessa birra, se versata in due bicchieri diversi, può assumere colorazioni piuttosto differenti. La differenza nel diametro tra un dimpled mug e un pilsner glass può dare una significativa sferzata al colore. Tradizionalmente, in repubblica ceca le pilsner sono servite nel primo, il che rende le sfumature dorate decisamente più intense.
Detto ciò, per me le pils ceche sono mediamente più cariche di colore. Se questo venga dalla decozione, da malti speciali o da entrambe le cose non è sempre dato saperlo.
Fermentazione e Diacetile
Qualcuno (come anche il BJCP) descrive la potenziale presenza di leggeri esteri, ma a dire la verità io non li ho percepiti negli esempi che ho bevuto. Nelle birre più ambrate qualcosa sì, ma parliamo di uno spunto di frutta rossa che secondo me deriva dai malti e non dalla fermentazione.
Mi sono sembrate fermentazioni molto pulite, non dissimili da quelle tedesche; qualche volta spunta del diacetile, ma ormai è più l’eccezione che la regola se si beve in posti che trattano la birra decentemente.
Non mi sentirei di considerare gli esteri una caratteristica tipica di questi stili. E, a dirla tutta, nemmeno il diacetile.
Luppolo
Per quanto riguarda la luppolatura, l’utilizzo del Saaz (Žatec in ceco) è senza dubbio un elemento distintivo. Che poi non è che in Repubblica Ceca esista un solo tipo di Saaz, e non è nemmeno vero che tutti i birrifici utilizzino sempre e solo Saaz. Però, anche fosse, cos’ha di diverso il Saaz rispetto ad altri luppoli nobili come il Tettnang o lo Spalt, più utilizzati in Germania?
Con Daniele avevamo dedicato un episodio della serie Epic Fights di MashOut! Podcast proprio al luppolo Saaz (link). Nonostante ciò, non è che sia mai riuscito a definire – almeno nella mia testa – le esatte differenze aromatiche tra i vari luppoli nobili. Sono caratterizzati tutti più o meno da un profilo erbaceo con leggere venature speziate. Anche il Saaz è così. In alcuni casi possono emergere leggere note agrumate, con sfumature di limone o addirittura mandarino. Nel Saaz mi pare di sentirle meno.
Detto ciò, faccio un po’ fatica a isolare l’aroma del Saaz da quello di altri luppoli nobili. Poi, ripeto, di varietà di Saaz ne esistono diverse, come ad esempio il Saaz Late.
La quantità utilizzata in aroma e flavour è molto variabile. Negli esempi più industriali e classici, tipo Budějovický Budvar o Urquell, la nota erbacea è molto delicata. Nelle interpretazioni più moderne, come ad esempio Vinohradský, il taglio erbaceo si avverte molto di più.
In questo caso non riesco ad andare oltre i descrittori tradizionali: erbaceo e pepato. Forse si avverte meno l’agrumato rispetto ad altri luppoli, ma potrebbe essere una mia convinzione. L’intensità forse è maggiore negli esempi cechi rispetto a quelli teutonici, ma dipende quali si prendono come riferimento in entrambi i casi.
Alla finale del campionato MoBI dello scorso anno, il mio amico Americo portò una Czech Pils che mi fece assaggiare prima. Gli dissi che secondo me era buonissima, ma davvero troppo luppolata in aroma per lo stile (mi pare avesse fatto anche dry hopping). La birra si piazzò benissimo, forse addirittura vinse la tappa a stile libero. Altra dimostrazione che – forse – non ci ho capito una mazza.
Malto
Il malto di sente, questo sento di poterlo dire. Si avverte in modo diverso dal classico finale di cereale/fieno che percepisco nelle pils tedesche, almeno in quelle più classiche. Anche questo aspetto è piuttosto variabile nelle varie interpretazioni che mi è capitato di assaggiare. In alcuni casi il maltato arriva a toccare quasi punte di caramello, ma in media parliamo di una sensazione piuttosto che di un sapore netto.
Spesso ci sento del miele – anche abbastanza netto – che non è sempre ben visto da chi assaggia questo tipo di birre. Il miele è spesso associato all’ossidazione, il che porta qualcuno a storcere il naso quando emerge in una pils o in una helles tedesca. In effetti, questo può capitare. L’ossidazione può produrre delle note dolci – spesso dovute alle aldeidi – che ricordano il miele; in alcuni casi, questi aromi dolciastri da ossidazione possono arrivare anche a dare lievi note di caramello.
Il birraio di Budějovický Budvar (storico produttore della Repubblica Ceca) racconta come, ne loro caso, l’ossidazione a caldo sia addirittura ricercata per scurire il colore e per migliorare il mouthfeel (link). Chissà che il miele non venga anche da qui.
Secondo me, l’aspetto principale del profilo organolettico delle migliori interpretazioni delle pils ceche è l’interazione tra questa nota maltata di miele e la freschezza erbacea del luppolo. Ci avverto molto un richiamo a delle caramelle al miele balsamiche. Ma qui arriviamo al bilanciamento complessivo, che secondo me è la vera chiave di queste birre.
Un equilibrio miracoloso
Quello che distingue queste birre, alla fine, non sono tanto i singoli aspetti di cui ho parlato fino ad ora presi uno per uno. Piuttosto, il vero miracolo nasce dall’interazione tra di essi. Amaro deciso ma morbido, taglio erbaceo, corpo leggermene sopra le righe ma non ingombrante, un tocco di miele: il sorso che si chiude soddisfatto, senza intoppi, senza stucchevolezza.
Queste sensazioni non le ritrovo nelle pils tedesche, dove il taglio finale è in genere decisamente più secco, il malto più timido senza note evidenti di miele.
Qualcuno potrebbe tirare in ballo il diacetile che può dare un effetto di maggiore rotondità al palato. Questo è vero, in alcuni esempi (vedi la Urquell) si percepisce. Ma mi sento di dire che non sia la chiave dell’equilibrio di queste birre, ma un retaggio storico che i produttori moderni hanno ben superato.
Merito della decozione? Dell’acqua leggera? Del lievito? Può darsi, ma non sono riuscito a trarre conclusioni convincenti su nessuno di questi aspetti. Ci sto lavorando, cotta dopo cotta, cercando di mettere da parte qualsiasi pregiudizio e lasciandomi guidare dai sensi.
Nella prossima puntata farò il punto sulle varie prove che ho fatto in casa negli ultimi tempi. Sperando di capirci qualcosa. Oppure no. Vedremo.