Quando siedo a un tavolo di giuria, mi trovo sempre a gestire i miei bias. Uno di questi è la percezione degli aromi fenolici, che la mia mente tende ad associare unicamente alla fermentazione. Li vado a cercare in una birra belga, o in una Weissbier, mentre tendo a trascurarli in altri stili come birre inglesi o lager.

Riflettendo sulle possibili cause di questi aromi, mi sono reso conto che è importante liberarsi dal condizionamento. Gli aromi fenolici non derivano solo dalla fermentazione o da una potenziale contaminazione. Possono fare capolino anche in stili dove non ce li aspettiamo. Un buon giudice deve essere in grado di riconoscerli e, soprattutto, di individuarne la potenziale causa. Impresa più difficile di quanto si possa pensare.

Fermentazione

I fenoli che si sviluppano durante la fermentazione sono abbastanza immediati e semplici da individuare. Il classico aroma di chiodo di garofano, dovuto alla trasformazione degli acidi fenolici dei malti in vinilfenoli, è il più comune.

Le sfumature aromatiche di questi composti, tra cui i più noti sono il 4VG e il 4VP (4-vynil-guaiacol e 4-vynil-phenol), possono ricordare, oltre al chiodo di garofano, anche il pepe, il cumino, la noce moscata; talvolta arrivano all’affumicato, in casi estremi al medicinale (raro). Qualcuno li associa anche alla plastica bruciata, ma ritengo che questo tipo di sfumatura sia più legata ai composti dello zolfo.

Per produrre questi due composti, il lievito deve essere in grado di sintetizzare alcuni specifici enzimi. Questi lieviti vengono definiti POF+ (Phenolic Off Flavour Positive). Ne ho parlato approfonditamente in un precedente articolo (link).

Se mi trovassi nel bicchiere una birra con aroma fenolico di questo tipo, che non fosse belga o comunque intenzionalmente fermentata con lieviti POF+, penserei probabilmente a una contaminazione.

Il problema è che i lieviti POF- non possono produrre i vinilfenoli 4VG e 4VP, ma non è detto che non producano aromi speziati in generale. Non sentiremo il classico chiodo di garofano, ma non è del tutto impossibile avvertire leggere note speziate di pepe. Non è chiaro, infatti, da quali composti della fermentazione vengano alcune sfumature di aromi speziati.

Il lievito Abbaye della Lallemand, POF+

Il caso classico è una Belgian Dark Strong Ale fermentata con il lievito BE-256 della Fermentis, che è POF-. Non è affatto detto che non presenti sfumature speziate dovute alla fermentazione. Sicuramente non ci sarà il chiodo di garofano, ma non è improbabile sentire una leggera sfumatura di pepe.

In alcuni casi, la leggera speziatura potrebbe anche venire anche da luppoli continentali. In questo ultimo caso, però, si tratta di composti diversi: non siamo più nel mondo dei fenoli da fermentazione, ma in quello dei terpeni, provenienti dagli oli essenziali dei luppoli. In generale, quando lo speziato deriva dal luppolo, dovremmo percepire anche altro come sfumature erbacee o floreali.

Addirittura, alcuni cereali (come la segale), potrebbero dare un leggero tocco speziato. Qualcuno lo sente anche nel farro, ma non mi trovo d’accordo.

Insomma, la questione non è facile.

Se invece avvertissi un fenolico “sospetto”, magari più vicino al chiodo di garofano, ipotizzerei una possibile infezione. In questo caso, credo sia probabile avvertire anche altro come acidità o sfumature “funky”, che dovrebbero aiutare nell’analisi.

Contaminazione

Nel caso in cui la birra fosse fermentata con lieviti della famiglia dei Brettanomyces, i vinilfenoli muterebbero in etilfenoli, tra cui i più comuni sono il 4EG e il 4EP (4-ethyl-guaiacol e 4-ethyl-phenol). Anche alcuni batteri delle famiglia dei Pediococchi e dei Lattobacilli sono in grado i produrre questi aromi.

In questo caso, a meno che la birra non sia volutamente fermentata con microrganismi “wild”, sorge chiaramente il dubbio su una potenziale contaminazione. Questo va scritto sulla scheda, fornendo tutti gli indizi che ci hanno portato a sospettare una possibile interferenza di lieviti selvaggi o batteri nella fermentazione.

E se avvertissi un chiaro aroma fenolico, al limite del chiodo di garofano, in una bassa fermentazione che non sembrasse contaminata? Una possibile spiegazione c’è.

brett-pellicle

Bollitura

Il 4-vinyl-guaiacolo può essere prodotto anche tramite degradazione termica degli HCA (link), ovvero gli acidi fenolici contenuti nei malti. La degradazione termica avviene quando una sostanza viene riscaldata a temperature molto alte, oppure a temperature medie ma per un tempo più lungo.

Durante la bollitura del mosto viene prodotta una piccola quantità di 4VG, l’aroma di chiodo di garofano. In genere, la concentrazione rimane sotto la soglia di percezione. Se però la bollitura viene protratta per lungo tempo, o se si verificano delle bruciature, ad esempio nel caso di glumelle a contatto con la fiamma diretta, la concentrazione di 4VG può aumentare e arrivare oltre la soglia di percezione.

Il 4VG e il guaiacolo sono infatti aromi tipici della tostatura del legno, come avviene ad esempio nelle botti. Il primo deriva dall’acido ferulico, il secondo dalla lignina.

È quindi tecnicamente possibile rilevare aromi speziati che non derivano dalla fermentazione né da una contaminazione. Nel caso si fossero verificate bruciature del mosto, queste sarebbero più evidenti. Lunghe bolliture, magari in birre in cui sono stati usati malti molto tostati, dove una parziale degradazione termica è già avvenuta in fase di produzione del malto, possono generare una sfumatura fenolica più delicata ma avvertibile.

Se avvertissi un aroma fenolico di questo tipo in una bassa fermentazione, lo evidenzierei. In alcuni casi potrebbe anche essere piacevole – penso a una Doppelbock scura – ma tendenzialmente lo segnalerei quantomeno come aroma non tipico dello stile, specificando che non ritengo provenga da contaminazione ma potrebbe essere il risultato dell’utilizzo dei malti tostati o di una lunga bollitura.

Tostatura dei mati

Mi è capitato, qualche volta, di avvertire un tocco balsamico (non medicinale, ma simile) in birre in cui non mi sarei aspettato un aroma fenolico. Ricordo mi capitò in una Bock che assaggiai, come giudice, all’edizione dello scorso anno del concorso Pastorianus, dedicato solo alle birre lager.

Mi sembrava un aroma simile a quello che potrebbe dare un miele di tiglio, per intenderci. Era molto piacevole, ben integrato nella birra, ma il mio cervello da homebrewer non riusciva a collegarlo a nessun ingrediente in particolare.

La birra non sembrava in alcun modo contaminata; non era così forte da ipotizzare degli ingredienti aggiunti (tipo miele); non sembrava uno speziato riconducibile al luppolo (anche perché di luppolo non se ne avvertiva al naso).

Mi sono trovato in difficoltà. Non sapevo bene cosa scrivere sulla scheda. Mi sembrava fuori luogo citare un aroma fenolico e lasciarlo lì così, senza commento. Magari accompagnato anche da un voto abbastanza alto.

Se non ricordo male, alle fine scrissi che avvertivo una lieve nota balsamica che probabilmente veniva dai malti. Il ragionamento ci sta. La birra era chiara, ma non chiarissima. L’utilizzo di malti leggermente tostati, insieme alla bollitura, potrebbero introdurre lievi note fenoliche/balsamiche, conseguenza della degradazione termica degli acidi fenolici o della lignina contenuta nelle glumelle dei malti.

Affumicatura dei malti

Il fumo da legna contiene moltissimi aromi fenolici. Oltre al 4VG e al 4VP, la degradazione termica della lignina può produrre guaiacolo (presente nel chiodo di garofano o nell’alloro) e vanillina, un’aldeide fenolica che può derivare anche dalla degradazione del 4VG (e quindi fare capolino nelle Weisse quando sono troppo vecchie).

L’utilizzo di malti affumicati nella birra in genere è piuttosto evidente, non dovrebbe essere difficile riconoscerne la presenza in fase di assaggio.

In caso di utilizzo in quantità ridotte, è possibile che l’aroma affumicato non sia così evidente. Questo potrebbe portarci in confusione al momento dell’assaggio. È quindi saggio porsi la domanda: è possibile che siano stati utilizzati malti affumicati in questa birra? Se questo riflesso viene abbastanza automatico quando si assaggia una Scotch Ale, dove gli homebrewer spesso tirano dentro una manciata di malto peated, è invece meno intuitivo se si sta assaggiando una Helles tedesca iscritta nella categoria standard.

Ma gli homebrewer sono imprevedibili, è bene mantenere aperta la mente.

Passaggio in botte

Gli aromi fenolici derivanti dal passaggio in botte sono legati a quelli dell’affumicatura. In genere, infatti, derivano dal passaggio di tostatura delle doghe della botte. Il calore genera pirolisi della lignina e degli acidi fenolici creando sentori di chiodo di garofano, spezie e vanillina.

In genere non è difficile capire se una birra è passata in botte. Teoricamente, andrebbe anche iscritta nella categoria “wood aged”. Può capitare, però, che i sentori del legno siano molto bassi, quindi è bene considerare anche la botte come potenziale fonte di aromi fenolici.

Residui di cloro

Parliamo di clorofenoli, ovvero composti in cui i fenoli si legano al cloro. L’aroma è riconducibile più al cloro stesso, ricorda solitamente l’aria che si respira a bordo-piscina.

Per mia personale esperienza, non è un tipo di aroma che si trova spesso nella birra. Deriva da residui di cloro, quindi utilizzo di sanificanti a base di cloro (come la candeggina) che non sono stati ben risciacquati, oppure acqua con eccesso di cloro o cloramine.

Entrambi scenari piuttosto remoti.

In questo caso, il difetto è facilmente individuabile e ascrivibile a una delle due cause di cui sopra.

Ossidazione

Bello attribuire all’ossidazione qualsiasi colpa. Perché non buttarci dentro anche l’aroma fenolico? Mi è capitato di leggere anche questo, nella scheda di un proctor ad un esame BJCP.

Per quanto ne so – ma se sbaglio, correggetemi – non esistono scenari in cui l’ossidazione possa generare aromi fenolici dal nulla. O da qualche precursore. Anzi, gli acidi fenolici sono potenzialmente antiossidanti (e anche antibatterici, in parte).

Quindi, direi di no. L’ossidazione – poverina – stavolta non c’entra nulla.

Scriviamo cose sensate, ragionando. 

Questa lunga riflessione porta le seguenti raccomandazioni (che mi faccio da solo),

Punto uno: cercare sempre di tenere la mente aperta quando si assaggia una birra. È importante passare in rassegna tutti i potenziali aromi che potrebbero essersi sviluppati nella birra, anche quelli apparentemente più improbabili. Come, appunto, l’aroma fenolico in una lager o in una birra inglese.

Punto due: se troviamo qualcosa di anomalo nella birra, ragioniamoci su. Non limitiamoci a scrivere quello che sentiamo come se fosse un aroma qualsiasi. Evidenziamo la “stranezza” di quello che percepiamo, proviamo a individuarne le cause, senza dare nulla per scontato nel processo di produzione. Se pensiamo che la birra sia contaminata, scriviamolo. Se invece non sembra contaminata ma percepiamo un inaspettato aroma fenolico, proviamo a sviluppare un ragionamento.

Lo so che è difficile. Lo so che spesso non c’è tempo per farlo. Ma credo che lo scopo del lavoro di un giudice sia anche – e soprattutto – questo: analizzare la birra ed elaborare un pensiero razionale basato sull’esperienza e sulla conoscenza. A volte si sbaglia, per carità. Però – come dico sempre – se mostriamo impegno, chi legge sa che c’è stato lavoro dietro a quella scheda. Anche questo è un valore, almeno lo è per me.

 

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