Da poco ho finito di frequentare il “Corso per Degustatore di Birra” tenuto dall’ADB Lazio (Associazione Degustatori di Birra delegazione del Lazio, ora UDB): un’esperienza nel complesso molto interessante, educativa e anche divertente. Alcune nozioni le avevo già, altre le ho acquisite durante i 3 mesi di corso. Nel complesso, comunque, l’impostazione didattica mi ha aiutato a sistematizzare la mia conoscenza in ambito birrario e poi, soprattutto, l’esame finale (degustazione alla cieca e test scritto) mi ha “obbligato” a studiare e a fare molta pratica, assaggiando anche stili lontani dai miei gusti personali.

Ad ogni lezione assaggiavamo tre birre alla cieca, ovvero senza conoscere né produttore né stile della birra. Procedevamo quindi con una analisi collettiva su colore, schiuma, aromi e sapori; dopodiché ognuno ipotizzava lo stile a cui ogni birra apparteneva. Alla fine il docente svelava birra e stile: i risultati sono stati molto spesso sorprendenti e inaspettati.

In particolare, volevo soffermarmi su un dibattito in cui mi sono trovato coinvolto nell’ultima lezione del corso e poi, colpo di scena, anche in sede di esame finale. La birra in questione è la Tribute del Birrificio St. Austell, birrificio della cornovaglia. L’avete mai bevuta? Che stile è secondo voi questa birra?

St. Austell Tribute - Cornish Pale Ale
St. Austell Tribute – Cornish Pale Ale

Be’, facile – direte voi: una Pale Ale della Cornovaglia (c’è scritto sull’etichetta), quindi una English Pale Ale. Ed è quello che ci hanno detto i docenti del corso dopo l’assaggio. Io, invece, avevo pensato fosse una Bitter. Nello specifico, una Best Bitter. Da qui, è partita una discussione infinita che è arrivata fino alla sessione d’esame (compresa). Non fraintendetemi, la discussione è stata sempre interessante e divertente, ma il punto è che non ne sono uscito convinto.

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Non sono qui per giudicare la professionalità e la bravura dei docenti, né voglio dimostrare per forza la mia ragione o il torto degli altri. Come leggerete nel seguito, alla fine nessuno ha ragione. Quello che vorrei sottolineare con questo post è che, a prescindere dal livello di conoscenza e bravura del degustatore, l’elemento condizionante (ovvero lo stile che il birraio indica sull’etichetta) può giocare un ruolo importante nella predisposizione ad individuare certe caratteristiche nella birra. Alle volte, forse, alcune distinzioni di stile hanno senso da un punto di vista storico e culturale, ma pensare di individuarle ogni volta nel bicchiere rimane, a mio avviso, un passaggio un po’ forzato.

E allora, a corso finito, mi sono ripromesso di scavare un po’ più a fondo nella faccenda. Così, per cultura e interesse personale. Vi anticipo da subito che ne sono uscito più confuso di prima. Quindi, se cercate risposte precise, vi consiglio di abbandonare qui la lettura.

Prima di partire, cito con piacere l’ottimo blog “Berebirra” di Angelo Ruggiero, che a sua volta cita la frase introduttiva che Randy Mosher usa per descrivere lo stile porter (notoriamente molto simile alla stout) nel suo libro “Degustare le birre” (frase che si applica secondo me molto bene anche al nostro caso):

Pensate di sapere cos’è una porter? Nemmeno io. Studiare la storia delle porter è come addentrarsi nell’universo multidimensionale della cosmologia teorica, con una molteplicità di universi paralleli in movimento che con il passare del tempo si deformano e si spostano senza mai fermarsi. 

Ma torniamo a noi: cos’è quindi lo stile English Pale Ale? E soprattutto: esiste ancora? Diamo prima alcuni brevissimi cenni sulla storia di questo antico stile.

UN PO’ DI STORIA

(Fonti: Terry Foster, “Pale Ale” e Martyn Cornell, “Amber, Gold & Black“)

La Pale Ale esisteva in Inghilterra già intorno al 1640, quando l’introduzione del coke permise di controllare meglio le temperature di maltazione: malti più chiari producevano birre più chiare (pale). Si trattava però di birre “d’elite“, perché il coke inizialmente era caro. Per questo motivo e per la mancanza di collegamenti ferroviari tra Burton-on-Trent (dove veniva prodotta la maggior parte di queste birre) e Londra, le Pale Ale non trovarono inizialmente grande diffusione. Il 700 fu infatti il secolo del dominio incontrastato delle porter, più economiche e molto diffuse nei pub londinesi (ma questa è un’altra storia).

Parecchie ed intricate vicessitudini successive vedono il crollo verticale delle porter dalla fine del 700 (quasi si estinguono) e il diffondersi delle Pale Ale, grazie anche all’introduzione della ferrovia Burton-Londra. Le Pale Ale non riusciranno però ad avere la meglio per molti anni, contrastate prima dalle Mild, altro stile inglese diffusissimo tra la classe operaia, poi dalle lager (che ancora oggi dominano il mercato britannico e quello mondiale).

E le bitter? Dove le andiamo a posizionare nella storia birraria anglosassone?

I pareri sono molti e in parte discordanti, anche perché ogni produttore dell’epoca (non diversamente da oggi) utilizzava il riferimento agli stili birrari a proprio piacimento, spesso principalmente per fini commerciali. Quello che è certo è che le Bitter nascono dalle Pale Ale Inglesi, prendendo da queste le caratteristiche principali: amaro, componente maltata, bassa carbonazione e gradazione alcolica variabile ma mai troppo alta. Alcuni birrifici iniziarono a chiamare Pale Ale la versione in bottiglia delle proprie Bitter, generando ulteriore confusione.

Insomma: certezze non ve ne sono. Vediamo cosa ci dicono invece le fonti contemporanee sulle English Pale Ale di oggi.

 1. Beer Judge Certification Program (BJCP Style Guide) 

Una delle fonti contemporanee più autorevoli. Certo sono americani, ma sono impegnati a classificare gli stili dal 1994, quindi ne hanno di esperienza sulle spalle. Prendiamo le ultime linee guida che hanno stilato, e cerchiamo lo stile “English Pale Ale”.  Lo troviamo senza difficoltà: è la Category 8 – English Pale Ale

Quindi lo stile esiste, almeno secondo i giudici del BJCP. Però, attenzione: se andiamo a leggere meglio, l’EPA non è proprio uno stile, ma piuttosto un contenitore di stili. Anzi, è quasi uno stile ricorsivo, visto che contiene anche se stesso (qui il discorso inizia già a farsi fumoso). Copio e incollo testualmente dalla pagina del BJCP:

Category 8 – English Pale Ale

  • 8A. Standard/Ordinary Bitter
  • 8B. Special/Best/Premium Bitter
  • 8C. Extra Special/Strong Bitter (English Pale Ale)

Quindi, almeno secondo il BJCP, English Pale Ale = Bitter. Anzi, nello specifico, English Pale Ale = Extra Special Bitter. Come distinguere i due stili? Semplice: non si distinguono. SONO UGUALI.

Attenzione però, il BJCP non l’ha sempre pensata così. Andiamo a vedere le prime linee guida che hanno scritto, molto più semplici e rozze, nel lontano 1997:

Category 6 (1997) – PALE ALE

  • 6A. British Pale Ale
  • 6B. American Pale Ale

Category 7 (1997) – BRITISH BITTER

  • 4A. Ordinary Bitter
  • 4B. Best Bitter
  • 4C. Strong Bitter

In questo caso i due stili (British Pale Ale e Bitter) venivano distinti. Evidentemente, con il passare del tempo, gli stessi giudici del BJCP si sono resi conto che questa categorizzazione non aveva molto senso. Anche perché, se andate a leggere le descrizioni nel dettaglio, lo stile British Pale Ale va a sovrapporsi per aspetti differenti con tutti e tre i sottostili di Bitter. Sfido chiunque a poterli distinguere in una degustazione alla cieca. Grazie al senso pratico tipico degli americani, nelle linee guida successive hanno visto bene di unificarli.  

 2. Brewers Association (BA) Beer Style Guidelines 

Altro ente americano di notevole autorevolezza che riunisce sotto la propria ala moltissimi birrifici artigianali. Anche loro hanno provato a stilare delle linee guida (qui potete scaricare l’ultimo pdf), meno approfondite rispetto a quelle del BJCP, ma comunque di tutto rispetto. Il documento è aggiornato al 2013, quindi molto più recente rispetto a quello del BJCP.

Andiamo a cercare il nostro amato stile. Lo troviamo menzionato (pag. 1) come “Classic English-Style Pale Ale”, differenziato anche in questo caso dallo stile Bitter. Di nuovo, se andiamo a leggere le caratteristiche organolettiche e i parametri tecnici, troviamo evidenti sovrapposizioni sia con le “Special Bitter” che con le “Extra Special Bitter”. L’unica vera differenza sembrerebbe essere il range di colore: nel caso della English Pale Ale si parte dal giallo (golden), mentre per le Bitter si parte dall’ambrato. Quindi, stando a quanto afferma la BA, esisterebbero solo Pale Ale di colore dorato, ma non Bitter.

Bene: abbiamo le idee sempre più confuse. Ma andiamo avanti lo stesso.

 3. Ratebeer (www. ratebeer.com

Ok, non è il sito più affidabile del mondo, ma una certa influenza ce l’ha e ha anche un enorme database dove le birre devono necessariamente essere classificate per stile. Ratebeer è più categorico riguardo allo stile English Pale Ale:

Note that the term ’pale ale’ is used in England to signify a bottled bitter, and in that way there is no such thing as ’English Pale Ale’ to the English. The style is a North American construct, borne of the multitude of pale ales that pay homage to these bottled bitters – Bass in particular – and therefore the majority of true examples of the style are found outside Britain.

Per loro, le English Pale Ale NON ESISTONO. Punto. Proviamo allora a vedere come classificano la sopracitata Tribute della St. Austell:

St. Austell Tribute su Ratebeer
St. Austell Tribute su Ratebeer

la classificano come bitter. Almeno sono coerenti con loro stessi.

 4. Beeradvocate (www.beeradvocate.com)

Beeradvocate è invece convinto che lo stile English Pale Ale ESISTE e come, anche se la descrizione assomiglia moltissimo a quella di una bitter, così come il range alcolico.

[…] This ale can be from golden to reddish amber in color with generally a good head retention. A mix of fruity, hoppy, earthy, buttery and malty aromas and flavors can be found. Typically all ingredients are English.

Chiaramente, beerAdvocate classifica anche lo stile Bitter, in modo comunque vago e con tratti del tutto simili allo stile English Pale Ale.

Most are gold to copper in colour and are light bodied. Low carbonation. Alcohol should be low and not perceived. Hop bitterness is moderate to assertive. Most have a fruitiness in the aroma and flavor, diacetyl can also be present. These are traditionally served cask conditioned, but many breweries have bottled versions.

Provate a indovinare come classifica la nostra Tribute?

St. Austell Tribute su Beeradvocate
St. Austell Tribute su Beeradvocate

 

Quindi, riassumendo:

  • BJCP => British Pale Ale = Extra Special Bitter
  • BA => esiste lo stile “Classic English-Style Pale Ale” che, stando a quanto affermano loro, è in qualche modo diverso dallo stile bitter.
  • RATEBEER => lo stile  English Pale Ale non esiste, anzi, è un costrutto americano per indicare la versione in bottiglia delle bitter inglesi.
  • BEERADVOCATE =>  lo stile esiste (anche se dalla descrizione non si evincono le differenze dallo stile bitter).

Bella confusione, non vi pare? Ha ancora senso secondo voi distinguere in maniera categorica tra gli stili Bitter e English Pale Ale?

Per chiudere, un paio di citazioni prese da libri di autori ben noti:

Martyn Cornell (zythophile), Amber, Gold & Black (2010)

From the start, “pale ale” and “bitter” were synonyms.

 Michael Jackson, The New World Guide to Beer (1988)

A premium gravity bitter might sometimes be designated as pale ale.

Terry Foster, Pale Ale (seconda edizione del 1999)

In the first edition of this book, I gaily simplified things and made a quite arbitrary split between pale ale, bitter and IPA based on original gravity. Later, I realized the situation was more complicated then that

P.S. alla fine Terry Foster, nel suo libro Pale Ale, descrive le caratteristiche dello stile “English Pale Ale”, differenziandolo dalle Bitter. C’è da ricordare che il libro è uscito nel 1999, quando figurava nel BJCP ancora lo stile “English Pale Ale”, cosa che sicuramente avrà influenzato le ricerche di Foster.

 

6 COMMENTS

  1. per quanto mi riguarda c’è poco da girarci attorno: sei stato più bravo dei tuoi docenti e ti faccio i complimenti per la ricerca che hai svolto successivamente

    per dirimere queste questioni a mio giudizio l’unico approccio possibile è quello storico, specialmente per le birre UK che sono molto ben documentate

    aggiungo due tasselli fondamentali alla tua ricerca:

    http://www.camra.org.uk/beerstyles
    il CAMRA strenuo difensore della britannicità e della tradizione assimila le Pale Ale come sinonimo di EIPA

    http://zythophile.wordpress.com/2013/09/19/why-is-camra-still-getting-beer-history-so-very-badly-wrong/
    dove peraltro crocifigge il CAMRA

    non riesco poi a trovarti un pezzo mi pare di Pattinson dove mostra con delle ricette della Bass come a inizio XX secolo pale e bitter fossero di fatto sinonimi

    • Grazie (anche per i link). Devo dire che mi ritrovo parecchio con la frase del CAMRA “Today Pale Ale is usually a bottled version of Bitter, though historically the styles are different.”

  2. Sto cercando di farmi dei paletti ben precisi per riuscire a distinguere le varie bitter, almeno secondo il bjcp. In particolare tra ordinary bitter e best bitter, dove l’unica differenza su cui mi aggrappo é un sentore leggermente maggiore di malto caramello a favore della best…. -_- c’ho provato a distinguerle ma….
    Mi sono rivolto al web e come al solito compare brewing bad 🙂

  3. Ciao Frank!
    Mi sono di nuovo imbattuto in questo articolo che ricordo di aver già letto, e me lo sono riletto con gusto.
    Hai novità sulla questione?
    Io trovo molto interessante anche quello che scrive Daniels in “progettare grandi birre”: vado a memoria ma in sintesi dice che esistevano le Pale Ale, che erano, così come altri stili inglesi dell’epoca, molto o comunque abbastanza più alcoliche delle versioni odierne.
    Per diversi motivi, il grado alcolico (in generale, non solo in Inghilterra) andò via via calando fino ad arrivare a produrre birre sotto i 5 e anche sotto i 4 gradi.
    Mentre in USA il termine “light” per le birre meno alcoliche fu accettato senza problemi, a livello di marketing probabilmente quest’idea non piaceva ai produttori inglesi, e pensarono che il termine “bitter” fosse più cazzuto per indicare le birre meno alcoliche.
    Se non ricordo male Daniels riporta questa cosa come ipotesi.
    Se le bitter erano le Pale Ale meno alcoliche, allora, secondo me, i termini “Special bitter” e “Extra Special bitter” con cui si sono poi andate a definire le bitter più alcoliche, per forza sono andati a “ricoprire” quello che era in origine semplicemente il termine “Pale Ale”; e quindi possiamo dire che lo stile English Pale Ale coincide con i 2 stili “special bitter” ed “extra special bitter” (e non solo con quest’ultimo come dice il bjcp);
    Ratebeer, dovendo all’atto pratico dover definire una birra con uno dei termini, accettando le 3 nomenclature “bitter”, ha dovuto escludere il termine Pale Ale (non so quanto sia veritiera la cosa che con il termine Pale Ale si indicano le bitter in bottiglia, forse è più una scusa che ha trovato per sbrogliare la questione 🙂 ) magari su questo puoi far luce).

    Che ne pensi?

    Un saluto

    Carlo

    • Il discorso fila, e anche io la penso più o meno così. I confini ad ogni modo sono labili, ciascuno stile è mutato tante volte nel tempo e ha avuto caratteristiche peculiari in certi periodi storici e addirittura in certi luoghi geografici ben circoscritti (vogliamo per esempio parlare delle differenze tra le birre di Londra e quelle di Burton nell’800?). Insomma, inutile fossilizzarsi e pensare di aver trovato la chiave di lettura per tutto. Per me sbaglia solo chi pensa davvero di poter definire con certezza la differenza tra English Pale Ale e Bitter, come chi è strasicuro di conoscere la differenza tra porter e stout.

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