Credo che ormai tutti conoscano, almeno di nome, il blog Brülosophy, fondato diversi anni fa da Marshall Schott (pronuncia: shot), homebrewer americano ormai di fama mondiale. Per capire la portata di questo blog, basta solo notare che la pagina Facebook di Brülosophy ha superato il muro dei 20.000 like. Tanti, se pensate che Brewing Bad ne ha 6.000, Cronache di Birra poco più di 21.000 e la pagina della American Homebrewers Association arriva a oggi poco oltre i 90.000. Parliamo di bei numeri per un blog che parla essenzialmente di birra fatta in casa, tema comunque di nicchia.
Il blog di Marshall può contare su 7 collaboratori fissi che si alternano nella presentazione dei cosiddetti exBeeriments, ovvero esperimenti che mettono alla prova i principali dogmi della produzione birraria. L’approccio non è certo scientifico ma è apparentemente abbastanza rigoroso: si prende di mira una variabile alla volta (per esempio la temperatura di fermentazione), si producono due birre in parallelo partendo dallo stesso mash e dagli stessi ingredienti variando solamente il parametro oggetto di analisi, si fermenta, si imbottiglia e alla fine si propone la birra in assaggio a un panel di bevitori (con competenze di vario livello). La procedura seguita per l’assaggio è quella del test a triangolo. Infine, si valutano i risultati con una formula statistica.
Il test a triangolo consiste nel somministrare all’assaggiatore di turno tre bicchieri con le due birre oggetto del test. Chi le beve deve essere in grado di individuare, tra le tre, le due uguali. Se il numero delle persone che indovinano è inferiore a un certo parametro statistico, il test non è passato e le due birre vengono considerate equivalenti (chi ha indovinato lo ha fatto per caso). Se il numero degli assaggiatori che indovinano è maggiore del parametro statistico, le due birre sono distinguibili l’una dall’altra. Gli assaggiatori non sanno nulla sulla tipologie delle birre né sulla variabile oggetto del test. Non vedono nemmeno il colore della birra che viene servita in bicchieri non trasparenti.
L’idea è indubbiamente originale e soprattutto la costanza con cui il blog viene aggiornato è encomiabile. I post sono ben documentati, ben scritti, completi e interessanti. Spesso vengono interpellate personalità influenti su determinati argomenti (come ad esempi John Palmer) per un confronto diretto su alcune importanti tematiche. Mi sembrava così interessante che in passato avevo anche ipotizzato di tradurne alcuni articoli su questo blog. Avevo avuto l’ok da Marshall, ma mi sono fermato alla prima traduzione.
Dov’è quindi il problema?
Torniamo alla domanda di cui al titolo: questi esperimenti sono credibili? Dopo aver letto i primi resoconti, ammetto che qualche dubbio mi è venuto. Perchè? Semplice: nella maggior parte dei casi (azzarderei un “quasi sempre”) le due birre risultano indistinguibili. Per capirci, se ci rifacessimo ai risultati degli esperimenti di Brülosophy, potremmo produrre un’ottima birra con i passaggi seguenti:
- fare un mash con pH a 6.4
- bollire per 30 minuti
- tenere il coperchio sulla pentola durante la bollitura
- buttare tutto il trub nel fermentatore
- fermentare senza aver ossigenato
- fermentare con lievito lager a 21°C (per fortuna non a 28°C!)
- fermentare senza starter usando un lievito liquido con diversi mesi alle spalle
- agitare la birra mentre fermenta come se fosse uno starter
- splashare in fase di imbottigliamento come se non ci fosse un domani
Un procedimento che farebbe svenire all’istante Charlie Bamforth.
Dove sono finite quindi le nostre certezze? E tutti gli studi scientifici che abbiamo letto? Gli articoli, i libri, i podcast. Che sta succedendo? Insomma: chi crede ancora agli esperimenti di Brülosophy?
Perché invece quando a casa mia sballo di tre gradi la fermentazione le mie birre fanno schifo? Una spiegazione deve pur esserci, perché non è possibile che tutto quello che abbiamo studiato sulla birra non abbia nessun fondamento scientifico. Ma d’altro canto non è nemmeno possibile che tutti questi exBeeriments non valgano niente (come sostengono i più rigorosi).
Come interpretare questi risultati? Provo ad avanzare qualche ipotesi, discutendole nel merito. Il confronto è aperto.
Esperimenti truccati
Lo so, questa è cattiva. Degna delle migliori teorie complottiste. Pensare che Marshall e i suoi amici si mettano di proposito a falsificare i risultati dei test per la gloria è abbastanza azzardato. Sono sicuro che non è così, ma non posso negare di averlo pensato a un certo punto. Ipotesi da scartare.
Panel test con scarse abilità degustative
Questa è stata la seconda ipotesi a cui ho pensato. E non solo io. L’idea che chi assaggia queste birre non capisca una sega è passata per la mente di molti. Tant’è che lo stesso Marshall a un certo punto, aiutato dalle abilità statistiche di Scott Janish, si è messo ad analizzare un campione degli assaggiatori per capire se l’esperienza e le certificazioni da degustatore (essenzialmente BJCP) influissero in qualche modo sui risultati dei test (qui il post con l’analisi completa).
I panel di solito sono costituiti per la maggior parte da homebrewers, affiancati da un numero equivalente di giudici BJCP di vario livello e di craft lovers. Una piccola parte è composta da bevitori saltuari. Quello che viene fuori dall’analisi di Marshall e Janish è che il livello di esperienza degli assaggiatori non è correlato alla probabilità di indovinare la birra giusta. Volendo leggere questo risultato con un po’ di malizia, si potrebbe anche arrivare alla conclusione che i panel sono effettivamente formati da persone con scarse capacità degustative (tutti allo stesso livello, ma scarsi).
Ma come, ci sono tanti giudici BJCP nei panel! Questo è vero, ma dopo aver fatto l’esame BJCP per ben due volte, posso affermare con una certa cognizione di causa che diventare giudice BJCP Recognized (livello base) non è affatto difficile. O meglio, le difficoltà sono più sul lato teorico/pratico (conoscenza degli stili, abilità nella scrittura, buona memoria) che su quello puramente degustativo (capacità nel riconoscere gli aromi). I giudici BJCP (anche quelli di livello base, ovvero Recognized) non sono tutti uguali: con una buona preparazione teorica si passa l’esame senza problemi, anche se si hanno scarsissime capacità degustative. Il voto non viene reso pubblico, quindi in giro ci sono giudici che sono delle schegge a livello teorico (conoscenza mnemonica degli stili) ma vere e proprie capre a livello degustativo.
Certo questa ipotesi è piuttosto forte, perché implicherebbe un livello medio dei panel di Brulosophy piuttosto scarso. Sicuramente delinea uno scenario più plausibile rispetto alla prima ipotesi, e soprattutto non mette in discussione la buona fede di nessuno.
Panel test con un numero non sufficiente di partecipanti
In media i panel di Brulosophy hanno una ventina di partecipanti, ma ci sono casi in cui il numero è più basso. Non conosco le scienze statistiche, quindi non so dire quanto questa variabile possa influire sui risultati. A senso, direi che maggiore il numero dei partecipanti al panel, maggiore la validità dell’esperimento.
Birre mediocri in partenza
In genere è più facile individuare un piccolo difetto se si manifesta su una buona base, mentre è più difficile quando la birra presenta tanti piccoli difetti. Faccio un esempio estremo. Ho due lager, entrambe con forte sentore di banana. La variabile in oggetto però non è il sentore di banana, ma la possibilità che una delle birre abbia sviluppato un leggero aroma di DMS (mais in scatola). Mi presentano le birre alla cieca, sento solo la banana in entrambe, non so che sono delle lager: l’output del mio test è che le due birre sono uguali.
Ovviamente l’esempio è estremo, ma è probabile che se le birre sotto esame sono sbilanciate (per esempio molto luppolate) o contengono altri piccoli difetti in partenza (e statisticamente questo può accadere piuttosto spesso), è facile che piccole differenze possano passare inosservate.
Scegliere lo stile sbagliato
Alcuni esperimenti sembrerebbero obiettivamente mal progettati. Individuare piccole differenze in birre molto luppolate, ad esempio, non è facile. Sarebbe forse il caso di scegliere stili con una intensità aromatica minore, in modo che eventuali piccole differenze tra le due birre possano essere individuate con più facilità. Ovviamente questo non vale per tutti gli esperimenti, ma in alcuni casi può aver influito sul risultato finale.
LE MIE CONCLUSIONI
Premetto che il blog di Marshall mi piace: lo leggo sempre con interesse e curiosità. Certamente non prendo i risultati di questi esperimenti come prova definitiva, ma spesso mi portano a riflettere sul fatto che tante paranoie, almeno in ambito casalingo, possono essere evitate. Del resto diffido anche di chi afferma di percepire differenze organolettiche tra una birra rifermentata con destrosio e una con zucchero da tavola, avendole assaggiate una dopo l’altra, magari a distanza di mesi, sapendo quale era la variabile in gioco.
Secondo me i risultati poco significativi di questi esperimenti dipendono da un mix delle ipotesi di cui ai punti precedenti (tranne il punto uno, che ho inserito solo per provocazione) e anche un po’ dal caso. Andrebbero ripetuti più volte con panel differenti, magari scegliendo lo stile più adatto per rilevare quel particolare difetto. Insomma, pur non dimostrando nulla di definitivo (ma ne è consapevole lo stesso Marshall), sono divertenti da leggere e in qualche modo stimolano la curiosità.
Quindi viva marshall e i suoi esperimenti, ma non venite a dirmi che lasciate il pH a 6.4 durante il mash perché mi prende un coccolone.
Ho avuto qualche perplessità anch’io, devo ammetterlo, su qualche ‘exbeerimento’ condotto dai brülosofi. E’ anche vero che non sempre si tratta di risultati eclatanti. A volte, infatti, vengono confermate determinate differenze.
Io piuttosto rifletterei su un altra questione: alcuni difetti lo sono davvero? Per alcuni l’aroma di diacetile è addirittura gradevole, mentre gli aromi dovuti all’ossidazione possono addirittura, come sappiamo, essere ricercati per alcuni stili.
Chiaramente il blind test, condotto bene, è un banco di prova impietoso che mette alla prova non solo i cibi e le bevande ma anche il nostro sistema sensoriale. La nostra percezione della realtà è influenzata da tante situazioni e alterata da diverse distrazioni.
Resta comunque intrigante la loro modalità di indagare e sperimentare. A volte forse discutibile, ma forse è questo il bello (e anche un po’ il loro scopo) 😉
Il punto che evidenzi è di altro tipo, ma interessante. Arriva allo step successivo: ho capito che le birre sono differenti, mi chiedono quale mi piace di più e indico quella con il difetto. Può capitare con un filo di diacetile che apporta complessità e arrotonda il corpo, o con un amaro più tagliente che teoricamente dovrebbe essere fastidioso ma a molti piace. Quando subentrano i gusti personali, crollano tutte le certezze. 🙂
Resta comunque il fatto che, come tu sottolinei, se è possibile evitare di splashare o comunque, in termini più tecnici, “fare del casino” sarebbe molto meglio evitare…
Perché mai devo splashare a caldo o fermentare ad una temperatura assurda quando evitarlo non costa nulla o quasi???
Ma ci sono anche i casi opposti: tipo chi si impicca e spende tantissimi soldi per evitare a tutti i costi anche la minima ossidazione. Ne vale la pena? Ehhh, chi può dirlo. 🙂
seguo brulosophy sempre con interesse, tra l’altro mi pare di ricordare di averne letto proprio qui per la prima volta. certi exbeerments effettivamente lasciano il tempo che trova e sono delle mere provocazioni (chi ha tempo e voglia di scuotere il fermentatore durante la fase tumultuosa?), altri invece addirittura mi hanno “ispirato” e li ho addirittura non solo provati, ma fatti miei come prassi da usare durante la cotta per tutta una serie di motivi pratici, come per esempio effettuare sparge a freddo, cioè con acqua a temperatura ambiente e non a 80°. effettivamente differenze evidenti tra “prima” e “dopo” non ne ho trovate. tanto vale…
Nel post ho citato anche l’articolo di Marshall che tempo fa avevo tradotto. 🙂 Sai che lo sparge anche io lo facevo a freddo (seguendo i consigli di The Mad Fermentationist) ma da quando lo faccio a caldo mi sembra di aver recuperato un po’ di efficienza? Alla fine non mi costa molto perché lo faccio con pochi litri che riscaldo senza problemi in una pentola da cucina.
eh. per me dipende dai litri di sparge previsti, perché devo tirare fuori la pentola che usavo in biab da 30 litri, e poi lavarla, e poi asciugarla, e poi che palle. Per sparge piccoli (tipo 5 litri) evito lo sbattimento, invece per gli sparge da 20 litri circa sto zitto e me la suco (come si dice in gergo).
Ho iniziato a seguire Brulosophy solo di recente e sto recuperando il pregresso con un po’ di binge-reading ed ascolto del podcast; delle ipotesi sopra elencate ne considero valide/percorribili solo due, quelle sugli stili “sbagliati” per l’esperimento e quelle sul campione piccolo. A questo aggiungo l’approccio statistico estremo, per cui un degustatore sotto al minimo sindacale per la significatività è indice di birre identiche, laddove uno sopra è indice del contrario (il p-value “minimo” per determinare significatività è assolutamente arbitrario, e valori nell’intorno del p-value designato dovrebbero essere quantomeno oggetto di dibattito, specie su numeri piccoli). In ogni caso, reputo che l’iniziativa segua completamente la mission che si è data, ovvero di demolire alcuni dogmi dell’homebrewing, quando questi vengono presi singolarmente. In questo senso è da notare quanto gli esperimenti che hanno mostrato più significatività sono relativi a “stessa ricetta-diverso impianto” o a variazioni estreme del processo di produzione (es. lievito a bassa a 28 gradi) dove subentrano anche altre variazioni oltre alla principale (es. attenuazione e, non secondario, tempo). A mio modo di vedere, in un impianto casalingo, si possono avere più variazioni tra due cotte con la stessa ricetta fatte ad una settimana di distanza rispetto alla stessa cotta, spaccata in due, e fermentate a temperature leggermente diverse; sono convinto che, in casa, la necessaria manualità introduca più varianza di qualsiasi modifica misurabile…
Detto questo, non credo che il fine degli esperimenti sia quello di sconvolgere completamente il nostro modo di produrre birra a casa, nessuno penso si sognerebbe mai di applicare tutte le varianti in un’unica cotta e di non produrre variazioni sensibili; nel contempo si vuole puntare i riflettori su alcune pratiche che sono al limite tra la superstizione e il “lo faccio perchè sì”. Protein-rest anyone?
Nella foga del commento mi sono dimenticato un altro aspetto che reputo “discutibile” dell’approccio di Marshall e compagni…la tendenza a tirare l’acqua al proprio mulino: l’interpretazione dei dati è spesso (sul podcast, o nella sezione degli esperimenti dedicata ai commenti personali) fortemente influenzata dalle aspettative e quindi abbastanza soggetta al bias. L’esperimento tipo, insomma, mi sembra costruito per confermare le scelte di semplificazione del processo del contributor del caso piuttosto che per smontare delle convinzioni, tanto che alcuni esperimenti significativi alla fine hanno portato a commenti del tipo “pazienza, io continuo a fare così perchè tanto non mi costa nulla”…
Credo che a volte ci siano molte variabili in gioco e non è davvero facile trarre delle conclusioni ma è un blog unico nel suo genere (sono pochi a fare questi esperimenti sul lato “pratico”). Seppur non perfetto lo trovo molto utile e piacevole da leggere (con le dovute riflesioni personali).
Ciao Frank!
Non leggo Brulosophy ma penso che l’unico modo per determinare qualcosa sia valutare la qualità metodologica di ogni esperimento (una sorta di revisione sistematica sulla birra). Sennò un altro esercizio magari meno noioso potrebbe essere valutare i pochi esperimenti in cui si raggiunge un risultato chiaro per confrontare eventuali differenze metodologiche con quelli (che tu dici essere la maggior parte) in cui le due birre risultano indistinguibili.
Fermo restando che quando si entra nel campo della soggettività le variabili di contesto diventano difficilmente gestibili, tanto più se si parla di trials casalinghi, per cui bisogna capire se il disegno dello studio sia realmente appropriato per l’outcome preso in considerazione (cioè quello che dicevi soprattutto al riguardo dello “stile sbagliato”) 😉
Piccolo spunto personale. Qualche settimana fa ho assaggiato una birra probabilmente infetta (forte retrogusto di limone). Svuotata la birra nel lavandino, ho preso una birra (commerciale) dal frigo. Ho notato lo stesso retrogusto di limone. Non è che alcuni sapori sensibilizzano tanto il palato da persistere ai successivi assaggi? Questo spiegherebbe perchè birre (magari molto simili) possano sembrare uguali
Può capitare, ma in genere accade con gusti/aromi estremi (tipo il tuo caso di birra molto, molto citrica). Cmq spesso quando si assaggiano due birre una di seguito all’altra si mangia un cracker o un pezzo di pane, proprio per “resettare” il palato.
Ciao!
mi riallaccio a questo post, visto che alcuni esperimenti di Brülosophy mi hanno dato lo spunto per ottimizzare il mio processo di produzione. Premetto che sono un principiante e che molte, troppe delle cotte, sono state buttate via a causa di infezioni (che col senno di poi direi dovute alla qualità del lavaggio delle bottiglie)
Detto questo, volevo chiederti un’opinione su alcune parti di questo processo di produzione
1) Mash overnight. Inizio il mash la notte prima della cotta (evitando comunque grani scuri)
2) Raffredamento lento del mosto dopo la bollitura (metto la pentola fuori, considerato il freddo di questi giorni, ci mette 2-3 orette)
3) Come fermentatore uso una pentola inox, con coperchio chiuso non ermeticamente
4) Imbottigliamento: bollitura delle bottiglie e priming con siringa (grazie per le formule 🙂 )
Questo processo mi permette di diminuire il tempo effettivo della cotta (non sempre è facile trovare 4 orette libere), ma soprattutto abbatte l’uso di sanitizzanti/detergenti (le uniche parti su cui vanno usati sono sifone e siringa, il resto viene bollito).
Ho provato con questo metodo 2 cotte, e finalmente ho avuto buoni risultati.
Che potenziali problemi ci vedi?
Vorrei anche una tua opinione sull’uso di una pentola come fermentatore (un problema è la misura della temperatura del mosto)
I punti 1), 2) e 3) non mi sembrano gli approcci migliori per minimizzare le infezioni, anzi. Non dico che siano completamente inaffidabili (li praticano in molti) ma sono rischiosi, in particolare:
1) l’overnight mashing è rischioso perchè la temperatura di mash non garantisce l’eliminazione di tutti i lieviti e i batteri presenti sui grani. Nel tempo che passa tra mash e bollitura potrebbero generare difetti che poi ti ritrovi nella birra
2) stesso discorso per il raffreddamento lento (non lavorando in ambiente sterile, diversi microrganismi possono finire nel mosto in questa fase e rovinare la birra)
3) il fermentatore deve essere chiuso ermeticamente, specialmente a fermentazione finita. Non tanto per i microrganismi che possono entrare dall’esterno (difficile, ma possibile) ma per l’ossigeno che sicuramente entra e ossida la birra.
Dubito poi che nel tuo caso il problema possano essere state le bottiglie (a meno che non fossero veramente sporche): al momento dell’imbottigliamento la birra, grazie all’acidità, all’alcol e alla scarsità di zuccheri residui, è molto più resistente alle infezioni.
Diciamo che nel complesso mi sembra che con il tuo metodo stai trascurando molto la gestione di mash, raffreddamento e fermentazione (importantissime) focalizzandoti invece troppo sulle bottiglie (non serve bollire, spesso basta addirittura lavarle molto bene).
Per me tutto da rivedere. 🙂
Concordo! Apparentemente non approcci discutibili, ma funzionano 🙂
Ho un po’ di problemi con i vapori dell’ ammoniaca, quindi penso che questa sia la strada giusta per me, chiaramente migliorabile
Il punto 1 non è essenziale, a volte lo faccio, altre no. Il punto 2 funziona perchè fuori per ora ci sono temperature sotto zero e i microorganismi sono a casa davanti al camino
Riguardo le bottiglie, beh, erano ancora vittime di una infezione precedente dura a morire, un po’ di acqua bollente le ha aiutate 🙂
Quel che penso devo migliorare assolutamente è la fermentazione in pentola, adattando la pentola con un gorgogliatore. Purtroppo comprarne una che abbia già gorgogliatore e rubinetto è un salasso..
Grazie dell’attenzione comunque!
Un fermentatore in plastica non mi pare un salasso, ed è sicuramente mille volte meglio di uno in inox aperto. 🙂
Non lo posso sanitizzare con acqua bollente (vedi problema ammoniaca)
A parte che non capisco quale sia questo problema con la candeggina, esistono tanti altri prodotto sanitizzanti. L’acqua bollente non è sempre efficace, dipende dai tempi di contatto e dalla temperatura dell’acqua. E poi, scusa, come sanitizzi i tubi? Come rimuovi le incrostazioni interne? Se fai birra servono sanitizzanti e detergenti, non c’è scampo.