Qualche giorno fa è girato su Facebook un articolo pubblicato sul blog di Mr Malt che ha suscitato scalpore. Si tratta del resoconto di un seminario con annesso dibattito che si è svolto il 22 Marzo, guidato da due referenti della Fermentis, nota casa produttrice di lieviti secchi. Nonostante l’articolo non dicesse nulla di nuovo, è stato rimpallato tra diversi forum di homebrewer accendendo nuovamente il riflettore su temi che sono oggetto di discussione da anni.
Intendiamoci: sono ben contento che Mr Malt dedichi dei post a questo tipo di approfondimenti, ma non dimentichiamo che il seminario è stato tenuto da un commerciale della Fermentis (della serie “devo vendere il mio lievito“), affiancato da un Technical Manager sempre della stessa azienda. Nessuno è in malafede, ci mancherebbe, e pubblicare un post del genere è decisamente un buon segnale di attenzione verso produttori e homebrewer da parte di Mr Malt, ma è un po’ come quando Chris White della White Labs scrive in giro che una busta di lievito senza starter è sufficiente per fermentare 20 litri di mosto sotto 1.050 di densità iniziale. Non è così, ma il loro obiettivo, da buoni venditori, è far sembrare le cose meno complicate di quello che sono in modo che un numero sempre maggiore di produttori e homebrewer acquistino i loro prodotti. Il tutto, ovviamente, partendo da un fondo di verità (non sono mica scemi).
Detto ciò, volevo commentare un paio di punti del resoconto della Fermentis che hanno nuovamente acceso (apparentemente) il dibattito su vecchie controversie.
- necessità di travaso per scongiurare l’autolisi del lievito
- lieviti secchi e ossigenazione
TRAVASI E AUTOLISI
Trovo incredibile che ancora si discuta di questa tematica in ambito casalingo, ma gli homebrewer sono così affezionati ai travasi da non riuscire a farne a meno. Come trovano una fonte che giustifichi il loro trafficare con i fermentatori, la citano subito con un sorriso di soddisfazione piantato sulle labbra. Il passaggio in questione è il seguente:
Alla fine della fermentazione i residui del lievito si depositano sul fondo del fermentatore formando un deposito che, soprattutto nel caso di un tino troncoconico, sviluppa una temperatura superiore rispetto a quella del liquido soprastante. È importante rimuovere questo deposito prima che si verifichi l’autolisi dei lieviti, ovvero la rottura delle membrane cellulari con la conseguente migrazione nella birra delle sostanze contenute nella cellula.
Non ripeterò quello che ho già scritto e discusso più volte (link), ma ci tengo a evidenziare che mi sembra ovvio che in questo caso non ci si riferisca ai nostri fermentatori casalinghi da 25 litri. Pensate davvero che quel deposito di lievito sul fondo del nostro secchio di plastica possa sviluppare una temperatura superiore a quella dei 20 litri di mosto che gli stanno sopra? Mi pare evidente che questo non può accadere. Differente è il discorso in birrificio dove, sul fondo di un fermentatore da 2000 litri o più, la torta di lievito si può fare imponente, con tutte le conseguenze del caso.
Detto ciò, se qualcuno ha in casa un troncoconico è bene che spurghi, visto che ci vuole poco e sicuramente male non fa. Ma è il discorso inverso che è sbagliato, secondo me: acquistare un troncoconico da 20 o 40 litri pensando di migliorare le proprie birre grazie allo spurgo del lievito è una povera illusione. Se non riuscite a fare buone birre con un fermentatore normale senza travasare, forse va rivisto il processo in se’, non il fermentatore.
LIEVITI SECCHI E OSSIGENAZIONE
Anche questa è una vecchia questione, ma capisco che leggere certe affermazioni nero su bianco faccia sempre un certo effetto. Vediamo il passaggio incriminato:
[…] il lievito [secco] non ha quindi bisogno di essere ossigenato per poter avviare la fermentazione del mosto, a condizione che sia di prima generazione e non riutilizzato dopo cotte precedenti.
Leggendo questa frase, molti homebrewer hanno gridato al miracolo. In realtà non si tratta di nulla di nuovo: sui siti o nelle specifiche dei vari produttori di lievito secco troviamo questa affermazione ripetuta più volte già da tempo:
Come mai un lievito secco non ha bisogno dell’ossigenazione tanto decantata e consigliata su tutti i libri per homebrewer?
Provo a spiegarlo a modo mio: non sono un biologo quindi userò terminologia approssimativa, ma spero che il senso del discorso arrivi. Se c’è qualcosa di fallato nel mio ragionamento, invito chiunque abbia più competenza di me in materia a farmelo notare nei commenti in modo da correggere eventuali imprecisioni.
I protagonisti del ragionamento sono gli steroli, molecole organiche che compongono la membrana delle cellule di lievito regolandone la fluidità e la permeabilità ai nutrienti che si trovano nel mosto (zuccheri, FAN, etc…). Gli steroli si accumulano nella membrana delle cellule “madri” nelle fasi iniziali della fermentazione, per poi dividersi tra le cellule “figlie” durante il periodo di moltiplicazione cellulare. Nei vari passaggi di moltiplicazione cellulare, gli steroli si dividono tra le varie cellule figlie. Una scarsa concentrazione di steroli nella cellula madre porta a una scarsissima concentrazione nelle cellule figlie, rendendo le membrane cellulari meno elastiche (maggiore rischio di rottura) e inficiandone la permeabilità (nutrienti che non entrano nella cellula in modo ottimale o che ne fuoriescono senza controllo).
Per sintetizzare gli steroli nelle fasi iniziali della fermentazione (lag time), quando la permeabilità delle membrane non è ancora al top e la gestione degli zuccheri del mosto è ancora difficoltosa, il lievito utilizza le riserve di glicogeno (un carboidrato) che le cellule hanno accumulato al loro interno alla fine della fermentazione precedente. Usando il glicogeno come fonte di energia e l’ossigeno e gli acidi grassi del mosto come “mattoncini”, le cellule di lievito iniziano a sintetizzare steroli ancor prima che la fermentazione entri nel vivo. Per questa ragione l’ossigeno è fondamentale all’inizio della fermentazione.
A fine fermentazione, la concentrazione di steroli nelle cellule figlie è ovviamente minore di quella delle cellule madri: questo significa che nella successiva fermentazione ogni cellula dovrà sintetizzarne di nuovi. Se andiamo a vedere la concentrazione di glicogeno nelle cellule (la fonte energetica per creare gli steroli prima della fermentazione), vediamo che è alta a inizio fermentazione, poi scende, poi risale nuovamente a fine fermentazione (agisce da riserva per la successiva fermentazione).
La riserva di glicogeno inizia però ben presto a decadere quando la cellula è inattiva (es. nella busta di lievito o nel barattolo di slurry conservati in frigorifero) e in pochi giorni si esaurisce. Ecco perché è importantissimo fare uno starter con i lieviti liquidi anche se non sono scaduti: dobbiamo permettere al lievito di ricostituire le riserve di glicogeno per gestire al meglio l’inizio della fermentazione successiva.
Come mai con il lievito secco non serve ossigenare? La ragione è semplice: il processo di disidratazione “congela” la struttura molecolare del lievito. Se vengono disidratate al momento giusto, ovvero quando la concentrazione di steroli è al top e di conseguenza il glicogeno è al minimo (vedi la fine della prima finestra grigia nell’immagine sopra), le cellule di lievito contengono (e mantengono) una alta concentrazione di steroli. A questo punto, non avendo necessità di sintetizzare steroli, il lievito non ha bisogno delle riserve iniziali di glicogeno e non se ne fa nulla dell’ossigeno presente nel mosto. O meglio, sicuramente non è indispensabile. Una parte verrà probabilmente consumata lo stesso nella fase di crescita per produrre altri steroli (sottraendo gli acidi grassi al processo di esterificazione, cfr. link), ma il lievito fermenterà bene anche senza.
E quindi? Ossigeno o non ossigeno?
Per quanto questo aspetto fosse ben noto, devo ammettere che anche io ho sempre ossigenato prima di inoculare i lieviti secchi. Il rischio che si corre è la potenziale ossidazione del mosto nel caso in cui l’ossigeno non venga consumato dal lievito. È vero che una buona parte dell’ossigeno insufflato uscirà dalla soluzione con la CO2 una volta partita la fermentazione, ma è ben noto che alcuni effetti dell’ossidazione (vedi ad esempio l’imbrunimento del mosto) possono avvenire in poche ore, ancor prima che l’ossigeno in eccesso abbia tempo di uscire dalla soluzione.
È anche vero che una parte dell’ossigeno verrà comunque consumata dal lievito per produrre steroli in ogni caso, sia se si tratti di lievito secco che di lievito liquido. Difficile quindi stabilire le giuste dosi, specialmente quando si parla di ossigeno disciolto e steroli (chi può misurarli in ambito casalingo?).
Credo che continuerò a ossigenare anche quando utilizzerò lieviti secchi, soprattutto nel caso di birre molto alcoliche che richiedono fermentazioni difficili. Nel caso di birre luppolate, dove l’ossidazione ammazza il luppolo, si potrebbe provare a non ossigenare e vedere cosa succede. Proverò con la prossima pilsner e vi farò sapere.
Come sempre i tuoi discorsi sono precisi, razionali e ben argomentati. Li leggo con piacere.
Per la birra che ho in fermentazione pensavo, spinto anche dai tuoi articoli, a non fare travasi (tranne quello “pre-imbottigliamento”). Vediamo che succede. Finora li ho fatti anche per recuperare il lievito che mi serve per altri scopi (panificazione), prima di “inquinarlo” con il Dry Hopping.
Prossimamente, dovendo aumentare la “taglia” dell’attrezzatura (siamo in due che ci facciamo la birra e i canonici 20L non ci bastano), stavo valutando l’investimento di un tronco conico, più che altro per migliorare la pulizia finale della birra facilitando il deposito di luppolo e altri agglomerati. Ritieni che sia un ragionamento che può stare in piedi?
Grazie
Ciao Andrea, il troncoconico inizia a diventare utile su grandi volumi. Non so a quanti litri volete arrivare, ma anche fossero il doppio (quindi 40L) non so se varrebbe la pena. La birra viene pulita anche con un fermentatore comune a cilindro, basta sifonare dall’alto e non utilizzare il rubinetto (dove si depositano lievito e luppolo dopo l’abbattimento). Certo serve un sifone maxi che è un po’ lento nei travasi e non è comodissimo da sanitizzare, ma sicuramente si spende molto meno di un troncoconico e il fermentatore occupa molto meno spazio. Bisogna sempre fare una valutazione complessiva tra costi/benefici.
PS. il troncoconico non facilita il deposito, è il freddo a facilitare il deposito. Il troncoconico permette di togliere il deposito facendo degli spurghi, in modo che il rubinetto non peschi dal fondo al momenti del travaso. Sifonando dall’alto risolvi questo problema.
Grazie per il consiglio. Si, siamo orientati sui 40L. Attualmente non usiamo il sifone, ho sempre usato il rubinetto, ma lo valuterò.
Diciamo che poi il tronoconico è anche uno sfizio che vorremmo toglierci 😉 So che si può fare ottima birra anche senza di questo ma volevo anche un tuo parere.
Grazie, ciao
Ho letto anche io l’articolo sul blog di mr. malt e devo dire che c’è effettivamente la sensazione del “ve la voglio far sembrare facile per forza” e non solo nei punti che hai illustrato tu.
Io ad esempio leggendo il paragrafo “Consigli per l’utilizzo dei lieviti Fermentis” sono rimasto perplesso. Ma come? Si scannano da anni tra quelli che il lievito secco va per forza reidratato in acqua e quelli che lo mettono direttamente nel mosto e loro rispondono in maniera interlocutoria come se l’uno o l’altro non cambia nulla. La cosa bella è che a metà paragrafo dice (cito testuale) “Ci sono due modi per utilizzare il lievito secco attivo, ovvero oltre alla reidratazione è possibile anche l’inoculo diretto, con differenti conseguenze sulla vitalità del lievito.” ah si? bene… e quali sono queste differenti conseguenze? NON TE LO DICONO…
Sicuramente è un articolo che va letto e può dare degli spunti (soprattutto quando parla delle differenze fra i lieviti per quanto riguarda gusto, aroma, esteri, ecc…), ma non va a sostituire, ne tantomeno a soppiantare, anni di diatribe di gente che comunque ci ha studiato e sperimentato.
Buona birra!
Assolutamente d’accordo! Tra l’altro non volevo infierire, ma le info sul livello degli esteri si trovano sulle schede dei lieviti. Il fatto che siano POF1 (produttori di fenoli) oppure no mi pare abbastanza elementare e noto (belgi sì, weizen sì, americani no).
Della serie: tutto ciò che sapevi è sbagliato!
Effettivamente, pensandoci a fondo, l’ossigeno viene utilizzato dalle cellule di lievito durante la cosiddetta “respirazione cellulare aerobica” che dà modo alle cellule stesse di moltiplicarsi (lo starter è in effetti molto più efficiente se agitato costantemente, no?).
Certo che se noi abbiamo contemporaneamente: a) un numero di cellule di lievito sufficienti a fermentare tutto il mosto; b) tutte cellule vitali con una membrana cellulare in buone condizioni; e c) condizioni che scoraggiano un metabolismo aerobico del lievito (es. alte OG), allora potrebbe essere poco utile ossigenare il mosto oltremisura.
Però sappiamo più o meno tutti che i saccharomyces sono anaerobi facoltativi, ma sappiamo anche che in presenza di buone concentrazioni di ossigeno tendono preferire quest’ultimo per ricavare l’energia a loro necessaria. Esaurito l’ossigeno, passano alla fermentazione anaerobica mediante glicolisi.
Questo in un mondo perfetto. Ma cosa succede con variazioni più o meno consistenti di temperatura, pH, OG e pressione?
In realtà non è proprio così. Il lievito nel mosto di birra non respira, semplicemente assorbe ossigeno al suo interno per legarlo agli acidi grassi e produrre steroli. La respirazione non può avvenire nel mosto per via dell’effetto CrabTree, ovvero concentrazione di zuccheri superiore allo 0,4% se non ricordo male (conta che in un mosto a 10 Plato, ovvero 1,040 OG, la concentrazione è 10%). Il fatto che il lievito prima respiri e poi fermenti deriva da un utilizzo errato dei termini: la fermentazione (che grazie alla glicolisi trasforma gli zuccheri in alcol e CO2) parte in realtà da subito in parallelo all’incamerazione di ossigeno nelle cellule, anche se la fuoriuscita di CO2 non è visibile inizialmente dal gorgoglitaore.
Già, ho fatto un esempio a sproposito. Neanche io sono un biologo…
In condizioni aerobiche se la concentrazione di zuccheri supera i 200-500 mg/l prevale la fermentazione anaerobica per l’effetto CrabTree da te già citato in un articolo precedente (quindi 0,2 – 0,5% proprio come dici tu).
Quello che volevo capire è se davvero una quantità di ossigeno bassa nel mosto può comunque creare problemi a un lievito secco in quantità sufficienti e reidratato correttamente.
Teoricamente l’ossigeno non serve proprio. Poi bisogna sempre vedere quanto il lievito secco è “fresco” e se il discorso vale anche per alte OG. Ma chi riesce a misurare? Io, per ora, continuerò a ossigenare. Magari posso provare a evitare, come ho scritto, con birre luppolate a bassa OG.
Ossigenando con metodi meccanici sicuramente l’ossigeno disciolto sarà in basse quantità, che consumate o meno però similmente verranno espulse durante la fase tumultuosa della fermentazione.
Viceversa ossigenando con ossigeno liquido si avranno quantità disciolte che nel caso dei lieviti secchi poi potrebbero effettivamente portare ad avere problemi nella birra finita.
IMHO, poi sarebbe da verificare con strumenti professionali.
Sicuramente con l’ossigeno puro il mosto si può saturare maggiormente. Credo comunque che in fase tumultuosa in entrambi i casi esca dalla soluzione, ma certo se si esagera con l’ossigeno avviene già ossidazione nelle ore precedenti alla fermentazione tumultuosa. Ossigenando con aria si rischia molto meno.
Ciao Frank,
Oggi stavo riordinando i miei appunti, e copiando e incollando qua e la i tuoi articoli, eheheh, mi sono fatto assalire da nuovi dubbi 🙁
Sintetizzando da questo articolo possiamo dire che (per quanto riguarda i lieviti liquidi) “glicogeno + acidi grassi + ossigeno = steroli”
In sintesi:
-ho capito che producendo in BIAB il problema principale sta nella shelf-life dovuta agli acidi grassi che che ci portiamo in fermentazione..
-con i lieviti secchi non serve ossigenare perché abbiamo già gli steroli, quindi la combinazione con gli acidi grassi e glicogeno non serve, però gli acidi grassi ce li portiamo dietro comunque..
-ho capito che gli acidi grassi che il lievito non utilizza per creare gli steroli, vengono “catturati dall’enzima AAT per catalizzare la reazione di esterificazione”.. acido+alcool=esteri
i dubbi:
1- non ossigenando si ha una maggior produzione di esteri derivati dalla maggior presenza di acidi grassi che non vengono consumati per produrre steroli?
2 – questi acidi grassi sono gli stessi che se rimangono nella birra riducono la shelf life delle mie produzioni?
Mi preoccupa sia la maggior produzione di esteri sia la maggior presenza di acidi grassi..
Da qualche cotta anche io ho smesso di ossigenare il mosto (per produrre 2 luppolate) con i secchi e controllando l’attenuazione sembra essere tutto nella norma…ma a distanza di un mese sento già l’ossidazione, che per carità ci sta, però non so che margini di miglioramento ci sono..sicuramente dopo i nuovi dubbi di oggi (aspetto prima una tua risposta) provo la stessa ricetta con un liquido…poi però dovrò ossigenare!!!
Ho incrociato tre dei tuoi post dove parli di fermentazione, spero di non aver fatto confusione e di non aver scritto boiate.
Approfitto per ringraziarti di tutto il lavoro che fai!
grazie mille
ciao
Allora, ovviamente la questione è complicata ma sintetizzo. Il glicerolo non c’entra con gli steroli, è solo una riserva di zucchero (carburante) che il lievito usa prima di iniziare a consumare gli zuccheri nel mosto. Lo aiuta a non “soffrire” nelle prime fasi della fermentazione. Gli acidi grassi sono di diverse tipologie, alcune sono prodotte dal lievito stesso, altre (tipo quelli insaturi) vengono spesso dai malti (e qui il problema del BIAB). In parte il lievito può usare anche gli acidi grassi a catena lunga che vengono dal mosto per rinforzare le membrane cellulari, ma fino a un certo livello. Se non li usa, possono essere convertiti in esteri (maggiore produzione di esteri, ma non è detto che questa sovraproduzione risulti evidente al naso). Riassumendo:
– starter fondamentale per i liquidi perché dopo pochi giorni in busta non hanno più glicerlo (lag time elevato, sofferenza)
– no ossigeno, maggiore produzione di esteri (ma non è detto che questa si senta, dipende dal lievito)
– + acidi grassi insaturi nel mosto (da malti, causa BIAB) possono ossidarsi (ma attenzione che non tutti gli aromi prodotti dall’ossidazione sono uguali, in questo caso sono riconducibili al sapone o – raramente – al rancido)
Spero di aver chiarito qualche dubbio.