Qualche giorno fa un mio conoscente ha pubblicato una bellissima foto su Facebook: abbracciava sua figlia mentre usciva dalla piscina, probabilmente dopo una sconfitta nella gara di nuoto a cui aveva preso parte. Nella didascalia raccontava quanto lo sport insegni a gestire la sconfitta e quanto sia importante per i giovani venire a contatto con la delusione. Sono emozioni che insegnano a stare al mondo, a crescere e a farsi le ossa.
Mi sono subito venute in mente le mie (tante) sconfitte e delusioni in ambito brassicolo, e ho pensato che potesse essere divertente ripercorrerle in un post per raccontarle a chi segue questo blog. Alcune sono più conosciute, altre meno. Alcune piccole, alcune più profonde. L’importante è che oggi sono ancora qui a fare birra e, soprattutto, a raccontarlo.
L’eterna lotta con le saison
Chi segue il blog è probabilmente a conoscenza del mio rapporto travagliato con le saison. Non lo posso certo definire un caso di successo, anzi, piuttosto potremmo parlare di un caso di insuccesso reiterato. Tutto iniziò qualche anno fa quando decidemmo di partecipare alla tappa dell’edizione 2013 del concorso per homebrewer Brassare Romano; tappa dedicata, appunto, allo stile saison. All’epoca eravamo in quattro a fare birra insieme, anche se alla fine il rompiballe che studiava come un matto ero sempre io. Come da tradizione, mi misi a leggere mille testi per capire quali fossero i segreti per fare una buona saison. Mi colpì, come colpisce tutti, la fermentazione ad alte temperature con cui venivano solitamente fermentate queste birre. Decisi di provare.
Optammo per due cotte a rotazione: la prima per calibrarci e la seconda per produrre la birra vincente. Usammo il lievito French Saison che lanciammo a 28°C fin da primo giorno. L’assaggio all’imbottigliamento non ci parve malvagio, quindi facemmo la stessa cosa con la seconda produzione, variando solo un po’ la ricetta. Le birre facevano entrambe piuttosto schifo, piene di solvente e medicinale. Eravamo troppo inesperti per individuare e identificare bene quegli aromi, ma i giudici per fortuna ce lo fecero notare. Fu un bel fallimento, doppio tra l’altro, che mi fece rodere parecchio i gomiti (anche perché, per quanto cercassi di far finta di niente, la birra non era proprio bevibile e finì presto nel lavandino). Seguirono tanti altri esperimenti più o meno mediocri, ma la quadra arrivò solo qualche mese fa con questa birra qui (link). Botta di culo? Esperienza? Lo scopriremo a breve, visto che è in cantiere una nuova saison.
Il mio primo gushing
Nonostante alcuni amici si divertano ogni tanto a chiamarmi sugar, secondo loro per la mia manina eccessiva nel dosaggio dello zucchero di priming, non mi capita molto spesso di produrre birre sovracarbonate. Ho altri problemi, ma questo per fortuna è raro (forse perché faccio batch piccoli e il frigo si svuota velocemente).
Il vero e proprio gushing mi capitò una volta sola, purtroppo proprio con l’imperial stout che produssi per la nascita della piccola Emma. Era la mia prima imperial stout (tra l’altro nemmeno molto imperial, visto che non arrivava nemmeno a 8 gradi) e probabilmente non le avevo lasciato il giusto tempo per terminare la fermentazione. Un errore molto diffuso tra chi produce birra in casa, specialmente se alle prime armi. Potete immaginare la delusione: stappare delle fontane in onore della nascita di mia figlia non è stato il massimo della libidine. Ci sono rimasto male, tanto che ne ho buttate la maggior parte in preda alla rabbia (specialmente quelle con aggiunta di scaglie di quercia, che facevano fontane ancora più alte, probabilmente per le piccole particelle di legno che erano rimaste in bottiglia). Ho imparato la lezione, però: la seconda (recente) imperial stout che ho prodotto è rimasta in fermentatore secondario per due mesi dopo la fine della fermentazione. Ora ha raggiunto la carbonazione perfetta. A breve arriverà la recensione sul blog.
Le prima cotte con il nuovo impianto work in progress
C’è una cosa che mi è rimasta impressa delle prime cotte: l’odore del malto che entra a contatto con l’acqua calda all’inizio del mash. Per molti questo odore è associato al giorno della cotta, quindi a un momento di gioia. In me, invece, riaccende all’istante la sensazione di delusione e impotenza delle prime cotte, quando cercavamo di mettere in piedi l’impianto nel box di Raffaello e tutto andava sempre storto (dalla foto sopra si intuisce anche perché).
Mi ricorda quella volta in cui dovevamo preparare la APA per il concorso da Eataly (dove vinse tra l’altro Umberto Calabria, all’epoca homebrewer e oggi birraio di Jungle Juice) ma tutto andò storto: la pompa non funzionò, il ricircolo nemmeno, la temperatura del mash arrivò oltre gli 80 gradi e dovemmo buttare tutto nel tombino. L’odore di mosto caldo invase il box, mi entrò nel cervello insieme alla frustrazione che provai in quel momento.
Sono passati diversi anni ma ancora quell’odore mi mette per qualche istante di malumore, quando verso i grani nel mash. Per fortuna ormai ho messo insieme un impianto decente, dopo tante prove ed errori (link). Non sempre tutto funziona come dovrebbe, ma non ho più dovuto interrompere una cotta e buttare via il mosto caldo.
Non potemmo poi partecipare al concorso di Eataly, che probabilmente non avremmo vinto vista la ricetta che avevamo pensato, ma ne sono venuti altri a seguire dove ho avuto le mie soddisfazioni. E oggi, grazie alle esperienze negative, riesco a gestire senza stress gli imprevisti che di tanto in tanto capitano durante la cotta.
Quella volta in cui mangiai la tessera dell’UDB
Questa è stata forse una delle delusioni più grandi che ho vissuto durante la mia storia di produttore casalingo. Correva l’anno 2014, eravamo alla terza delle quattro tappe di Brassare Romano. Quell’anno volevo vincere, a tutti i costi: ne valeva della reputazione del blog. Alla prima tappa arrivammo primi, alla seconda mancammo il podio per un pelo, piazzandoci al quarto posto. La terza tappa era molto importante, così decisi di fare una doppia versione della mild da mandare al concorso. Ne feci prima una in casa per conto mio, senza gli altri di Brewing Bad, diversi mesi prima della tappa. Non venne malissimo, ma non era certo perfetta. Progettai la nuova ricetta e fissammo la cotta al box con gli altri. Successero i soliti casini con l’impianto: la birra fermentò male, probabilmente si infettò pure e dovemmo buttare tutto (di nuovo).
Presentammo alla tappa le ultime tre bottiglie della mild che avevo fatto a casa molti mesi prima. Non era il massimo, ma speravamo di cavarcela. La tappa del concorso si teneva al Pork & Roll. Fu una serata strana, nervosa. La giuria ebbe difficoltà a lavorare, alcuni giudici non erano affatto preparati sullo stile (lo pensavo allora e lo penso anche oggi). Avevo bevuto troppo, ero nervosissimo. Riassaggiai la mia mild che non era certo ottima ma nemmeno malvagia. Passarono al tavolo anche le mild fatte dagli altri concorrenti, nessuna mi sembrava eccessivamente migliore della mia (forse una). Beata ignoranza.
In giuria c’erano diversi membri di quella che allora si chiamava ADB, oggi UDB, e un birraio di un birrificio che non esiste più. Arrivarono i risultati. Non eravamo terzi. Non eravamo secondi. Ero convinto fossimo arrivati primi. E invece no: primo arrivò Giacomo Manni, che poi andò a studiare alla scuola per distillatori e birrai di Edinburgo e oggi ha fatto della produzione di birra il suo lavoro.
Lessi le schede di valutazione, alcune compilate obiettivamente male al di là del giudizio sulla birra, e sbroccai. Saltai sulle schede, presi la tessera UDB, la feci a pezzi, me la misi in bocca, masticai e poi la sputai. Ricordo il buon Francesco Stefanelli (allora presidente di UDB) che cercava di calmarmi. Fu una scena molto divertente per chi ebbe la fortuna di assistere, un po’ imbarazzante per me a ripensarci dopo. Ma capita: quando si tiene tanto a qualcosa, la delusione brucia.
Quell’anno vincemmo poi Brassare Romano, grazie alla tappa successiva dedicata alle Belgian Dark Strong Ale (la nostra birra non era particolarmente riuscita ma altri fecero peggio, specialmente chi era vicino a noi in classifica). A ripensarci fu una reazione completamente fuori luogo, la mia, seppure basata su un fondo di ragione (la giuria era veramente organizzata male quella sera). Con il tempo imparai ad accettare i giudizi negativi sulle mie birre, prendendo confidenza con il famoso concetto di cellar blindness.
Quella volta in cui venni perculato su Areabirra
Passano un po’ anni, saltiamo al 2016. Il blog iniziava a essere più conosciuto, io mi sentivo superfigo e rivoluzionario. L’irriverenza, del resto, è stata un po’ l’attitudine con cui è nato il blog, quindi in qualche modo ci stava. Capitò, per puro caso, che un amico homebrewer prese contatti con un tipo americano che era in giro per l’Italia in vacanza. Era anche un homebrewer e aveva proposto alla rivista americana Brew Your Own (BYO, molto letta anche in Italia) un articolo sulla scena homebrewing italiana. Per qualche assurda coincidenza finii a fare quattro chiacchiere con il tipo, una mattina, al Bir&Fud di Trastevere. Assaggiammo un po’ di birre fatte in casa con lui e altri amici e scambiammo qualche battuta. Ci fece qualche domanda, gli raccontammo un po’ di cose. Venne scattata la foto sopra che finì sulla rivista, insieme a un racconto in cui io venivo chiamato, ironicamente, “The professor” (i miei amici mi chiamavano “il professorino” per prendermi in giro).
All’epoca non avevo ancora avuto contatti con MoBI, né con la scena storica degli homebrewer italiani. Non frequentavo i forum e non frequentavo soprattutto Areabirra, il forum per antonomasia degli homebrewer italiani. Grazie ai link di Google Analytics scoprii questo thread, in cui me ne dicevano di tutti i colori. Ma chi si crede di essere questo? Fa birra con il calzino! Ha l’impianto da 10 litri, poveraccio. Ce l’ha con il protein rest non capisce un cazzo.
Un po’ fui lusingato di tanta attenzione, ma un po’ ci rimasi ovviamente male. Ma se si vuole gestire un blog “irriverente” poi ci sta che ti mazzolano quando pisci fuori dal vaso. Fu una situazione che si trascinò per qualche mese, a cui seguirono altre discussioni e scambi più o meno moderati. Poi passò.
Capii che l’autorevolezza si guadagna con il tempo e con le azioni concrete. Avevo intrapreso la strada giusta, ma tanta me ne mancava (e me ne manca ancora) da fare. Con alcuni di quegli homebrewer ho oggi interessanti scambi sui gruppi online, alcuni li ho anche incontrati personalmente con grande piacere. Altri mi reputano probabilmente ancora non abbastanza autorevole, ma ci sta. Io ho imparato che la provocazione va bene, fa parte del mio essere e soprattuto di questo blog, ma anche che studiare tanto non basta. In questo hobby, lo scambio e l’esperienza sul campo fanno molto. Moltissimo.
Bellissimo articolo Frank!
Ahahahah….cazzo se ricordo quell’articolo e il cinema che seguì. 🙂
Grazie per avermi fatto rileggere la discussione, su cui volentieri mi auto cito…”il tutto trasuda un po’ di aò so er mejo”….ahahahah
Cosa che riconfermo, se rapportata ai tempi di cui parliamo, leggevo saltuariamente il tuo blog, come scrissi avevo letto alcune cose che sapevo essere inesatte, alcune imprecisioni, ed in genere accantono la cosa quando e così, inoltre leggendo mi parevi eccessivamente borioso e con un pizzico di vanità nell’auto referenziarti.
Devi darmi però atto, come hai scritto nell’articolo, che ai tempi ne avevi di malto da macinare.
Immagino che ai tempi tu ci rimanesti male…ma, e parlo per me, nella vita mi son serviti più gli schiaffi che le carezze.
E comunque se rileggi fra le righe oggi, togliendo la tara del risentimento del tempo, puoi trovare anche complimenti (il bolg e molto bello, la persona e molto motivata e si sente che ha passione etc…etc..).
Per calzino, che io chiamavo la sacca della biancheria sporca, quando ancora East, tra tanti altri che ora sono pro, era nel forum da hb, era tutto nato da quando Nico e Rico (ora birraio prima a the wall e ora a orso verde) iniziarono con sta minchia di biab ahahahah….era in 2009 se non erro…o 2010, va beh, li abbiamo simpaticamente perculati per parecchio tempo, io li chiamavo gli evangelisti della sacca della biancheria sporca e della setta biabbista di cui ero acerrimo nemico…ahahah…quante cazzate, il tutto era solo per scherzare fra amici ovviamente, io e il Tnt (ora birraio in Australia a Stokadebrew) eravamo fra i più scettici e ovviamente criticavamo assai…ricordo le discussioni su discussioni sui i contro e i pro, stiamo parlando di quando nessuno faceva biab ancora in italia…almeno credo, io non sapevo di nessuno e letto nulla, rico aveva letto della tecnica su Aussiehomebrew se non ricordo male.
E tu facevi biab. 🙂
Ma la cosa non era strettamente legata a te, quella del calzino intendo.
In ogni caso, poi di persona ti sei rilevato molto diverso da quanto pensavo, infatti abbiamo parlato forse 5 minuti di hb e per il resto del tempo di tutt’altro…per fortuna. 🙂
Ricordo anche le tue groupie a difenderti e hastag di cui ora mi sfugge il titolo.
Che cinema.
Non sapevo del tuo sbrocco ad un concorso però, questa mi e nuova, ne ho visti eh…il dopo concorso e la cosa più triste, sai quanti ne ho sentiti e visti lamentarsi, lamentarsi e lamentarsi, fa tristezza, e comunque pure Valierani ci fece la verguenza con una storia del genere, dunque e cosa “normale”, oddio io non ho mai sbroccato, nel senso ci sono rimasto male a volte, ma io prendevo sempre la scheda e la mettevo via, a volte stavo fuori a bere e chiedevo di ritirarmi la scheda ad altri fai te, per rileggerla il giorno dopo con calma, e andavo avanti a bere, perché a mente non lucida…e dopo un concorso e così, non e semplice essere obbiettivi, e inutile.
E le critiche fanno male, sulle nostre creature poi fanno malissimo, ma aiutano a crescere più che i mille complimenti degli ammmici.
Come i soli complimenti su un blog di nostra proprietà non sempre fanno tanto bene…ci vuole anche qualche sana critica suvvia. 😉
E poi si sa, su AreaBirra siamo sporchi brutti e cattivi. 🙂
Insomma per finire, grazie di avermi fatto riaprire sta pagina nella mia memoria… 🙂
Massì, a schiaffi si cresce. Ci sta. E poi, se tutto quel casino è servito a farci bere quel bel giro di pinte a Monza, è assolutamente benvenuto.
Comunque, quella sera della mild ci rimasi sicuramente male per la birra, per carità, ma alcune schede erano davvero imbarazzanti. Anche parlandone poi con il presidente dell’ADB concordammo si questo fatto. Ciò non toglie che la mia reazione fu eccessiva ma molto divertente a detta di tutti quello che ebbero la fortuna di assistere. 🙂
Guarda anch’io ricevetti schede indegne di essere definite tali…ma leggendole il giorno dopo mi feci due ristate e via…e sfanculato il compilatore tra me e me.
Dopo un concorso si e un po’ allegri…e mi spiace rovinarmi allegria con cose di poco conto, come una scheda, quella va analizzata a mente lucida.
Comunque cose che capitano.
A me mi crocifissero su forum mobi perché ad un concorso baciai (caldamente) una giurata…sommelier di vino…e che sommellier aggiungerei…ahahah…ero arrivato in finale, quando lo capii dissi che come mi chiamavano mi sarei fiondato su sommelier….ahahah…ricordo ancora kuaska un po’ basito che mi tendeva la mano e io che lo scartai andando a prendere il mio “premio”…un semplice doppio bacio sulle guance eh…con mani ben a posto ben inteso…ma se leggevi su mobi pareva tutt’altro…ahahahah
Che ci vuoi fare…meglio quello che incazzarsi.
Era Piozzo…partecipavo con la mia dry stout. 😉
Ma il fatto che strappasti e mangiasti la tessera….e un ingigantire la cosa immagino….giusto?
Quelle pinte a Monza mi hanno fatto capire quanto sbagliavo su tuo conto…e come ti dissi quando eravamo a bere, e tu tirasti fuori sto argomento…ma si chi se ne frega, son cazzate passate queste, ci mancherebbe, li per li uno se la prende…e capisco, ma poi chissene…o no? 😉
L’avevamo detto che si saremmo trovati al bancone. E l’abbiamo fatto. Spero non sarà l’unica volta.