Eccomi finalmente a raccontare cotta e assaggio di questa Russian Imperial Stout. Una birra citata più e più volte durante le puntate di MashOut! Podcast dello scorso anno, fino all’assaggio in diretta all’inizio della puntata andata in onda poco prima di Natale.

All’epoca l’assaggio era decisamente prematuro, la birra aveva appena finito di carbonare. Ho quindi atteso diversi altri mesi prima di scriverne qui sul blog.

Questa RIS è stata la mia prima birra ad alta OG prodotta senza il supporto di zuccheri o estratti. Non che ci sia nulla di male a usarli, per carità, ma l’ho presa come una sfida tecnica per il mio piccolo impianto a tre tini.

Tutto sommato è andata bene, ma procediamo con ordine.

LA RICETTA

Di ricette per Imperial Stout se ne possono fare a centinaia, con tantissime combinazioni differenti di cereali, maltati e non. Le sfumature dello stile sono molteplici: si spazia da versioni più secche e amare (tipo la Yeti di Great Divide) a interpretazioni cicciotte con un residuo dolce più marcato, come le ottime RIS che sforna Brasseria della Fonte. Non ho pregiudizi su nessuna interpretazione, incluse quelle che si possono posizionare nel mezzo, purché si tratti di birre nel complesso equilibrate e bevibili. Non amo gli eccessi alcolici né le derive “pastry”, ma qui andiamo sul gusto personale.

Per questa birra, il mio lontano riferimento è la Yeti di Great Divide. Quindi amaro deciso, tostato spinto e residuo dolce limitato. Non sono un fan delle ricette con decine di malti, per cui anche in questo caso ho cercato di limitare il più possibile le tipologie di malto impiegate.

L’idea era di avere un buon profilo tostato, piuttosto spinto, con una dorsale maltata che lo sostenesse, smussandone i contorni affilati. Per il primo obiettivo ho abbondato con i malti roasted (Pale Chocolate, Chocolate e Black), mentre il secondo compito è stato affidato ad un unico malto Crystal a tostatura leggera (60 EBC), usato in dosi abbondanti.

Avena, ovviamente, per la tanto agognata “setosità”. Quanto l’avena contribuisca davvero al mouthfeel setoso è discutibile, specialmente se usata nelle solite dosi omeopatiche. Ho cercato quindi di abbondare ma senza esagerare, dato che sembra che troppa avena potrebbe essere controproducente per la schiuma, per via degli oli che contiene.

Ho spinto abbastanza sull’amaro, considerando che molti in questo stile si fermano a 0.4 in termini di rapporto BU/OG. La pressione sull’acceleratore è stata intenzionale, ma come vedremo forse ho un poco esagerato.

Acqua sbilanciata sui solfati, con una buona dose di sodio per dare pienezza e un contrappunto alle note di cioccolato che mi sarei aspettato (non è andata proprio così, come vedremo).

LA COTTA

Il mio impianto utilizza una pentola di mash da circa 35 litri, con doppiofondo, sotto cui è posizionata una resistenza da 2,5KW che all’occorrenza gestisco con un regolatore di potenza.

Il problema di questo setup è che sotto ai grani e al doppiofondo rimane uno spazio con 4 litri di mosto. Questi 4 litri limitano i litri di acqua che mi rimangono per lo sparge, in quanto ai classici 3 L/Kg che si usano per il mash (non troppo denso per far lavorare bene la pompa) devo aggiungere altri 4 litri per riempire lo spazio sotto al doppiofondo.

Anche facendo solo 10 litri di birra e 2 ore di bollitura, a malapena mi sono restati due litri di acqua per lo sparge. Che alla fine ho preferito mettere direttamente in mash, tanto non sarebbe cambiato granché.

Il pentolone era pieno quasi fino all’orlo (avrei potuto osare 2-3 litri in più) per ottenere 8 litri di birra litri di birra (contro i miei soliti 11-12, per cui l’impianto è tarato).

Avevo ipotizzato di scendere dal mio solito 67-70% di efficienza al 50%, invece mi sono ritrovato con un litro in più alla densità desiderata, attestandomi su un onesto 58% di efficienza, considerando l’assenza dello sparge (metodo NO SPARGE).

Per fare uno sparge decente avrei dovuto bollire molto più a lungo (anche fino a 4 ore), e probabilmente non avrei comunque avuto sufficiente capienza nella pentola di bollitura per i litri pre-boil necessari, visto che è più piccola di quella di mash.

Altro approccio può essere quello del MASH REITERATO, dove si dividono i grani in due ammostamenti fatti l’uno in successione all’altro (si possono fare entrambi con sparge o senza). Nel secondo ammostamento si utilizza come acqua il mosto raccolto dal primo. In questo modo si migliora l’efficienza complessiva, in quanto quella del primo ammostamento sarà sicuramente più alta. Tuttavia si allungano decisamente i tempi, il che mi ha portato a escludere a priori questo metodo. Magari un giorno lo proverò, anche solo per curiosità.

FERMENTAZIONE

Per la scelta del lievito mi sono orientato sul BRY-97 della Lallemand. Ha una ottima tolleranza all’alcol e a mio avviso si comporta molto bene con i grist di malti scuri. È molto difficile utilizzare lieviti liquidi per densità così alte, per via della grande quantità di cellule necessarie per l’inoculo e per le difficoltà nel garantire una buona ossigenazione al mosto (l’alta densità rende difficile la solubilizzazione dell’ossigeno).

L’alternativa è usare il fondo di una cotta precedente a bassa OG, come una mild o una porter, ma mi torna difficile coordinare due cotte una di seguito all’altra.

Ho optato quindi per 3 bustine di BRY-97 per fermentare 9 litri di mosto con OG 1.099. Un pitching forse eccessivo (siamo oltre i 3g/L), ma mi ha fatto sentire tranquillo durante tutta la fermentazione.

Ho ossigenato con bombola di O2 per 30 secondi, anche se i lieviti secchi non ne hanno necessariamente bisogno. Ma con densità così alta, ho cercato di fare tutto quello che potesse aiutare la fermentazione.

Onde evitare sorprese di ripartenze in bottiglia, dopo 15 giorni ho spostato il tutto in contropressione in un fustino da 10 litri che ho lasciato a temperatura ambiente per molti giorni. In totale, prima di imbottigliare, sono passati 2 mesi.

In fase di imbottigliamento ho aggiunto lievito da rifermentazione CBC1 (0,10 gr/L) e zucchero per un priming comunque basso, puntando a 1.8 volumi. Le bottiglie sono rimaste a temperatura ambiente fino a qualche giorno fa, quando la temperatura di casa di 28-30°C mi ha costretto a passarle in frigo (le poche che sono rimaste), dove trascorreranno l’estate.

ASSAGGIO

Dal giorno dell’imbottigliamento (Novembre 2021) ad oggi ho fatto diversi assaggi. I primi non mi hanno convinto, sebbene la birra si presentasse piuttosto bene nel bicchiere: bellissima schiuma, carbonazione ideale, corpo morbido. Avvertivo però una amaro eccessivamente intenso che si scontrava con i malti tostati, rendendo la bevuta spigolosa ed eccessivamente orientata verso la liquirizia amara.

Gli spigoli si sono smussati con il tempo, il profilo gustativo si è amalgamato rendendo il tutto più armonico. L’assaggio di cui parlerò oggi è di una bottiglia di 7 mesi. Se contiamo i 2 mesi precedenti all’imbottigliamento, la birra assaggiata ha circa 9 mesi di vita sulle spalle.

 ASPETTO  L’impatto visivo è quello che mi ha entusiasmato di più, da subito, in questa birra. Mentre scende nel bicchiere di un nero compatto, oleosa e densa, si forma un cappello di schiuma marrone chiaro, a bolle molto fini, compatta. La persistenza è buona, rimane un velo per tutta la bevuta. Considerando i dieci gradi alcolici, direi che è un ottimo risultato. Bella, niente da dire.

 AROMA  L’intensità non è male, ma il naso non è dei più puliti. L’alcol si sente, con uno sbuffo moderato, soprattutto se si beve da un bicchiere piccolo che chiude. La situazione migliora in un bicchiere più grande, dove l’aroma si apre. L’arco olfattivo è incentrato sul tostato spinto, in particolare liquirizia, ma anche china e qualche venatura legnosa che ricorda il legno della mina della matita. Non mi fa impazzire, ma tutto sommato risulta piacevole.

 AL PALATO  L’ingresso è piuttosto prepotente, con la liquirizia in primo piano. Il tipo di liquirizia amara, quella delle mitiche caramelle Tabù. Non si presenta al palato nel migliore dei modi, ma il pregio di questa birra è la corsa gustativa. Dopo poco si apre, lasciando spazio a un retrolfatto piuttosto complesso, dove la liquirizia si sposta in secondo piano cedendo il passo a note di nocciola, noce, caffè d’orzo, cacao amaro e un leggero terroso sul finale. La seconda parte del sorso mi piace, invoglia a berne ancora. L’ingresso invece lo trovo un po’ ostico, da calibrare meglio.

 MOUTHFEEL  Bel corpo, morbido e della giusta consistenza. La carbonazione è perfetta, solletica il palato quanto basta. L’alcol si sente, ma meno dei 10 gradi dichiarati. Astringenza assolutamente sotto controllo.

 IMPRESSIONI GENERALI  La sto bevendo con soddisfazione, su questo non c’è dubbio. Quando mi capita a tiro una bottiglia una volta aperto il frigo, magari perché emersa dalle retrovie, la stappo sempre. A prescindere dall’orario. È una birra da sorseggiare con calma, ma si beve bene in qualsiasi ora del giorno.

Non ha esattamente il profilo che avrei voluto: questa liquirizia amara mi dà un po’ fastidio, avrei preferito una maggiore intensità nelle note di cioccolata e caffè, che arrivano solo in un secondo momento, con una certa timidezza. Al palato mi sarebbe piaciuta un po’ meno amara, con meno liquirizia e un filo in più di dolcezza. Sul corpo ci siamo, la pulizia anche è tutto sommato buona. L’alcol è ben nascosto al palato.

Con il tempo mi sembra stia migliorando, ma non mi aspetto miracoli: l’amaro è calato, il taglio tostato si è ammorbidito leggermente. Non so quanto durerà ancora la curva di miglioramento (non credo molto), ma forse ancora un po’ di spazio c’è. Purtroppo nel frattempo saranno rimaste poche bottiglie, ma tant’è. Bene così.

Dopo l’estate proverò a rifarla. Credo che ridurrò l’amaro di una decina di IBU, dai tostati forse tolgo o comunque riduco il Black Malt a favore del Chocolate. Forse un 5% di Crystal a media tostatura potrebbe starci, o magari un po’ di Monaco a fare base. Vedremo.

Un birra di ritoccare, ma nel complesso soddisfacente. Qui la ricetta modificata per la cotta 2022.

Il nome della birra è ispirato a una canzone degli Slipknot, una band che amo molto. Si tratta del quarto singolo del loro sesto album “We are not Your Kind“. Mi sembrava si addicesse bene allo stile.

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Frank
Ingegnere elettronico prestato al marketing, da sempre appassionato di pub e di birre (in questo ordine). Produco birra in casa a ciclo continuo dal 2013. Insegno tecniche di degustazione e produzione casalinga. Sono un divoratore di libri di storia e cultura birraria. Dal 2017 sono giudice BJCP (Beer Judge Certification Program). Autore del libro "Fare la birra in casa: la guida completa per homebrewer del terzo millennio"

1 COMMENT

  1. Salve Frank,grazie e complimenti per i tuoi contributi birrari.
    Stesso mio problema quello della liquirizia amara,eppure black malt completamente assente nel grist e chocolate entro i massimi ammessi.
    E oltretutto in una scura che tutto è tranne che russian imperial,arriva si e no a 5 ABV.
    Sto ipotizzando che sia l’acqua la causa che,a differenza tua, non modifico poiché non mi sento in grado….
    Anche l’amaro, che in genere non disdegno affatto,è comunque troppo elevato pur cercando di non esagerare col luppolo(semplice EKG).
    Anche qui attribuisco il problema all’acqua, forse troppo morbida e leggera per una nera….o forse alla mia incapacità di prevenire i difetti.
    Per emularti e restare in tema musicale potrei chiamarla…..THIS COLD BLACK!
    Continua a darci supporto Frank grazie infinite!
    Saluti.
    Davide

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