Finalmente ci siamo. Ecco ricetta e assaggio di questa Helles Bock, prodotta con il metodo della decozione. La birra ho iniziato a spillarla dal fusto, dopo circa un mese di lagerizzazione, diversi mesi fa. Prima che il fusto finisse, ho fatto qualche bottiglia. Per impegni vari, questo post ha subito un po’ di ritardo. Meglio tardi che mai.
LO STILE
Le Helles Bock sono uno stile relativamente recente. La capostipite di questa famiglia di stili, che comprende anche Dunkles Bock (scure), Doppelbock (sia scure che chiare) ed Eisbock (tendenzialmente da ambrate a scure) prende origine dalla cittadina di Einbeck nel Nord della Germania, dove a partire dal 1500 inizia a svilupparsi uno stile di birra dal colore marroncino, inizialmente prodotta ad alta fermentazione per poi pian piano trasformarsi in una bassa fermentazione.
Da queste birre, chiamate Dunkles Bock, che appunto in tedesco significa Bock scure, derivarono poi le Helles Bock, chiare, prodotte per la prima volta diverse centinaia di anni dopo.
Sembra che il nome Bock derivi proprio dalla storpiatura di Einbeck, nome della città di origine. Bock significa anche caprone in tedesco, ragion per cui le Doppelbock utilizzano spesso questo simbolo in etichetta.
Se volete saperne di più sulla storia dello stile e su come riprodurlo in casa, vi consiglio l’ascolto di questa puntata di MashOut! Podcast.
I tratti dello stile sono essenzialmente maltati, con una media intensità aromatica e toni più decisi al palato. Sono birre mediamente chiare, dorate, possono talvolta arrivare ad avere un colore leggermente ambrato. Il corpo è abbastanza pieno, il finale tende al dolce ma non in modo stucchevole. Si tratta comunque di birre ben attenuate, in genere con una espressione luppolata leggermente più intensa, sia in amaro che in aroma, rispetto alle sorelle più scure. Luppoli ovviamente continentali con note speziate, floreali ed erbacee.
L’esempio classico di stile, prodotto da un birrificio tedesco piuttosto grande e storico che amo molto, è la Maibock di Ayinger, birrificio che si trova nella omonima cittadina di Aying, a 25 Km da Monaco. Questa birra, come suggerisce l’appellativo Maibock, viene commercializzata tradizionalmente nel periodo primaverile, intorno al mese di Maggio. Ayinger produce anche la mitologica Doppelbock Celebrator, che amo moltissimo.
Curiosamente, quando la prima volta feci caso a questo particolare stile molti anni fa, fu con una birra americana: la Dead Guy di Rogue Brewery.
In Italia non si trovano molti esempi di questo stile. Tra i birrifici più conosciuti mi viene in mente la Heller Bock di Birrificio Elvo, come sempre ottima interpretazione di uno stile teutonico tradizionale.
RICETTA
L’ingrediente principale delle Helles Bock è il malto Pils. Spesso viene affiancato da malto Vienna e talvolta da malto Monaco. Tradizionalmente viene prodotta in decozione, che ne dovrebbe scurire il colore intensificandone il profilo maltato. Per la prima volta nella mia esperienza di produzione casalinga, ho scelto proprio con questa birra la strada della decozione. Doppia decozione, per essere preciso.
Trovate tutti i dettagli della cotta in quest’altro post, dove spiego passo passo i vari passaggi. Per l’occasione ho utilizzato 100% malto Pils, in modo da poter valutare meglio l’effetto della decozione su colore e profilo maltato, senza interferenze organolettiche di altri malti speciali. Ho impiegato un mix di due Pils che avevo in casa.
Per chiudere, un tocco leggero di luppoli tedeschi: Tradition ed Hersbrucker. Fermentazione affidata al fido W34/70. Acqua molto leggera, partendo da un mix di 85% acqua a osmosi e 15% acqua di rete di Roma. Calcio poco sopra al minimo sindacale (60 ppm) e profilo leggermente sbilanciato sui cloruri.
FERMENTAZIONE
Per la fermentazione ho seguito il mio classico approccio con il W34/70, nulla di nuovo. Fermentazione in keg Jolly, breve cold crash, poi trasferimento in fustino da 10 litri per la lagerizzazione nel frigorifero in cui tengo keg e bottiglie.
Il lievito è stato inoculato 5 ore dopo il trasferimento nel fermentatore, che ho posizionato nel frigo per proseguire il raffreddamento fino a 11°C. A questo punto ho aperto e aggiunto il lievito. Sarebbe stato meglio ossigenare il mosto in questo momento, ma non ci ho pensato e l’ossigenazione, eseguita con paletta e trapano per circa 1 minuto, l’ho fatta prima di mettere il keg in frigo. Non il massimo, visto che il mosto ossigenato è stato 5 ore senza lievito. Errore mio.
Avrei voluto lagerizzarla di più nel frigo, ma dopo 40 giorni non ho resistito e ho spillato la prima pinta. Ho fatto subito qualche bottiglia in contropressione con il Nukatap direttamente dalla spina. L’assaggio che segue viene da una di queste bottiglie, che si sono fatte ulteriori 2 mesi di freddo nel frigo.
La birra è stata carbonata forzatamente, una parte della CO2 è stata insufflata prima del cold crash, in modo da mettere in pressione il fusto e non incamerare aria durante il raffreddamento, L’altra parte, per arrivare ai circa 2.5 volumi desiderati, l’ho insufflata qualche giorno prima di servirla.
ASSAGGIO
Come anticipato prima, questo assaggio viene da una bottiglia con due mesi e mezzo di frigo. Alcune foto sono dalla spina, altre dalla bottiglia. Con i mesi in bottiglia la limpidezza è aumentata, ma la birra era abbastanza pulita si da subito.
Inizialmente mi ha entusiasmato, alle prime pinte uscite dalla spina, poi ho iniziato a notare un aroma non proprio esaltante, con piccoli difetti che emergevano a boccale quasi vuoto. Parliamo di piccolezze, a boccale pieno quasi non si sentivano, ma un filo di alcol di troppo e forse una leggera nota vegetale inizialmente le ho avvertite.
Nei primi tempi l’alcol era anche abbastanza evidente, senza risultare pungente ma ben avvertibile. Si è ammorbidito moltissimo dopo un altro mese di freddo, segno che a birre di questo tipo un paio di mesi di lagerizzazione non possono che giovare. Ma veniamo all’assaggio nel dettaglio.
ASPETTO Schiuma media, con persistenza non sconvolgente ma presentabile. Dalla spina esce una schiuma più fine e compatta, che dura di più. Dalla bottiglia tende a essere meno persistente, ma un leggero velo rimane sulla birra per tutta la bevuta. Limpidezza all’inizio decente, migliorata decisamente con il tempo. Colore bellissimo, ambrato molto chiaro, più scuro di quanto la base maltata potrebbe far intuire. Mi sembra che la decozione, almeno sul colore, abbia influito in modo evidente.
AROMA Media intensità. Leggero tostato, tenue caramello, note che ricordano dolci al forno, crostata di marmellata, sfumature di miele. Fruttato in secondo piano, marmellata di arancia principalmente. Tocco erbaceo appena percepibile. L’aroma è migliorato con il tempo, inizialmente emergeva una nota alcolica non particolarmente piacevole e un leggero vegetale.
AL PALATO Ingresso morbido e rotondo. Malto in evidenza, buona intensità, cereale, miele e leggero caramello. Il luppolo bilancia molto bene, entrando in gioco a metà corsa con un amaro delicato a metà corsa. Chiude leggermente dolce ma per nulla stucchevole, erbaceo in retrolfatto insieme a note di panificato e cereale. Alcol presente ma leggero, aiuta a bilanciare la dolcezza residua che comunque è contenuta.
MOUTHFEEL Carbonazione media. Alcol leggermente riscaldante, il giusto. Corpo medio.
IMPRESSIONI GENERALI Non è una birra perfetta, ma nel complesso la trovo molto piacevole. Mentre con il tempo passato in bottiglia, sempre a freddo, è migliorata la rotondità dell’alcol, mi sembra si siano affievolite un filo le note maltate. All’inizio la trovavo più intensa, piena, dalle ultime bottiglie sembra più timida, meno incisiva, sebbene sempre molto piacevole.
La decozione si sente? Difficile dirlo, ovviamente, non avendo termini di paragone. Posso dire che visivamente secondo me si vede, e che il malto esce abbastanza bene in questa birra, nonostante si tratti di una ricetta 100% pils. Migliorabile sotto diversi aspetti, specialmente nella pulizia aromatica, ma la strada mi sembra quella giusta. Da riprovare, senza dubbio.
Ciao Frank. Se penso ai grani portati a 100 gradi e poi rimessi nel mash e poi penso ai famosi 78 gradi dell’acqua di sparge che non deve essere più calda altrimenti può causare astringenza… non c’è qualcosa in contraddizione? L’acqua di sparge a 100 gradi può davvero causare difetti o è una leggenda? Oppure, viceversa, la decozione si può fare solo con malti chiari per evitare astringenza? Cosa ne pensi? Grazie!
È sempre un compromesso. Non è che l’astringenza sia on-off. In questo caso si porta a bollitura una partre dei cereali, non tutti, per un tempo in generale minore di quello di sparge (15 minuti di bollitura). Probabilmente il contributo all’astringenza è modesto, come lo è anche probabilmente quello di uno sparge a temperature troppo alte. Influisce di più il pH nell’estrazione dei tannini.
Ciao Frank. In dicembre vorrei brassare una hellesbock prendendo spunto dalla tua ricetta. Premesso che vorrei fare due step di decozione, mi consigli un 10% di Munich o vado di 100% Pilsen?
io metterei un 10% di monaco