Negli ultimi mesi l’interesse per le lager prodotte in Repubblica Ceca è salito esponenzialmente. E sì: anche io mi sono fatto prendere dall’hype.

Výčepní, tmavý, desikta, polotmavy, speciální sono termini cechi che iniziano a comparire sempre più spesso sulle etichette anche di birrifici italiani. Non chiedetemi perché – del resto Praga e le sue birre sono lì da diverse decadi – ma ultimamente i post e le storie all’interno della mia “bolla social” sembrano avere un solo interesse: Praga e i suoi dintorni.

Ovviamente, questo interesse si è traslato anche nel mondo dell’homebrewing. E quindi: eccomi qua, alle prese con la produzione di una lager ceca. Nello specifico, una Světlý Ležák (detta 12° o anche Desikta per i gradi plato iniziali). O, come direbbe più prosaicamente il BJCP, una Czech Premium Pale Lager. O ancora, come la chiamano in molti, semplicemente una pilsner ceca.

Cosa si intende con Ležák výčepní? Ecco una piccola infografica che ho fatto per orientarmi nell’intricato mondo della nomenclatura delle birre ceche.

Grazie al libro di Angelo Ruggiero e Paolo Crovace “Birra a Praga“, ho finalmente imparato che si possono trovare entrambe le declinazioni con la “ý” o la “é” finali (es. Tmavé o Tmavý). Questo dipende dalla concordanza dell’aggettivo: Tmavé si intende generico, mentre Tmavý concorda con la parola lager, che in ceco è maschile. Quindi si trova più spesso Tmavé da solo (da intendersi come birra scura) e invece Tmavý Ležák (lager scura).

COSA CARATTERIZZA UNA PILS CECA?

Cosa distingue una pils tedesca da una ceca? Teoricamente, la risposta sarebbe piuttosto semplice. Tra l’altro, per pura coincidenza, un anno fa mi capitò proprio questa domanda all’esame scritto del BJCP.

Risposta semplice: le lager ceche hanno più corpo, un finale meno secco e non minerale, un amaro deciso ma morbido, un profilo maltato più intenso che enfatizza maggiormente le razioni di Maillard (di rado fino al caramello). Nelle lager ceche può fare capolino un leggero fruttato da esteri. A volte – ma non è necessariamente un marchio di fabbrica – troviamo un tocco di diacetile.

Tutto qui? Eh, pare facile.

Anche se non visito Praga da una decina di anni, ultimamente ho assaggiato diverse birra ceche. In parte acquistate online dal compianto Beerdome, che ora è diventato Pivana, in parte bevute alla spina grazie alla dedizione di alcuni pub italiani come l’Amadeus Pub di San Vendemiano (dove spero di tornare presto).

Per mia grande fortuna ho anche un pub a due passi da casa mia qui a Roma (Le Bon Bock cafè) che serve la Pilsner Urquell Tankovna (alla spina da un piccolo tank, non pastorizzata) e la Budějovický Budvar, alla spina dal keg (probabilmente pastorizzata).

Già assaggiando questi due esempi di stile, prodotti da birrifici molto grandi e quasi industriali, ci si rende conto che parliamo di due birre molto diverse tra loro. La Urquell è decisamente caratterizzata dal diacetile, di colore dorato molto carico quasi ambrato, colpisce con un amaro lungo e un maltato piuttosto presente; la Budvar non ha tracce di diacetile (il birrificio, simbolo della cittadina di České Budějovice, ne fa un vanto), è decisamente più chiara, meno amara e meno maltata.

Per intenderci, questa è una foto che feci una sera al Bon Bock, bevendo proprio queste due birre. La foto scurisce e non rende bene il colore, ma la differenza è evidente. Devo dire che forse, in questo caso, la Urquell mi era sembrata un po’ “stanca”, probabilmente un filo ossidata e più scura del solito. Ma il discorso di base rimane: due birre molto diverse tra loro, seppur entrambe prodotte in Repubblica Ceca da birrifici storici.

Ma c’è di più. Se si iniziano ad assaggiare esempi di birrifici più piccoli, come ad esempio quelli dei bravissimi ragazzi di Vinohradsky Pivovar, il profilo è ancora diverso. In questo caso l’amaro è più evidente, la birra meno maltata (anche se rimane quel tocco maltato alla ceca), niente diacetile, aroma luppolato – erbaceo e speziato – ancora più evidente. A loro volta, le lager chiare di Vinohradsky sono molto diverse da quelle di  altri birrifici cechi come Kamenice, Únětický o Uhříněves.

Potrei andare avanti all’infinito, ma credo che il concetto sia chiaro.

Devo ammettere che mi trovo sempre in difficoltà nel definire la vera essenza di una lager ceca. Quello che scrive il BJCP è corretto, ma sono descrizioni molto didascaliche e soprattutto generiche e difficili da traslare nella realtà. Sono anche abbastanza convinto che spesso giochi un ruolo fondamentale il fattore emotivo: bevendo una birra che si sa essere ceca porta a trovare alcune caratteristiche che magari non sono poi così evidenti.

Anche in Germania, del resto, non esiste un solo esempio di pils. Ce ne sono  molteplici: ogni birrificio – specialmente quelli più piccoli – offre una propria interpretazione dello stile.

Di base il processo produttivo delle pils ceche è differente da quello delle pils tedesche per diversi fattori, questi piuttosto oggettivi: l’acqua, che nelle prime è  leggera e meno minerale; la decozione, che in Germania in genere non si pratica nelle pils; il luppolo, che nel caso delle ceche è quasi sempre il Saaz nelle sue mille versioni o tendenzialmente luppoli simili; i malti base, spesso di provenienza ceca (ma non sempre), meno modificati e miscelati spesso con malti più tostati come il Vienna o più spesso il Monaco.

Da qui a capire l’impatto che questi fattori hanno sul profilo organolettico ce ne passa. Ma proviamoci comunque. Chi segue i social del blog (Facebook e Instagram) e chi è iscritto alla newsletter conosce già molto di questa birra (inclusa la ricetta), ma proviamo a entrare nel dettaglio.

RICETTA

Ricetta molto simile a quella precedente, che non era riuscita affatto male (link). Questa volta, però, grazie al regalo di Emiliano D’Ovidio (che ringrazio ancora), ho utilizzato malti e luppoli cechi.

I malti sono di Raven Trading, maltati a terra dalla malteria Záhlinice. Non ho trovato schede tecniche specifiche, ma dalle descrizioni (link) sembrano malti ben modificati. Ho usato un 11% di malto Monaco per dare un boost al colore e alla parte maltata, troppo timidi nella cotta precedente.

Un unico luppolo, sempre di origine ceca: Saaz tardivo di Svoboda-Fraňková. Il Saaz tardivo (o Late Saaz) viene commercializzato anche da altri produttori (come ad esempio Bart-Hass). A differenza da quanto farebbe intendere il nome, non si tratta di un Saaz raccolto più tardi, ma di una varietà ottenuta da un programma di sviluppo e rilasciata nel 2010 dall’istituto di ricerca sui luppoli della Repubblica Ceca. Si tratta di un incrocio tra il classico Saaz e altre cultivar della zona di Sládek (Saaz in tedesco).

Ho rivisto un po’ la tempistica delle aggiunte di luppolo rispetto alla cotta precedente, aumentando le quantità e rimpiazzando l’hop-stand con una gettata a 5 minuti dalla fine della bollitura. La scorsa volta mi ero reso conto di non aver abbastanza Saaz all’ultimo minuto, il che mi aveva costretto a tagliare il Saaz con l’Hersbrucker. Questa volta, invece, Saaz al 100%.

Ho usato acqua osmotizzata miscelata al 20% con l’acqua di Roma, sempre passata per il filtro a carboni attivi. Ho aggiunto Gypsum e Cloruro di Calcio per portare il calcio nell’intorno della soglia minima di 50 ppm e alzare i solfati rispetto ai cloruri (sempre mantenendo bassi entrambi) per enfatizzare l’amaro. Senza esagerare, però, perché lo stile dovrebbe comunque mostrare un certo vigore maltato e una discreta morbidezza senza un taglio finale eccessivamente secco.

Per quanto riguarda il lievito, ho voluto provare per la prima volta il Novalager della Lallemand. Si tratta di un lievito ibrido a bassa fermentazione che non produce composti solforosi ed è in grado di fermentare il maltotriosio. Un nuovo ceppo ibrido ottenuto dall’incrocio di due ceppi di Cerevisiae ed Eubayanus con una combinazione genetica diversa rispetto al Frohberg, la grande famiglia di ceppi lager a cui appartengono, ad esempio, il W34/70 della Fermentis e il Diamond della stessa Lallemand. Ho parlato approfonditamente del processo di ibridizzazione in un post precedente (link).

Per restare nei dettami produttivi tipici dello stile, sono passato nuovamente per la decozione.

DECOZIONE

Nulla di nuovo, qui. Ho ripercorso esattamente i passaggi della volta precedente: due step in decozione con bolliture di 15 minuti. La temperatura del primo step di decozione, che avrei dovuto mantenere stabile a 68°C per 15 minuti prima di far bollire l’impasto, è stata come sempre un po’ ballerina. Non è facile mantenerla in una piccola pentola da 6 litri sui fornelli di casa. Poco importa.

Rispetto alla scorsa volta, ho avuto un significativo boost dell’efficienza di ammostamento: 87% rispetto al mio consueto 80%. Questo dovrebbe essere un effetto normale della decozione, che però l’altra volta non avevo riscontrato. Ho preferito diluire con acqua Sant’Anna (molto leggera) per tornare alla OG pre-boil prevista.

FERMENTAZIONE

Ho applicato il mio solito schema con pausa diacetile, anche se probabilmente non sarebbe servita con questo ceppo di lievito. Tutto è filato assolutamente liscio, ma l’attenuazione non è stata così alta nonostante questo lievito dovrebbe fermentare il maltotrioso.

Ho inoculato a 13°C, senza ossigenare, dopo aver finito di raffreddare il mosto nel frigorifero. L’inoculo è avvenuto la sera, il mattino dopo uscivano già bolle dal blow-off. Lag-time molto basso rispetto alle lunghe attese a cui mi ha abituato il W34/70 (ho avuto lag anche di quasi 2 giorni).

Densità a 1.014 dopo 14 giorni. Ho deciso comunque di abbattere la temperatura e di spostare in frigorifero. Una nuova misura dopo i 35 giorni di lagerizzazione ha evidenziato una FG di 1.012, segno che il lievito ha continuato a lavorare anche durante la lagerizzazione che si è svolta in frigo intorno ai 4-5°C. Me lo aspettavo, anche se ammetto che è stato un azzardo abbattere la temperatura con densità a 1.014 dopo soli 14 giorni di fermentazione, avendo usato un lievito che non conoscevo.

Un 75% di attenuazione apparente va benissimo in questo stile, anzi, direi che è perfetto. Troppa secchezza sarebbe fuori luogo. Tuttavia, mi sarei aspettato da questo lievito qualche punto di attenuazione in più. Possibile che la temperatura ballerina della decozione abbia avuto qualche influenza sul profilo di attenuazione.

Mi ha colpito l’estrema limpidezza raggiunta dopo pochissimi giorni di lagerizzazione, al momento del travaso nel fustino da 10 litri. Merito del lievito, della decozione o dei malti cechi? Probabilmente non lo scopriremo mai, ma è stata una bella sorpresa.

Ho carbonato forzatamente a circa 2.5 volumi durante i primi giorni di lagerizzazione, dopo il travaso nel fustino da 10 litri.

ASSAGGIO

Ho consumato la maggior parte della birra dal fustino attaccato alla spina. A un certo punto sono stato costretto a imbottigliarne qualche litro, altrimenti mi sarei scolato l’intero fustino in troppo poco tempo. Imbottigliamento, al solito, con il riempitore in contropressione della Kegland collegato alla spina.

 ASPETTO  Schiuma bianca, bolla abbastanza fine, discreta persistenza. Si riduce con una certa velocità ma rimane un bel velo bianco lungo tutta la bevuta. Il colore è giallo dorato, nel boccale più largo diventa dorato carico. Ottima limpidezza.

 AROMA  Il malto non esce moltissimo in aroma. Si avvertono delicate note di cereale, impasto del pane, panificato a bassa cottura. Il luppolo invece ha una buona intensità, con un erbaceo fresco e vivace. Nelle retrovie, sfumature citriche e un tocco speziato (pepe bianco). La fermentazione sembra molto pulita: non avverto esteri, zolfo, DMS o diacetile.

 AL PALATO  Il maltato è delicato, tornano le note percepite in aroma. Offre un buon appoggio all’amaro, lungo e molto morbido. Il luppolo si esprime principalmente con note erbacee e citriche, lo speziato arriva nel retrolfatto. Il bilanciamento è azzeccato, l’amaro arriva fino alla fine del sorso senza stancare. Sul finale emerge una gradevole nota mielata, delicata e morbida.

 MOUTHFEEL  Corpo medio, discreta cremosità. Nessuna astringenza né calore alcolico. Carbonazione media, adatta allo stile.

 CONSIDERAZIONI GENERALI  La birra è buona, decisamente. Mi è piaciuta molto. Il Novalager ha lavorato bene, la pulizia nel complesso è notevole. Buona l’intensità e la freschezza del luppolo, corpo con una discreta rotondità ed estrema facilità di bevuta. Davvero molto pulita.

Soddisfa i criteri stilistici delle lager ceche? Non è facile dirlo. Secondo me manca ancora un po’ di maltato, sia in aroma che al palato. Potrebbe aver senso tentare un terzo step di decozione, oppure aumentare i tempi di bollitura degli step di decozione da 15 a 20-25 minuti; oppure, ancora, allungare la bollitura del mosto da una a due ore. Una strada più semplice sarebbe aumentare la quantità di Monaco, portandolo magari al 15%-20%.

Senza dubbio riuscita meglio della versione precedente, soprattutto per il bilanciamento dolce/amaro (l’altra era dolcina) e l’aroma di luppolo, che in questa versione è più deciso.

Sono riuscito anche a fare un confronto testa a testa con la 12° di Vinohradsky Pivovar. Mi sarei aspettato differenze pià marcate, invece il confronto mi ha dato grande soddisfazione (nonostante quella fosse l’ltima bottiglia della mia birra, a due mesi dall’imbottigliamento).

L’aspetto era praticamente identico, la mia un filo più dorata ma davvero quasi non si nota. Al naso e al palato la Vinohradsky era mediamente più intensa, sia nell’intensità maltata che in quelal luppolata, ma il bilanciamento complessivo (incluso il livello di amaro) li ho trovati molto simili.

La 12° ha quel tocco di miele in più e di balsamico del luppolo che ricorda il miele di eucalipto. Nella mia, l’intensità del malto era decisamente minore ma comunque presente.

Veramente soddisfatto. C’è ancora da lavorare, ma la strada è senza dubbio quella giusta!

6 COMMENTS

  1. Ciao Frank quei giorni di freddo a -3 gradi invece dei soliti + 1-4 sono stati voluti per qualche motivo specifico (perché è una lager?) oppure no?

    • Semplicemente perché quella parte della lagerizzazione è stata fatta nel frigo dove faccio la fermentazione, che è vuoto e tengo a temperature più basse. Una volta travasata, sposto la birra nell’altro frigo con le bottiglie che si trova a temperatura più alta.

  2. l’ho provato anch’io il novalager , per una keller e una rauch, e devo dire soddisfatto dei risultati, anche se, come fai notare anche tu, non è così attenuante come pensavo.
    molto pulito.
    io però ho fermentato a 16 C, 10 giorni
    poi un po’ di freddo per pulizia.
    beh, io rifermento anche le bassa, ma finchè non arriva il caldo la birra resta molto godibile
    ha senso usare questo lievito se poi si fermenta a 12?
    la differenziazione rispetto ad un normale lievito a bassa dovrebbe appunto essere quella sulla temp di fermentazione, giusto?
    o ho preso un abbaglio?
    ciao e buone birre

    • Secondo me anche il W34/70 si può lasciar fermentare a 16°C con buoni risultati, probabilmente simili al Novalager. Da quello che ho capito, una delle caratteristiche fondamentali del Novalager è che non produce composti solforosi. L’altra dovrebbe essere una maggiore attenuazione, che però non ho riscontrato. Per il resto, secondo me non vale la pena fare delle lager di corsa, qualsiasi sia il lievito. Per risparmiare poi quanto, poi, 2-3 giorni? Se uno ha il frigo per mantenere la temperatura a 16°C, tanto vale tenerla a 10-12°C. Mia opinione, ovviamente.

  3. Ciao Frank,
    La mia prova con Novalager:
    Stesso grist tuo (90/10) con malti Dingemans
    Step mash 67(60min) 72(10min) 78(10min)
    NO DECOZIONE
    Fermentazione 14gg a 15 gradi
    Dry hopping con 3g/l Styrian Goldings
    OG 1.049 FG 1.011 (AA 77%)

    Confermo estrema limpidezza dopo 2 settimane a 4 gradi nonostante DH. Direi merito del lievito.

    Dalla tua descrizione direi che il profilo maltato è molto simile.
    Ale

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