La risposta assoluta sarebbe sì: potrei fare di più. Ovvero, non faccio abbastanza.

Va però soppesato bene l’avverbio “abbastanza”. Da un punto di vista assoluto, probabilmente quello che faccio non è sufficiente a garantire gli standard di riferimento dell’industria birraria per quanto riguarda il TPO, ovvero il “Total Packaged Oxygen“, l’ossigeno totale che finisce in bottiglia (o in fusto, o in lattina).

Questi valori si misurano in ppb, ovvero parts per billion. Sono parti per miliardo, unità di misura molto piccole. Quando parliamo di una sostanza disciolta in acqua (o nella birra), corrispondono a circa 1 μg per litro.

Gli standard di riferimento per l’industria birraria (link) consigliano di mantenere il TPO in bottiglia sotto le 150 ppb. Il TPO include l’ossigeno disciolto nella birra (DO, Dissolved Oxygen) e quello che rimane nel collo della bottiglia. Un valore veramente basso. Basta pensare che le più note ppm (parts per million) corrispondono a 1 mg/L. Nell’acqua, a temperatura ambiente, sono mediamente disciolte 8 ppm di ossigeno che corrispondono a 8000 ppb.

Se il riferimento è questo, sono abbastanza convinto che nella mia birra finisca molto più ossigeno rispetto agli standard dell’industria . Anche senza averlo misurato.

Ho sbagliato tutto?

Partiamo dalla constatazione che, a livello casalingo, il TPO è impossibile da quantificare. Per misurare quantità così piccole di ossigeno in un contenitore chiuso come la bottiglia, senza introdurre altro ossigeno dall’aria, servono macchinari molto costosi. Parliamo di migliaia di euro, anche decine di migliaia di euro.

L’unica risorsa che abbiamo per capire se stiamo facendo abbastanza sono i nostri sensi: vista, olfatto, gusto. Degli effetti negativi dell’ossigeno e in generale dell’ossidazione sulla birra ho parlato approfonditamente in altri post (link). Riassumendo in modo brutale, nel breve termine la birra si scurisce e perde intensità aromatica; nel medio viene meno la “brillantezza” degli aromi, le note dolci di mandorla, miele e caramello si amplificano; nel lungo periodo iniziano a emergere veri e propri difetti come il cartone bagnato.

La percezione di questo deterioramento dipende molto dalle nostre capacità di valutazione. Per fare un esempio, qualche anno fa (era il 2017) postavo foto come questa sotto sul blog, senza vergogna. La foto di per sé è anche bella, la birra no. Mi era anche piaciuta, ne avevo parlato qui.

Santa Claussen Brett Pale Ale

Una birra con 90% malto pils e 10% malto monaco non dovrebbe avere quel colore. Siamo d’accordo, la foto scurisce. Ma una birra con quel grist ha il colore nella foto qui sotto, fotografata persino in un boccale più largo e prodotta con due step di decozione, entrambi fattori che tendono leggermente a scurire il colore.

La prima delle due birre la produssi nel 2017, era una Brett Pale Ale. Fermentata in damigiana di vetro, imbottigliata con asta da travaso e rifermentata in bottiglia. La seconda è invece la Czech Pils che ho prodotto alla fine dello scorso anno, gestita totalmente in contropressione e carbonata forzatamente.

È chiaro che 7 anni fa non mi rendevo conto che molte delle mie birre fossero ossidate. Ragion per cui tendevo a sottovalutare i vantaggi della contropressione, reputando lo sforzo maggiore dei benefici (link).

Il che, fatemelo dire, andava anche bene all’epoca. Dovevo imparare talmente tante di quelle cose ancora, l’ossidazione era l’ultimo dei miei problemi. Poi i miei standard si sono elevati e piano piano hanno reso quel livello di qualità – non pessimo in assoluto – per me non più tollerabile.

Posso ancora migliorare? Certamente. Voglio farlo? Dipende.

Cercare la riduzione di ossigeno assoluta – tra l’altro senza poter effettuare misure per valutarne l’effettiva concentrazione in bottiglia – non è un obiettivo praticabile. A mio avviso, è proprio sbagliata la domanda. La vera domanda non è se voglio ridurre ancora il mio TPO (che, lo ripeto, NON posso misurare). La domanda corretta è: le mie birre durano abbastanza? Si rovinano presto? Escono dal fermentatore già ossidate?

Perché, ricordiamolo: il vero obiettivo della riduzione maniacale del TPO, per i birrifici, è l’aumento della stabilità della birra nel tempo, anche se conservata in condizioni non ideali. Ma questo non è un mio obiettivo, non lo è mai stato e non credo lo sarà in futuro.

Il punto chiave: la conservazione della birra

Torniamo quindi al punto: quanto durano le mie birre? Abbastanza. Quanto basta a consumare un intero batch con piacere. Anni fa (come nel caso della foto sopra) il problema era che la birra arrivava molto spesso ossidata già al primo assaggio. Oppure, peggio ancora, prima di entrare in bottiglia. Quello era un grosso problema, anche se non me ne rendevo conto.

Quando l’ossigeno incamerato è tanto, la rifermentazione non riesce più a proteggere la birra dall’ossidazione. Questo vale in particolare nel caso di birre molto luppolate. Il luppolo ama l’ossigeno, lo rimuove velocemente dalla birra ossidandosi a sua volta. Oppure, in alcuni casi (come racconta in questo podcast Colin Kaminski) lo segrega per poi rilasciarlo in seguito, quando il lievito non è più attivo. Insomma: un disastro.

Questi processi di degradazione ossidativa sono però efficacemente rallentati dal freddo. Tenere le birre in frigo, magari evitando anche la rifermentazione che deve per forza avvenire a temperatura ambiente, prolunga la vita della birra. E non di poco. Specialmente se partiamo da una birra con contenuto di TPO relativamente basso, anche se non bassissimo.

Ed ecco quindi la combo che ha cambiato le mie birre: contropressione + refrigerazione.

In passato avevo gli scaffali dello sgabuzzino pieni di birra, perché l’unico frigo che avevo (oltre a quello di casa che era comunque piccolo), era il frigo che utilizzavo per fermentare. Ricordo di lager che passavano addirittura l’estate a rifermentare sugli scaffali dello sgabuzzino. Il caldo le stendeva tutte, inesorabilmente. Ma non me ne accorgevo.

Sacrificando un po’ di spazio in casa sono riuscito a comprare un terzo frigo, dove tengo tutte le bottiglie e i fusti. Sempre. Le mie birre, dopo la fermentazione, non vedono quasi mai temperature sopra i 5 gradi. Solo in rari casi rimangono sugli scaffali dello sgabuzzino, alcune volte anche in una piccola cella calda a 25°C. Parliamo delle rifermentate del Belgio, dei Barley Wine o delle Imperial Stout. Tutte le altre stanno sempre in frigo.

E quanto durano, mediamente? Non moltissimo, sono sincero. Ma non è un problema. Una luppolata in fusto può tranquillamente passare un mese in frigo, a fusto immacolato, senza subire significative perdite di intensità o brillantezza aromatica. Anche per le lager, stessa storia. Se le imbottiglio dal fusto con il Counterpressure Bottle Filler della Kegland, possono tranquillamente passare qualche altra settimana in frigo senza alcuna significativa perdita di freschezza. Il fusto aperto dura in ottime condizioni circa una settimana. Poi perde un po’, ma la birra si può continuare a bere per diversi giorni.

Le rifermentate, tappate comunque sempre sulla schiuma e rifermentate solo parzialmente (link), durano anche di più. Mediamente le metto in frigo dopo la rifermentazione, in alcuni casi le lascio in maturazione a temperatura ambiente qualche settimana. Ovviamente non in piena estate. Parliamo di Saison, Tripel, Strong Ale belghe.

In ogni caso, non lascio birre sugli scaffali al caldo tra maggio e settembre, quando a Roma le temperature sono costantemente sopra i 25-30°C.

Non è uno scenario perfetto, ma non mi importa. Faccio batch da 10 litri, che poi tra perdite varie diventano 8-9 litri. In casa, con mia moglie, riusciamo a finirli nel giro di un mesetto senza problemi. E se qualche bottiglia rimane, anche se fosse luppolata, non mi importa. Oltre il mese le birre non sono tremendamente ossidate, iniziano a perdere ma sono sempre piacevolmente bevibili.

Detto ciò, mi sono comunque chiesto dove potrei migliorare per ridurre ulteriormente il TPO. Proviamo a vedere.

Cosa potrei migliorare per ridurre l’ossigeno

Hot side, ovvero produzione del mosto

Non credo potrei fare molto di più di quello che già faccio. Lo splashing è estremamente ridotto. Faccio sparge con il manifold della SS Brewtech poggiato sul letto di trebbie. Macino solitamente i grani il giorno stesso della cotta. Non uso AIO, non alzo cestelli. L’unica cosa che potrei fare è aggiungere antiossidanti nel mash tipo Antioxin SBT, ma lo vendono in formati non abbordabili per un homebrewer e comunque lo ritengo eccessivo al momento. Sono a posto così.

Fermentazione

Qui il problema nemmeno si pone: il lievito fa il suo assorbendo l’ossigeno durante l’attività fermentativa, la birra ne è praticamente priva a fine fermentazione. Fermentando nel keg (link) ho risolto anche l’annoso problema del risucchio di aria durante il cold crash. Anche qui: a posto così.

Dry hopping

Qui qualcosa potrei obiettivamente fare, visto che faccio dry hopping aprendo il keg e gettando dentro il luppolo. Acquistare il tappo per il keg con apertura per l’hop bong potrebbe essere senza dubbio un miglioramento, ma introdurrebbe ulteriori complicazioni e attrezzatura da pulire e sanitizzare.

Per ora sono soddisfatto dei risultati raggiunti sulle mie luppolate, continuerò a fare dry hopping aprendo il keg con tutte le attenzioni del caso. Qui e qui alcuni accorgimenti che ho messo in atto per ridurre l’ingresso di ossigeno durante il dry hopping.

Quando posso (come nelle Double IPA), inserisco nel keg zucchero e luppolo insieme, in modo da stimolare il lievito a consumare eventuale ossigeno introdotto con il dry hopping.

Travasi

Non li faccio mai durante la fermentazione, ma sono sempre necessari per spostare la birra dal keg di fermentazione (Jolly Keg da 19 litri) a quello più piccolo di servizio (da 9 litri).

Il punto critico di questo passaggio è la saturazione con anidride carbonica del fusto ricevente. Fino ad oggi ho sempre saturato il fustino ricevente riempiendolo con acqua e svuotandolo poi con anidride carbonica.

Ero consapevole che le poche gocce di acqua che rimangono nel fusto potessero costituire un piccolo problema, ma ultimamente quel rompiballe di Matteo Dadà mi ha messo nuovamente la pulce nell’orecchio, stimolandomi ad ascoltare la già citata puntata del podcast di Beersmith con ospite Colin Kaminski (tra parentesi: ennesima puntata in cui mi chiedo se Brad Smith ci è o ci fa, con le sue domande così naive).

Facendo due calcoli: se l’acqua contiene mediamente 8 ppm (8 mg/L) di ossigeno, una goccia di acqua da 0.05 ml ne contiene 0.4 mg. Se sciogliamo una goccia di acqua con 0.4 mg di ossigeno in 10 litri di birra, la concentrazione totale nei 10 litri diventa 40 μg/L, ovvero 40 ppb. Questo significa che una sola goccia di acqua residua in un fusto da 10 litri può far arrivare l’ossigeno disciolto a 40 ppb. Paura, eh?

Ovviamente, non è così. Questi sono i valori che mi erano usciti fuori la prima volta che ho provato a fare i conti. Mi era preso un colpo, ma i calcoli erano sbagliati. Facendo i calcoli corretti, si deduce che servirebbero circa 200 ml di acqua residua in un fusto da 10 litri di birra per aggiungere 150 ppb di ossigeno disciolto. Credo – e spero – di lasciare un residuo molto minore dopo lo svuotamento del fusto dall’acqua con la CO2. Continuerò quindi a fare come sempre.

Imbottigliamento

Faccio pochissime bottiglie, ormai. Le tappo sempre sulla schiuma. Quelle rifermentate le imbottiglio con iTap senza pompa da vuoto, lasciando al lievito il compito di occuparsi dell’ossigeno che la birra incamera mentre scende nella bottiglia scivolando lungo le pareti (limite dell’iTap che riempie dall’alto). Le birre imbottigliate così durano diversi mesi senza grandi problemi.

La birra già carbonata la imbottiglio in contropressione direttamente dal rubinetto della spina, saturando con CO2 dal fondo e riempiendo sempre dal fondo con il già citato  Counterpressure Filler della Kegland. La durata della birra imbottigliata in questo modo è più che decente. Siamo sul mesetto in ottime condizioni per le luppolate (ovviamente tenute sempre in frigo). Poi iniziano leggermente a perdere, ma rimangono bevibili per un periodo sufficientemente lungo. Mi va bene così.

Una cosa che ho provato a fare ultimamente, quando rifermento, è sciogliere lo zucchero per il priming nella birra anziché nell’acqua. Questo dovrebbe ridurre un po’ l’ossigeno introdotto con il priming, anche se nei vari mescolamenti la birra ne incamera sicuramente un po’.

Continuo invece a sciogliere il lievito da rifermentazione nell’acqua, tanto in questo caso la quantità aggiunta per ogni bottiglia è molto bassa e comunque il lievito dovrebbe assorbire l’ossigeno presente nell’acqua mentre si reidrata.

La rifermentazione dovrebbe farcela ad assorbire il resto, che è comunque poco.

Conservazione

Ecco, se proprio dovessi fare qualche miglioramento (e se avessi spazio in casa) mi comprerei un terzo frigorifero da dedicare alla birra. Ma non ho spazio, quindi non lo farò. Ripeto, però: la conservazione al freddo è fon-da-men-ta-le.

In conclusione

Per gli obiettivi che mi sono posto, per il mio livello attuale di capacità degustativa, per la mia disponibilità di tempo libero e soprattutto per la mia salute mentale e familiare concluderei che sì, faccio abbastanza per ridurre l’ossigeno disciolto in bottiglia.

Avere bottiglie di luppolate che si mantengono al top per mesi anche in condizioni non ideali (ad esempio fuori dal frigo) non mi interessa, a mio avviso non vale i numerosi sforzi di impegno fisico, di tempo ed economico che dovrei fare per arrivarci.

Questo non vuol dire che mi accontento. O meglio, in parte sì. Ma mi sono accontentato dopo aver fatto diversi miglioramenti che hanno portato a una riduzione significativa dell’ossidazione percepita al momento della bevuta. Questo è stato un passaggio fondamentale dal quale non tornerò indietro. Se poi questo corrisponda a un TPO minore di 150 ppb non lo saprò mai. Ma non ritengo sia fondamentale saperlo.

 

 

 

12 COMMENTS

  1. ciao FranK, non ricordo se leggendo qui sul blog o ascoltando il podcast (o magari entrambi) avevo capito che la bollitura rimuove molto dell’ossigeno disciolto in acqua o mosto. I problema quindi dell’ossidazione a caldo riguarda la quantità di ossigeno nella birra finita o è solo un problema “momentaneo” di ossidazione dei malti in ammostamento?
    Per i travasi uso acqua pre bollita, ma più per paranoia da infezioni che per ridurre l’ossigeno.

    • Purtroppo alle temperature di ammostamento l’ossidazione è praticamente istantanea. In bollitura arrivano composti già ossidati, non più ossigeno libero.

      Anche io prebollivo l’acqua con cui riempivo il keg, ma era davvero troppo sbattimento.

  2. Ciao Frank io ho il tuo stesso assetto e da qualche tempo. Fermento in keg da 19, faccio contropressione, carbonazione forzata, metto la birra in keg e faccio solo qualche bottiglia. Le conservo tutte in frigo con discreto successo. Adesso però ho in fermentazione una imperial stout e non so come fare. Potrei fare come sempre carbonazione forzata e imbottigliare tappando sulla schiuma ma ho letto che con le imperial stout non si fa. Mi hanno consigliato di rifermentare in bottiglia con zucchero e lievito ma ovviamente dopo il cold crash la devo riportare sui 20 gradi per rifermentare ed ho paura 🙂 che faccio?

    • “Non si fa” mi sembra eccessivo. Carbonarle forzatamente è assolutament euna strada che puoi tentare, io l’ho fatto più volte con un buono successo. Certo, non è detto che i risultati siano esattamente gli stessi, ma secondo me vale la pena provare almeno su una parte delle bottiglie. Comunque non vedo alcun problema a rifermentare, non è che dobbiamo avere la fobia di tenere la birra a 20°C! Come ho scritto, su alcuni stili (Se ben rifermentati) va benissimo, in particolare sulla RIS che tra l’altro è bene che maturino diversi mesi a temperaruta ambiente.

  3. Ciao Frank, complimenti per l’articolo. Ho notato che non hai fatto alcun accenno al metabisolfito, che nelle ultime luppolate hai detto di aver usato, in piccole dosi, con risultati soddisfacenti. Piccolo ripensamento o semplicemente vuoi prima approfondire l’argomento?

  4. Ciao, parlando di Antioxin SBT nel formato hombrewer non esiste, ma il contenuto è 50% metabisolfito e 50% acido ascorbico, con pochi euro si acquistano entrambi e la dose consigliata per 100 litri è 3g per avere (25° durano diversi mesi senza utilizzo di CO2 (riempio fino a 1/2cm dal tappo) Le bottiglie Magnum da 1,5 litri erano ancora in buono stato a distanza di 15 mesi, forse non proprio perfette ma tranquillamente bevibili, limpide e brillanti, logicamente gli aromi volatili del luppolo sono appena percettibili ma cmq una bevuta + che accettabile, anzi sorprendente visto che già ipotizzavo di rovesciare tutto nel lavandino.

    Davide

    • Ciao mi sa che manca un pezzo della mia esperienza con gli antiossidanti, continuo da qui:
      la dose consigliata per 100 litri è 3g per avere <10ppm/litro di anidride solforosa disciolta, prima del loro utilizzo posso confermare che i primi segni di ossidazione nelle birre extra luppolate sono gia visibili dopo 30gg, nelle NEIPA anche prima. Le birre conservate a temperatura estiva di cantina anche a 25° con queste piccole aggiunte di antiossidante risolvono queste problematiche ossidative. Un appunto per i puristi: la SO2 dopo il versamento della birra nel bicchiere a contatto con l'ossigeno svanisce. Mentre ad ogni travaso e prima dell'imbottigliamento per prevenire ossidazione è consigliabile utilizzare SBT.
      Io ne aggiungo una piccola parte 0,03g/litro durante l'ultima luppolatura a fermentazione terminata e durante il cold crash/Lagerizzazione se travaso.
      Cin cin

      • SBT è pensato specificamente per il mash (riduce l”attività delle LOX, lipossidasi). Forse intendi Antioxin SB

        • Si mi sono confuso, confermo Antioxin SB ma lo creo io con metabisolfito 50% e acido ascorbico 50% (Vitamina C) su Amazon si trova a 5€, per la lipossidasi invece basterebbe utilizzare una microscopica dose di metabisolfito 98% + tannino di galla al 2%, (utilizzo 0,02g/litro solo per l’acqua di Mash) ci sono in commercio bustine enologiche da 20g che ti durano una vita e costa 1,5€, può servire anche per l’eliminazione del cloro se si utilizza acqua di rubinetto ed aumenta leggermente il sodio.

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