Non sono un grandissimo fan delle IPA, ma ogni tanto mi piace produrne qualcuna e mi entusiasmo anche a berle quando sono fatte bene. Mi capita di produrle senza raccontarle qui sul blog, specialmente se non utilizzo processi o luppoli che meritino una menzione particolare.

A volte mi vengono bene, altre meno. Mediamente, da quando sono passato alla contropressione e al servizio direttamente dal fusto, la qualità delle mie luppolate ha senza alcun dubbio fatto un salto di qualità.

Questa IPA però si è ben meritata un post dedicato sul blog. Sebbene sia nata come ricetta pensata con quello che avevo in frigo, senza elucubrazioni particolari, il risultato è stato davvero sorprendente.

I due punti che meritano una discussione approfondita in questa sede sono:

  • utilizzo di acqua con alto livello di alcalinità residua
  • aggiunta di metabisolfito di potassio con il dry hopping

LA RICETTA

Nulla di particolare da dire sulla ricetta, votata alla semplicità estrema. L’idea iniziale era di utilizzare 100% malto Pale 2.0 della Bairds, un nuovo prodotto dell’ottima malteria inglese distribuita da Pinta che non avevo mai provato. Dal valore degli EBC dovrebbe essere un malto Extra Pale, ottenuto da una particolare varietà coltivata in Scozia.

Ne avevo un sacco da 5 Kg ma con la prima cotta, finita nel lavandino ancor prima di fermentare per colpa della resistenza bloccata nella pentola di ammostamento, ne ho utilizzati e buttati 3 Kg. Ho quindi aggiunto 1 Kg di Pale Malt della Simpsons che avevo a portata di mano.

Luppolatura abbastanza standard nel dosaggio per una IPA, ho usato un paio di luppoli che avevo in freezer (Talus e Medusa) e un campioncino da 30 grammi di TRI 2304CR Cryo della Yakima Chief ricevuto da Mr. Malt (detti anche Cryo Pop). Quest’ultimo dovrebbe essere un blend di diverse varietà con alta concentrazione di “survivables” (un approfondimento sul tema lo trovate in questo articolo di Scott Janish) in grado di apportare aromi tropicali e citrici di buona intensità.

Per il Cryo la dose è dimezzata rispetto all’utilizzo standard, per via della maggiore concentrazione di oli essenziali. L’hop stand è fatto a fiamma spenta con mosto a 75°C, per 20 minuti.

L’acqua utilizzata per questa birra merita un primo approfondimento.

CHI HA PAURA DEI BICARBONATI?

Ho deciso di provare a usare 100% acqua del rubinetto di Roma, passata solamente per il filtro a carboni attivi per rimuovere il cloro. L’acqua di Roma non ha particolare concentrazione di sali come solfati o cloruri, ma ha valori molto alti di bicarbonati e  mediamente alti di calcio e magnesio. Dalle ultime analisi, risultano i seguenti valori:

Come tutti ormai sanno, bicarbonati alti e birre chiare e luppolate non vanno molto d’accordo. Il calcio tende a mitigare questo problema riducendo parzialmente l’alcalinità residua, ma per eliminarlo del tutto il calcio dovrebbe avere una concentrazione almeno 3 volte superiore (come ad esempio nella famosa acqua di Burton). La conclusione che tutti ne traggono immediatamente è l’estrazione di un amaro ruvido, graffiante, fastidioso. Ma è davvero così?

Sì e no. La principale motivazione alla base dell’estrazione di un amaro ruvido è il valore del pH lungo la catena di produzione, specialmente in bollitura e nella birra finita. Un pH troppo alto tende a solubilizzare una maggiore quantità di polifenoli/tannini durante mash e bollitura, e a rendere la percezione dell’amaro e degli aromi da luppolo meno piacevole nella birra finita. Ma il problema è appunto il pH, non i bicarbonati in sé.

Per gestire il pH è sufficiente aggiungere acido lattico (o citrico, o fosforico). Ovviamente, in presenza di alti bicarbonati e calcio non troppo alto, l’alcalinità residua dell’acqua è anch’essa alta. Sarà quindi necessario aggiungere una significativa quantità di acido lattico nell’acqua di mash e in quella di sparge.

Ma quanto acido lattico è troppo? Difficile dirlo a priori, anche perché ovviamente dipende dalla birra che si sta producendo: in una Helles si potrebbe sentire di più, in una IPA meno. Ho quindi voluto provare a usare 100% acqua di Roma gestendola con un pizzico di sali aggiunti (per aumentare la quantità di cloruri e solfati) e tanto acido lattico.

Per mantenere il pH di mash e bollitura intorno a 5.3 e ottenere un pH all’inoculo di 5.2 ho dovuto aggiungere 7 ml di acido lattico in 12,7 litri di acqua di mash (0,55 ml/L) e 4 ml su 6,6L di acqua di sparge (0,6 ml/L) per portare i due pH rispettivamente a 5.3 e 5.1. Successivamente ho aggiunto altri 1,5 ml di acido lattico a inizio boil per portare il pH a 5.3 (durante il mash il pH sale, specialmente se il grist non ha malti scuri).

In totale ho usato 12,5 ml di acido lattico su un totale di 12,3 litri ottenuti a fine boil, ovvero circa 1 ml/L di acido lattico sull’intero volume della cotta. Quantità non certo trascurabile.

Come è andata? Tutte le risposte nell’assaggio finale.

FERMENTAZIONE 

Solita fermentazione con US-05, filata liscia e tranquilla senza alcun intoppo. Prima di fare dry hopping ho abbassato la temperatura a 15°C, per ridurre l’estrazione di aromi vegetali ma lasciare comunque al lievito la possibilità di fermentare eventuali zuccheri residui liberati dall’aggiunta del luppolo (vedi Hop Creep).

Come sempre negli ultimi tempi, prima di spillare la birra faccio passare almeno una decina di giorni di freddo per migliorare la limpidezza, specialmente nel caso di dry hopping. Prima di travasare dal fusto di fermentazione al fustino di servizio ho fatto un cold crash di 4 giorni per far scendere i pellet sul fondo del fermentatore.

Carbonata forzatamente a circa 2 volumi.

DRY HOPPING CON METABISOLFITO

Ma veniamo al sodo, ovvero all’elemento di novità di questo post. Ebbene, sì: ho aggiunto metabisolfito di potassio alla birra. Sono pazzo? Non proprio.

PERCHÈ LO FAI, DISPERATA RAGAZZA MIA (cit.)

Nonostante l’utilizzo di anidride carbonica e contropressione per tutti i trasferimenti, rimane un punto debole del processo nel caso di birre di questo tipo: il dry hopping. Per inserire il luppolo nel fermentatore è infatti necessario aprire e richiudere, introducendo inevitabilmente ossigeno post fermentazione.

Per carità, non è detto che i danni siano irreparabili: ho fatto tante IPA nella mia storia da homebrewer, tutte con dry hopping, alcune senza usare la contropressione e rifermentate. Ce ne sono state di buone, anche tra quelle prodotte senza alcun utilizzo di contropressione.

Tuttavia, volendo migliorare sempre di più la qualità del prodotto finito, può aver senso limitare il più possibile l’introduzione di ossigeno anche nella fase di dry hopping. Di metodi ce ne sono molti:

  • c’è chi lancia il luppolo nella birra e poi spara un minuto di anidride carbonica (bubbling) per volatilizzare più ossigeno possibile;
  • c’è chi si è inventato una sacchetta in cui mette il luppolo prima della fermentazione tenendola fuori dalla birra con una calamita posizionata all’esterno del fermentatore, lasciando poi cadere la sacchetta nella birra una volta terminata la fermentazione, senza aprire il fermentatore;
  • oppure, più recentemente, è arrivato l’hop bong della Kegland, un contenitore collegato al fermentatore (in questo caso il Fermzilla della Kegland, ma c’è anche chi l’ha messo su un keg jolly) che permette di inserire il luppolo dopo aver saturato con anidride carbonica l’interno del contenitore che funge da dosatore.
Hop Bong della Kegland

Il bubbling con anidride carbonica può sicuramente funzionare, almeno in parte, ma è difficile (direi impossibile) determinare quanto bubbling fare per eliminare completamente l’ossigeno dalla birra. Sicuramente si riduce, ma certezze non ce ne sono.

L’hop bong è probabilmente più affidabile su questo aspetto, anche se comunque l’interno del cilindro va saturato con anidride carbonica dopo aver messo il luppolo. La certezza di aver tolto al 100% tutto l’ossigeno non c’è nemmeno in questo caso, ma essendo il contenitore piccolo e potendo instradare il flusso della CO2 dal basso verso l’alto, le chance sono migliori. Però, che due palle! Un altro aggeggio da comprare, pulire, sanitizzare, smontare e ripulire ogni volta che si fa dry hopping. Senza contare che per metterlo su un keg Jolly da 19 Litri (come quello che uso io per fermentare) bisogna rivolgersi a qualcuno che modifica e lavora l’acciaio inox. C’è chi l’ha fatto.

Esiste tuttavia un altro metodo, pratico, economico e piuttosto sicuro: aggiungere un antiossidante al momento del dry hopping. Nel mio caso, metabisolfito di potassio (sì, proprio lui: quello che non sanitizza!). Una volta introdotto nella birra sviluppa anidride solforosa (SO2), molto utilizzata nel vino ma anche nei prodotti alimentari, (nota anche come additivo E220)

Vedo già storcere la bocca a molti: niente additivi nella nostra birra artigianale! Ok, ci può anche stare, ma stiamo parlando di quantità abbastanza ridotte, decisamente inferiori a quelle che si incontrano, ad esempio, nel vino.

DI QUANTA ANIDRIDE SOLFOROSA STIAMO PARLANDO?

Proviamo a fare due calcoli partendo dal dosaggio che ho utilizzato, ovvero 0.4 g di metabisolfito di potassio su 10 litri di birra, che corrispondono a  0.04 g/L, ovvero 40 mg/L di metabisolfito di potassio. Prendiamo questo documento pubblicato sul sito della Murphy’s & Sons che riporta le indicazioni generali per l’utilizzo del metabisolfito di potassio nella birra:

Dice che 1.75 grammi (sottointeso per ettolitro) apportano 10 ppm di anidride solforsa (SO2, il nostro elemento antiossidante). Traducendo in g/L abbiamo 0,0175 g/L che a loro volta corrispondono a 17,5 mg/L. Possiamo quindi dire che 17,5 mg/L di metabisolfito di potassio contribuiscono con 10 ppm di SO2.

Applicando questo rapporto al mio caso, siamo a 40/17,5 (mg/l) x 10 (ppm)= circa 23 ppm di anidride solforosa liberata nella birra, ovvero 23 mg/L.

QUANTA ANIDRIDE SOLFOROSA È TROPPA?

Bella domanda. I problemi con l’anidride solforsa sono due: il primo è che si può percepire al naso come aroma di cerino appena acceso, zolfo o anche uova marce; il secondo, ben più importante, è che può essere un allergene e comunque dare problemi, in alti dosaggi, anche a chi non è allergico.

Nel primo caso dovremmo essere a posto. Mediamente la soglia di percezione dell’anidride solforosa è oltre le 70 ppm, ovviamente varia in relazione a quello che si sta bevendo/assaggiando. Ma con 23 ppm siamo molto sotto.

Se l’anidride solforosa supera i 10 mg/L nel prodotto finito, la legge richiede di mettere in etichetta l’indicazione contiene solfiti (link). Ma se andiamo sopra questo limite non significa necessariamente che il prodotto sia pericoloso per la salute, ma che può dare problemi a chi soffre di allergie.

Nel vino, dove l’anidride solforosa rappresenta uno strumento molto efficace e molto utilizzato per il controllo della fermentazione e per il contrasto dell’ossidazione, i limiti massimi secondo la legge sono di 150 ppm per i vini rossi e 200 ppm per i vini bianchi e rosati (più sensibili all’ossidazione).

C’è da considerare poi che il lievito produce naturalmente anidride solforosa durante la fermentazione in quantità che nel vino possono arrivare a valori anche superiori alle 20 ppm. Nelle fermentazioni della birra, che avvengono in condizioni di minore stress per il lievito, la concentrazione finale di anidride solforosa è solitamente ampiamente sotto le 10 ppm previste dalla legge. Per questo non si vede mai l’indicazione “contiene solfiti” in etichetta.

HO QUINDI ESAGERATO CON IL METABISOLFITO?

Probabilmente, sì. Il nostro amico talebano dell’ossidazione su GermanBrewing.net afferma che 5 ppm di solfati riescono a sottrarre 1 ppm di ossigeno dalla birra (approssimativamente, l’anidride solforosa liberata dipende anche dal pH).

Nel manuale tecnico dell’Antioxin SB, un prodotto commerciale che contiene meno del 50% in peso di metabisolfito di potassio, leggiamo che 40 mg/L di Antioxin (e quindi approssimativamente 20 mg/L di metabisolfito) ragiscono con 1 ppm di ossigeno disciolto. Nel mio caso, con la dose di 40 mg/L, dovrei aver generato abbastanza anidride solforosa per gestire 2 ppm di ossigeno disciolto. In fase di dry hopping, anche se a fermentazione finita, non credo se ne riescano a solubilizzare così tante. Specialmente se il dry hopping è gestito con bubbling di anidride carbonica.

L’AEB produce anche l’antioxin SBT che è un prodotto antiossidante specifico per il mash. Oltre al metabisolfito di potassio, contiene anche altro. In generale, infatti, il metabisolfito si può aggiungere in mash (per limitare l’effetto degli enzimi lipossidasi e dell’ossidazione a caldo) e in fase di imbottigliamento (per ridurre l’ossidazione, ma in questo caso si devono gestire quantità di ossigeno decisamente sotto a 1 ppm se il processo è ben gestito). Molti birrifici craft già praticano queste aggiunte, ritrovandosi poi sempre con livelli decisamente inferiori alle 10 ppm nel prodotto finito.

Quindi, sì: la prossima volta ridurrò la dose di SMB a 15 mg/L, il che dovrebbe portare la birra sotto ai limiti di legge per la dichiarazione dell’anidride solforosa in etichetta (problema relativo per chi fa birra in casa, ma mi piace l’idea di avere livelli al di sotto di questo valore).

ASSAGGIO

Il post è stato fin troppo lungo, non mi sembra il caso di dilungarmi troppo nell’assaggio di questa birra. È bbbona, punto.

Scherzo. Due parole le scrivo lo stesso.

L’aspetto è evidente dalla foto: colore brillante, leggera velatura, schiuma ottimale. Al naso è fresca, l’aroma ha una buona intensità ed è molto pulito. Principalmente agrumato (pompelmo e limone), note resinose abbastanza evidenti con sfumature tropicali in sottofondo (passion fruit e ananas). L’amaro è morbido e lungo, accompagna la base maltata che agisce in secondo piano ma non scompare mai del tutto (questo Bairds 2.0 mi sembra molto interessante). Da berne a secchi, ma attenzione al mal di testa da solfiti (scherzo!).

Qualche bottiglia l’ho fatta in contropressione dal fusto, ma non le ho ancora aperte. Non mi sbilancio sulla shelf-life una volta imbottigliata.

Problemi di amaro ruvido da bicarbonati? Non pervenuti. Sentori di acido lattico? Non pervenuti. Aromi solforosi? Non pervenuti. Mal di testa? Vedremo domani, intanto vado a farmene un’altra.

Per quello che può contare (e considerando anche il mio bias su questo esperimento), mi sento di poter affermare con una certa confidenza che si tratta della migliore IPA che ho prodotto fino ad oggi.

 

17 COMMENTS

  1. Buongiorno Frank. Volevo chiedere secondo te aggiungendo i solfiti in una birra senza dh al momento dell’imbottigliamento in che misura potrebbero influire sulla conservazione? Stavo aspettando anche io i cryo pop nelle bustine piccole , mi avevano detto da Mr.Malt che sarebbero uscite sul mercato a gennaio 2022 … Mai viste però.

    • Sicuramente aiuta, ma facendo prima dry hopping aprendo il fermentatore c’è comunque il rischio che l’ossidazione sia già partita prima di imbottigliare. Per i dosaggi in fase di imbottigliamento consiglio di leggere il datasheet tecnico dell’antoxin SB

      • Ciao Frank. Si potrebbe aggiungere il metabisolfito alla soluzione contenente lo zucchero di priming? CI vedi qualcosa di negativo?

        • Certamente, è quello che fanno molti birrifici e homebrewer. Io ho preferito aggiungerlo al momento del dry hopping perché, nella mia catena produttiva in contropressione/isobarico, è la fase in cui è più probabile che entri ossigeno insieme al luppolo (direi sicuro più che probabile, visto che apro il keg e lancio dentro il luppolo). Aggiungendolo dopo si potrebbe rischiare già ossidazione durante il periodo di dry hopping.

  2. Bellissimo esperimento per uno come me che opera senza contropressione e con acqua del rubinetto opportunamente corretta (per quanto a Bergamo il profilo sia differente da Roma), che metterò in pratica per la mia prossima IPA!

  3. Ciao Frank,
    hai notato se l’uso del bisolfito ha mantenuto il pH finale nella birra più basso limitando l’aumento dato dal DH? .. spesso ho sentito dire che si aggiusta con del lattico .. ma forse questa è la strada migliore e si prendono due piccioni con una fava!

  4. Vorrei ricordare che l’Antioxin sb o sbt (il secondo da usare in Masha) contengono anche acido L-ascorbico, che accelera notevolmente la capacità di legarsi all’ossigeno. Questo per dire che il risultato migliore si otterrà con l’uso di questi prodotti formulati, rispetto al solo metabisolfito di potassio.

    • Sicuramente, i prodotti sono studiati appositamnte. Grazie del contributo, mi ero dimenticato di segnalarlo.

    • Il problema per gli hb è che, se non ricordo male, i prodotti antioxin sono disponibili solo in formato da birrificio. Il metabisolfito lo si compra in dosi molto minori e il costo non è nemmeno lontanamente comparabile. Per un uso saltuario è molto più pratico.

  5. Ciao Frank, in merito all’alto contenuto di bicarbonati dell’acqua, io, già dalla scorsa stagione, ho iniziato a trattare l’acqua di rete con calce spenta, più precisamente calcio idrossido puro idoneo all’uso alimentare, ottenendo risultati incoraggianti con riduzione dei bicarbonati di almeno del 50%.

    • È uno dei metodi, sì. la riduzione è tuttavia solo stimata ed è un altro passaggio da fare (oltre al fatto che precipta carbonato di calcio con tutte le rotture del caso sui depositi). A mio avviso è più semplice aggiungere più acido lattico in mash, per esperienza ho visto che anche con 400ppm di bicarbonati non dà contributo avvertibile in birre “standard” tipo IPA, APA, inglesi etc. Se uno deve fare una pils è diverso, ma non so se comunque la calce idrata sia sufficiente visto che comunque rimangono altri sali.

      • Fortunatamente il sedimento non si attacca alla pentola come se si facesse bollire l’acqua. Per rimuoverlo basta una sciacquata.
        Per avere una stima numerica della riduzione dei bicarbonati (ma anche per calcolare quanto idrossido di calcio aggiungere) basta determinare la durezza dell’acqua pre- e post- trattamento con i tester per acqua per acquari, cosa da 5 minuti.
        È comunque molto utile sapere che la soglia di percezione dell’acido lattico sia alta come hai evidenziato.

  6. Quindi riassumendo,come mi devo regolare con la quantità di metabisolfito durante il DH? Mantenermi sui 15 mg/litro? O meglio stare più bassi per sicurezza?

  7. Ciao Frank. Una riflessione: secondo te è utile/sensato aggiungere metabisolfito anche durante un travaso? Analogamente a come fanno in cantina quando viene movimentato il vino, aggiungono a fondo vasca una soluzione di anidride solforosa per limitare l’ossidazione. Potrebbe avere un senso aggiungere una certa quantità di metabisolfito nel secondo fermentatore prima di iniziare un travaso o in quel caso il rischio di ossidazione è talmente alto che servirebbero quantità più alte di quelle usate in DH? Grazie per la risposta!

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