Da qualche mese sono entrato nel gruppo dei grader BJCP, giudici a cui viene affidata la correzione degli esami scritti che si svolgono in giro per il mondo. Nello specifico, da gennaio ad oggi ho corretto tre Tasting Exam, ovvero le prove in cui i candidati devono assaggiare sei birre e compilare le relative schede di degustazione BJCP.

La valutazione delle schede dei candidati viene fatta seguendo diversi criteri, tra cui la vicinanza alla scheda compilata da due giudici esperti (proctor) che assaggiano le stesse birre durante l’esame, sempre alla cieca, mentre compilano anche loro le schede di valutazione.

In molti pensano che correggere questi esami sia estremamente faticoso e noioso, e che non serva a granché per il grader dal punto di vista della crescita personale. La mia esperienza, invece, in questi primi tre mesi di correzioni, è stata diversa.

Ho imparato molto sugli errori più comuni in cui si inciampa quando si compilano le schede, esperienza di cui farò tesoro quando mi ritroverò nuovamente seduto per l’esame. Cosa che accadrà a un certo punto in futuro, visto che vorrei tentare di salire ancora di livello sfruttando il buon voto ricevuto all’altro esame, il Written Exam.

La correzione degli esami stimola anche a ragionare in modo approfondito su alcuni aspetti della degustazione, in particolare in quei casi in cui la birra in assaggio all’esame è risultata particolarmente controversa. Non è raro, infatti, il caso in cui i due proctor (o tre, a seconda del caso) abbiano opinioni diverse sulla stessa birra.

Se capita raramente che le valutazioni dei proctor siano diametralmente opposte, è molto frequente che uno avverta un difetto a l’altro no. O che avvertano due difetti differenti. In casi del genere, non è facile valutare le schede dei candidati, in particolare quando su 12 candidati oltre la metà percepisce un difetto ancora diverso da quello percepito dai proctor.

Chi ha ragione?

Difficile dirlo, a meno che nella scheda della birra, compilata da chi amministra l’esame, non venga indicato espressamente che la birra è stata alterata con un certo difetto, magari utilizzando le fialette da un kit tipo quello di Aroxa. Raramente questo capita, anche perché il BJCP stesso consiglia di usare birre “nativamente” difettate, in modo da mettere maggiormente alla prova il candidato.

Il grader è tenuto quindi a ragionare sulla birra in questione, raccogliendo informazioni dalle schede dei candidati, da quelle dei proctor e dalla descrizione dell’admin dell’esame, cercando di costruire un profilo organolettico di riferimento per la birra che medi sulle varie percezioni registrate. Ovviamente quelle dei proctor hanno in genere un peso maggiore, ma se sono discordanti tra loro la questione inizia a farsi complicata.

Mi rendo conto che a qualcuno questo sistema possa sembrare poco solido, ma il mondo della percezione è molto più etereo e soggettivo di quanto si sia portati a pensare. A meno che, come già detto, non si facciano dei test specifichi su difetti artificiali introdotti nella birra, la cui percezione può comunque variare sensibilmente a seconda dei livelli di percezione personali.

La descrizione corretta in assoluto del profilo organolettico di una birra non esiste. Bisogna farci pace.

Ma non è della correzione degli esami BJCP che volevo parlare, mi sono lasciato andare. Volevo raccontare del caso della “patata bollita”, che mi ha fatto tornare a riflettere sugli aromi vegetali di cui avevo parlato qualche tempo fa in un altro post.

Lo strano caso della patata bollita

Uno degli esami che ho corretto ultimamente prevedeva l’assaggio di una Czech Premium Pale Lager, ovvero una Pilsner ceca.

La scheda compilata dall’amministratore dell’esame era, purtroppo, piuttosto povera di informazioni. Diceva solamente che si trattava di un esempio commerciale e che la bottiglia aveva circa un anno. Sebbene non sia granché come informazione (nessuna descrizione del profilo organolettico era riportata), l’età avanzata della birra lasciava già spazio alla possibilità che potesse emergere qualche difetto.

In questo esame, i proctor erano tre. Tutti e tre i voti assegnati alla birra sono stati bassi (tra il 22 e il 29), il che ci dice già che la birra non era in forma. Due dei tre proctor hanno evidenziato una generale ossidazione (il che, di nuovo, torna con l’età della birra), mentre il terzo, pur non rilevando specificamente ossidazione, ha percepito il difetto light struck (colpo di luce), ovvero il famoso aroma di puzzola.

In questo set di esame i candidati erano solo 4 (di solito sono 12). Non era possibile costruire grandi trend dalle loro schede, essendo così pochi. A ogni modo, nessuno dei quattro candidati ha rilevato ossidazione nella birra in questione; uno ha segnalato aromi vegetali e un altro il colpo di luce.

L’aspetto curioso, quello che poi ha ispirato questo post, è proprio la componente vegetale notata da uno dei candidati e da uno dei proctor, il più esperto. Questo giudice ha descritto l’aroma vegetale di questa birra come baked potato. L’ho tradotto con patata bollita, anche se tecnicamente sarebbe patata al forno, ma l’aroma della patata intera fatta al forno è simile a quello della patata bollita. Sempre lo stesso giudice, ha evidenziato un generale “cooked character” nella birra, ovvero un aroma/flavour che ricorda qualcosa di “cotto”. Oltre, come già detto, a evidenziare una evidente ossidazione a cui, immagino, attribuisse queste sensazioni aromatiche.

La mia testa ha iniziato a elaborare. L’aroma di vegetali cotti, come riportato anche tra i descrittori BJCP, deriva principalmente da composti solforosi. Come il light struck, anche se si tratta di composti solforosi diversi. Cipolla cotta, sedano bollito, sono tutti difetti associabili in qualche modo allo zolfo. Ma cosa c’entra l’ossidazione? Proviamo a capire.

Uno dei tre proctor (ma nessuno dei candidati) ha evidenziato anche cartone bagnato, il difetto tipico dell’ossidazione a lungo termine. Ma facevo fatica a collegare l’ossidazione all’aroma vegetale.

Poteva darsi che si trattasse in effetti di tre difetti diversi: DMS, dovuto ai malti chiari tipicamente utilizzati in una birra chiara; cartone bagnato, dovuto all’ossidazione; light struck, probabilmente per l’esposizione della birra alla luce per molto tempo. La birra in questione era questa, commercializzata in bottiglie verdi che in teoria possono favorire il light struck.

Dovevo però capire quale fosse il difetto preponderante e se da tre difetti si potesse passare a due. Questo per avere una cornice di riferimento più immediata in base alla quale valutare le schede dei candidati.

E se aroma vegetale e ossidazione fossero collegati? Mi suonava strano. L’altro giorno, per caso, ho trovato una possibile risposta mentre scrivevo un articolo sulle birre analcoliche per Fermento Birra.

Ossidazione oppure no?

Che l’ossidazione possa produrre aldeidi aromatiche non è una novità. Ne ho parlato abbondantemente in diversi post, tra cui un paio specifici sull’ossidazione (link). In particolare, l’ossidazione può aumentare sensibilmente la concentrazione dell’esanale, un’aldeide a cui viene principalmente attribuito un aroma definito grassy, ovvero erbaceo. In qualche modo definibile come vegetale, ma non siamo nel perimetro aromatico della patata lessa o della verdura cotta.

Spulciando tra le voci descrittive dei difetti presenti nella scheda BJCP, il difetto Vegetal viene attribuito al DMS o comunque a composti solforosi. Questa può essere sicuramente una causa del problema, ma non è detto che sia l’unica.

L’ispirazione mi è venuta leggendo questo articolo, piuttosto lungo e complicato, dove ho trovato la seguente tabella che è di facile interpretazione. Elenca le principali aldeidi che si possono trovare nella birra e la potenziale causa che le ha generate.

L’articolo si focalizza sulle aldeidi dall’aroma worty (quando la birra odora di mosto piuttosto che di birra) poiché è un problema frequente nella birre analcoliche. Si tratta di aldeidi generate dalla maltazione, dal mash e dalla bollitura che il lievito rimuove durante la fermentazione, trasformandole nei rispettivi alcoli. Per questa ragione, la componente maltata della birra cambia notevolmente aroma dopo la fermentazione, in meglio.

Questo tipo di aldeidi dall’aroma worty potrebbero essere all’origine anche dell’aroma che a volte viene definito “da estratto di malto” in alcune birre fatte in casa, dovuto con molta probabilità all’eccessiva formazione di aldeidi. Verosimilmente per una conservazione impropria al caldo del barattolo di estratto o perché è stato fatto bollire diverse volte (in origine, per produrre il barattolo, e in casa, per produrre la birra). Come vedremo, la formazione di alcune di queste aldeidi è stimolata dal calore.

Leggendo bene la tabella, però, troviamo alcuni descrittori aromatici che ricordano quello che ha scritto il proctor nella schede di cui parlavo prima. Li ho evidenziati in giallo.

L’aroma di patata bollita è legato a una specifica aldeide, il metionale. Si forma, come indicato nella tabella, tramite degradazione di Strecker. Non sembrerebbe quindi legata all’ossidazione, come possono invece esserlo altre aldeidi che producono aromi che ci sono più familiari come ciliegia (3-metilbutanale) o mandorla (benzaldeide o 2-metilbutanale).

Tenderei quindi a non legare l’aroma di patata bollita all’ossidazione. Ma a cosa è dovuto allora?

Andando a cercare meglio (link), scopriamo che la degradazione di Strecker viene generata dal calore. Si tratta quindi sicuramente di una aldeide che si può formare durante la produzione a caldo del mosto, ovvero ammostamento e bollitura. Una bollitura vigorosa tende però a rimuovere le aldeidi, quindi il metionale non dovrebbe arrivare nella birra finita. Inoltre, come già detto, la fermentazione dovrebbe aiutare a rimuoverle o in ogni caso a ridurle sensibilmente.

Ma la degradazione termica può avvenire anche a valle della fermentazione, ad esempio durante la pastorizzazione. Con molta probabilità, la Czech Pils dell’esame era una birra pastorizzata.

C’è di più. Queste aldeidi possono anche essere un segnale di invecchiamento della birra, specialmente se la bottiglia non è stata conservata bene. Se la birra è vecchia, e magari la bottiglia è stata conservata al caldo (cosa probabile con le birre industriali che vengono trasportate e stoccate senza refrigerazione), la concentrazione di aldeidi può aumentare nel tempo. Come potrebbe essere accaduto in questo caso.

E lo zolfo? Cosa c’entra?

C’entra. Perché il metionale si forma per degradazione di Strecker della metionina, un aminoacido che contiene zolfo. Cercando su Wikipedia, ho scoperto che il metionale contiene un tioetere, ovvero un gruppo funzionale con lo zolfo.

Quindi, sì: ci avevo preso alla fine. Siamo nel mondo dei composti dello zolfo, in cui si colloca anche la famosa casellina Vegetal della scheda BJCP.

Forse l’ossidazione c’era in questa birra, ma probabilmente non è all’origine del difetto “patata bollita”, che invece potrebbe derivare semplicemente da degradazione termica dovuta alla pastorizzazione, all’età della bottiglia o a uno stoccaggio improprio.

Per questa ragione cerco sempre di non limitarmi a scrivere genericamente “ossidazione” sulle schede quando valuto una birra. Scrivere ossidazione non basta per descrivere il difetto. In primis, perché potremmo aver attribuito una causa sbagliata al difetto che avvertiamo (come in questo caso). In secondo luogo, perché gli effetti dell’ossidazione sono decine e sta a noi, come giudici, discernere quale specifico aroma/flavour stiamo percependo.

Alla fine, per quanto riguarda i candidati dell’esame, ho premiato i due che avevano individuato l’aroma vegetale e il light struck. Non ho penalizzato più di tanto nssuno per non aver segnalato espressamente l’ossidazione come difetto in questa birra.

1 COMMENT

  1. Quando un giudice non scrive genericamente “ossidazione”, ma cerca di dare una descrizione più approfondita del difetto, lo apprezzo molto. Per questo io cerco sempre, per quanto possibile, nelle mie valutazioni, di trovare un descrittore che sia appropriato per specificare meglio l’ossidazione (che poi -appunto- alcune volte ossidazione non è).
    Poi magari mi sento dire da altri giudici “eh ma tu non ce l’hai sentita l’ossidazione?” …e vabbè!

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