Mi dispiace deludere le aspettative da subito, ma non esiste un approccio infallibile per ottenere birre limpide sempre e comunque. La limpidezza nel prodotto finale non è mai garantita al 100%, a meno che non si filtri con strumentazioni avanzate a valle del processo di produzione.

La questione è ancora più complicata per i produttori casalinghi. Da un lato, per via delle attrezzature di produzione: non sempre riescono a garantire una replicabilità assoluta dei processi, specialmente quando si tende a cambiarle ogni volta che esce un nuovo gadget.

Dall’altra, per le materie prime, le cui caratteristiche possono variare – anche sensibilmente – da un acquisto all’altro. Variazioni di cui è difficile tenere traccia quando si fa una cotta al mese (o anche meno), per giunta ogni volta di una birra diversa.

E poi ci sono le solite smanie creative degli homebrewer – più che comprensibili – che raramente spingono a sviluppare una focalizzazione sull’affinamento di processi e ricette che invece caratterizzano l’attività di un birrificio.

Il tema è difficile perché la limpidezza e la stabilità del prodotto finito (la prima quasi sempre necessaria per garantire la seconda) dipendono da una molteplicità di fattori, legati sia al processo di produzione che alle materie prime utilizzate.

Considerando poi che spesso è difficile capire di quale tipo di torbidità si stia parlando (da lievito? da proteine? da polifenoli? da amidi?), il discorso si fa ancora più complesso.

Se la limpidezza estrema sia sempre necessaria per garantire la qualità della birra finita è ancora oggetto di discussione. Non si può negare, però, che l’aspetto visivo influisca significativamente sul nostro cervello e sulle percezioni sensoriali (ne ho parlato qui).

Anche birre non limpidissime possono essere buone; molto buone, a volte. Magari saranno meno stabili nel tempo, ma in ambito casalingo questo può essere un aspetto trascurabile.

La mia ultima bitter, venuta veramente limpida

Detto ciò, a me piace puntare alla limpidezza e per questo, nel tempo, ho lavorato su tutti gli aspetti del processo di produzione che potessero aiutare a migliorarla.

Non ho nessun segreto da svelare. In questi anni di homebrewing, però, ho imparato che l’attenzione ai dettagli lungo tutto il processo di produzione può fare la differenza. Non è una garanzia di successo al 100% (vedi ad esempio qui), ma ho notato notevoli miglioramenti da quando ho affinato il mio approccio alla produzione.

Sempre nell’ottica di non complicarmi eccessivamente la vita, sia chiaro. Alla fine, fare birra in casa per me deve rimanere principalmente un divertimento.

Provo a riassumere quelli che per me sono i passaggi maggiormente critici per chi punta alla limpidezza, spiegando perché. Ovviamente non è tutto bianco o nero, non sempre si riescono a quantificare o anche solo a verificare qualitativamente gli effetti di determinate azioni. Ma se nel tempo i buoni risultati persistono, non vedo perché non perseverare.

Macinazione dei grani

Il livello di macinazione dei grani può avere diversi effetti sulla birra, in particolare sulle dinamiche di ammostamento.

Una macinazione più fine tende a incrementare l’efficienza; non aspettiamoci miracoli, ma qualche punto lo si guadagna. Di contro, macinare troppo fine produce farine che tendono a compattarsi quando i grani si scaldano, ostacolando il flusso del mosto. Questo può rendere difficoltosi ricircolo e filtrazione.

Il mio mulino Grain Gorilla per la macinazione dei cereali

La macinazione può, teoricamente, avere un impatto sulla torbidità e in generale sulla stabilità nel lungo termine della birra. Macinare più finemente può indurre un trasferimento eccessivo di polifenoli e tannini dalle glumelle (bucce) dei cereali al mosto. Questo può aumentare la possibilità che si generi torbidità permanente nel lungo periodo (chill haze).

Quanto questo effetto sia realmente impattante non saprei dirlo; nel dubbio, preferisco perdere qualche punto di efficienza macinando più grossolanamente, a favore di un ricircolo e una filtrazione più fluidi e minor rischio di torbidità.

Il mio mulino, che è un Grain Gorilla, ha i rulli impostati al valore 114 (credo corrisponda a un distanziamento di 1,14 millimetri tra i due rulli).

Ammostamento e filtrazione

Spero non sia necessario mettersi nuovamente a discutere sulla necessità del protein rest. Ormai è abbastanza consolidato che si tratta di un passaggio obsoleto, che nella migliore delle ipotesi non serve a niente. In alcuni casi, può anche essere deleterio per la tenuta di schiuma. Non è una mia opinione, stavolta: è scritto ovunque (viene ripetuto più volte anche nell’ultimo libro che sto leggendo, Modern Lager Beer).

A meno di eccezioni, come nel caso in cui si utilizzino malti poco modificati (evento rarissimo) o ricette con una significativa parte di cereali non maltati, il protein rest non serve e non aiuta in alcun modo la limpidezza della birra.

Al di là del protein rest, è invece importante ottenere un mosto limpido a fine ammostamento e dopo lo sparge. Mentre è abbastanza semplice ottenere mosto limpido a fine ammostamento con un semplice ricircolo, anche in sistemi AIO (all-in-one) o con il BIAB (Brew In a Bag), arrivare a inizio bollitura con un mosto limpido è più complicato se non si fa uno sparging classico.

Questo perché nei sistemi AIO, quando il cestello viene alzato, le trebbie si muovono lasciando solubilizzare residui vari nel mosto. Stessa cosa accade quando si toglie la sacca BIAB.

Per questa ragione, da diversi anni ho abbandonato il BIAB e sono passato a un sistema a tre tini (link) con cui faccio uno sparge ridotto, ma molto efficace per mantenere il mosto limpido.

L’efficienza non è aumentata particolarmente perché perdo circa un litro di mosto torbido sul fondo del tino d mash al momento del trasferimento nella pentola di bollitura, ma – come ho detto – preferisco efficienza ridotta ma mosto limpido. Sono scelte.

Il mosto che finisce nella pentola di bollitura dopo la filtrazione

Bollitura e raffreddamento

Per favorire la coagulazione delle proteine, porto il pH del mosto a 5.2 prima di avviare la bollitura. In genere, a fine bollitura, scende a 5.1.

A 10 minuti dalla fine della bollitura aggiungo Protafloc, nella dose consigliata in etichetta. Non so se sia stato un caso, ma un paio di volte che ho utilizzato semplice Irish Moss al posto del Protafloc (che è simile, sempre a base di carragenina, ma in scaglie più piccole) il coagulo mi è sembrato meno efficace.

Alcuni usano Spindasol in questa fase (un chiarificante a base di silice), altri Spindasol e Protafloc insieme.

Qualsiasi testo consiglia di raffreddare velocemente per evitare contaminazioni ma anche per stimolare la formazione di fiocchi più grandi (e più pesanti) di proteine, che precipitano più velocemente sul fondo del pentolone.

Raffreddando con serpentina e acqua di rete, la riduzione della temperatura può non essere particolarmente veloce, specialmente nei mesi estivi.

Potrei sperimentare altri metodi, come controflusso o scambiatore, ma li trovo scomodi da pulire. Servirebbe una pompa da collegare a circuito chiuso per far scorrere all’interno dei tubi o delle piastre una soluzione di detergente e acqua calda. Preferisco evitare, la serpentina si pulisce molto più agilmente.

Con due serpentine collegate in serie sono riuscito a rendere il raffreddamento più veloce. Impiego una ventina di minuti a freddare 13 litri di mosto intorno ai 20-25°C. In estate un po’ di più. Il coagulo è sempre piuttosto buono, come si vede dalla foto.

Trub a fine bollitura dopo il raffreddamento, con mosto molto limpidoTravaso nel fermentatore dall’alto, usando un minisifone in plastica. Mi fermo quando arrivo al fondo, lasciando tra 1,5 e 2,5 litri in pentola. Non sono pochi, ma preferisco ridurre l’efficienza piuttosto che portarmi mosto sporco nel fermentatore.

C’è da dire che, una volta formati i coaguli, anche portandoli nel fermentatore si depositerebbero presto sul fondo senza dare problemi di torbidità. Il trub è fonte di nutrienti come acidi grassi polinsaturi, che il lievito utilizza per rinforzare le pareti cellulari. Tuttavia può anche essere fonte di aromi e sapori sgradevoli, quindi preferisco evitare e fermarmi non appena inizio a tirare su il trub con il sifone.

Il mosto che porto nel fermentatore è generalmente molto pulito, il che mi fa stare a posto con la coscienza. Quello che potevo fare, fin qui, l’ho fatto.

Mosto limpido nel densimetro, dopo il raffreddamento

Fermentazione e travasi 

Dal punto di vista della limpidezza, i travasi non influiscono più di tanto. La ragione è semplice: le sostanze che si depositano sul fondo del fermentatore, che si tratti di lievito o polifenoli, lo fanno comunque. A prescindere dalla quantità di contenitori in cui si sposta la birra.

La velocità e l’intensità con cui si depositano dipende da tempo e temperatura, cambiando contenitore non si accelera il processo. Al limite, qualcosa potrebbe migliorare passando da fermentatori alti stretti a maturatori bassi e larghi, che riducono il percorso che gli agglomerati devono percorrere prima di raggiungere il fondo. Ma questo può aver senso sui grandi volumi in birrificio, non certo in casa.

L’unico elemento su cui il travaso può influire è la riduzione dell’altezza del deposito sul fondo una volta trasferita la birra nel secondo fermentatore. La torta di lievito di proteine che si deposita dopo il travaso sarà più bassa e tenderà a finire meno in bottiglia.

Ma questo è un elemento relativo. Facendo la dovuta attenzione, si smette di pescare fondo dopo 3 o 4 bottiglie. Pescando dall’alto con un sifone si risolve totalmente il problema, basta fermarsi quando si inizia a pescare dal fondo.

Se poi si usa un keg (o un Fermzilla) con sfera inox e tubo che pesca dall’alto, il problema non si pone. Io uso il keg (qui i dettagli).

Cold crash e lagerizzazione

L’abbattimento di temperatura può invece fare la differenza. Anzi, direi che nella maggior parte dei casi la fa. Tenere la birra intorno agli zero gradi per almeno una settimana – meglio 15-20 giorni – contribuisce significativamente alla limpidezza.

Se la torbidità è causata solo dal lievito, è temporanea. Qualsiasi lievito, anche se poco flocculante, non riesce a restare in soluzione dopo un abbattimento di 20-30 giorni. Molto spesso, precipita in molti meno giorni. In genere, ho notato che almeno una settimana di abbattimento è necessaria per avere una buon limpidezza.

La principale causa di torbidità permanente, invece, sono gli aggregati di proteine e polifenoli che vanno a causare la cosiddetta chill haze. Questo tipo di torbidità è rognosa, perché è difficile da eliminare del tutto senza l’utilizzo di agenti chiarificanti, centrifuga o filtrazione.

Quando la birra è limpida a temperatura ambiente e diventa torbida (o velata) una volta messa in frigo, possiamo essere sicuri al 100% che la torbidità è data da proteine e polifenoli e non da lievito.

Per evitare o comunque ridurre l’entità della chill haze, è fondamentale aver lavorato bene durante il processo di produzione a monte della fermentazione. Come già scritto più volte, è importante portare un mosto pulito nel fermentatore.

Non è una garanzia al 100% che la birra sarà poi esente da chill haze, ma è un buono punto di partenza. Del resto, non è sempre vero nemmeno il contrario: può capitare che da un mosto non pulitissimo dopo il raffreddamento si ottenga poi una birra limpida. Dipende dal tipo di proteine e polifenoli presenti nel mosto, non rilevabili senza strumenti di misura avanzati.

Posso dire, per esperienza, che anche nel caso di forti torbidità post fermentazione, dopo un mese al freddo la birra tende a pulirsi. Non è detto che diventi perfettamente limpida, ma quantomeno non risulterà torbida e brutta da vedere.

Il mio ultimo Barley Wine (link) ha ormai sei mesi di bottiglia (aveva fatto anche due mesi di maturazione in fusto). A temperatura ambiente è limpidissimo, ma nel bicchiere presenta una velatura significativa, anche dopo tutti questi mesi. Non è torbido, ma nemmeno limpido come avrei voluto. Vai a capire perché.

Chiaramente, quando si fanno abbattimenti di temperatura lunghi (oltre le due settimane) è preferibile spostare la birra dal fermentatore per non rischiare di alterarne il sapore a causa della lisi del lievito. Non è una cosa che accade da un giorno all’altro e probabilmente neanche dopo un mese, ma eviterei di correre il rischio.

Chiarificanti post fermentazione

Tanti sono i chiarificanti disponibili in commercio che si possono utilizzare dopo la fermentazione.

Alcuni agiscono più sul lievito, come la gelatina o l’isinglass, che a sua volta può trascinare sul fondo anche proteine e polifenoli. Altri invece sono più efficaci sui polifenoli, come il PVPP. Altri ancora, sulle proteine, come ad esempio la silice (Spindasol).

Alcuni li ho provati (Isinglass e PVPP) con risultati variabili. Sicuramente rappresentano una opzione valida, che personalmente ho deciso però di non percorrere.

Principalmente perché non mi va di aprire il fermentatore, o i fusti, per inserire materiale dall’esterno. Se posso, evito. Ci sono metodi per farlo in contropressione, riducendo l’ingresso di ossigeno (ad esempio utilizzando le Carbonation Cap con una bottiglia di Coca Cola), ma preferisco evitare.

Con un buon lavoro a monte sul mosto e abbattimenti di temperatura leggermente più lunghi del solito, ottengo risultati più che soddisfacenti (ho investito in un secondo frigo per la conservazione di fusti e bottiglie). Ogni tanto esce la birra che non ce la fa a pulirsi (come questa), ma amen. Me la bevo lo stesso.

8 COMMENTS

  1. Per deglutinare aggiungo chiarificanti come clarity ferm o brewers clarity. Si aggiungono nel fermentatore quando si travasa il mosto e si inocula il lievito.
    L’azione combinata di questi additivi e di un lungo cold crash mi ha sempre portato ad avere birre molto limpide. Non ho mai provato su birre molto luppolate perchè le faccio molto raramente. Ora ho in cold crash una American IPA e vedremo se confermerà o ribalterà il risultato.

    • Sì, ceratamente. Sono chiarificanti che agiscono sulle proteine. Ma, come scritto, preferisco evitare di introdurre cose dall’esterno una volta che la birra ha terminato la fermentazione.

  2. domanda stupida: come ti muovi per portare il ph pre-boil a 5.2? Metti l’acido lattico goccia per goccia misurando ogni volta con phmetro? non sono sicuro al 100% ma mi pare che non i software questa cosa non la calcola. più o meno quanto acido lattico aggiungi in questa fase?

    • Basta un po’ di pratica. Ormai, con il mio impianto e i miei volumi, ho registrato che +1ml di acido lattico a inizio boil abbassa di circa 0.1 il pH. Poi non è sempre precisissimo, ma siamo lì. Meglio comunque essere conservativi le prime volte, così al massimo con un paio di aggiunte ci si arriva. A raffreddare il campione per misurare il pH ci vogliono 30 secondi.

  3. Grandissimo Frank, grazie per tutti i tuoi articoli.

    Alcune considerazioni:

    Sicuramente forme larghe e basse velocizzano il processo di chiarificazione sia su grandi volumi che su piccoli.

    “La velocità e l’intensità con cui si depositano dipende da tempo e temperatura, cambiando contenitore non si accelera il processo.” è un’assunzione un po’ imprecisa, manca una variabile: il contenitore in cui si travasa, non ha deposito sul fondo.

    Travasare, è un processo, come quasi tutti, né inutile né fondamentale, dipende da cosa si vuole ottenere, per la limpidezza sicuramente in alcuni casi aiuta. Non conosco nel dettaglio come si possa descrivere con modelli fluidodinamici il fenomeno (sarebbe bello conoscerli), ma sicuramente si può facilmente notare come togliere sedimento dal fondo, velocizza la sedimentazione delle particelle ancora presenti.

    Si può notare in molti esempi empirici.

    Birra in lagerizzazione in fermentatore troncoconico, stessa quantità in volume di spurgo totale:
    Caso 1: 1 spurgo completo di lievito dopo 15 giorni di abbattimento
    Caso 2: 1 spurgo leggero al giorno per 15 giorni
    Nel caso 2 la birra si illimpidirà prima

    Altro esempio, birra durante l’abbattimento, ancora velata. Se si travasa una parte (per esempio in un fusto), quella nel fusto sarà limpida prima della parte rimanente in fermentatore.

    Non vorrei passasse l’impressione di voler spiegare come funziona, volevo solo dare il mio contributo alla discussione, sono birraio da 5 anni e non voglio assolutamente appellarmi a principi di autorità ma portare un’esperienza che sicuramente da homebrewer non si riesce a fare non facendo centinaia di cotte all’anno.

    Grazie ancora per il tuo lavoro!

    • Ciao Luca, grazie per il commento. Personalmente non credo che togliendo il fondo si velocizzi la sedimentazione. Non mi viene in mente nessuna legge fisico/chimica che possa giustificare una dinamica del genere. L’unico elemento che potrebbe influire è se il fondo viene rimesso in sospensione in qualche modo, anche in piccole parti; ma con il fermentatore al freddo, il lievito non attivo e nessun movimento, mi sembra strano. Il fatto che tu abbia osservato diverse velocità di illimpidemnto non è detto sia dovuto allo spurgo, specialmente se parliamo di mosti provenienti da due cotte diverse (come mi sembra di acver capito). Un saluto!

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