La Guinness e i pub irlandesi sono stati il mio primo amore. La prima birra che produssi in casa (già all’epoca con il metodo all-grain e una cotta che durò dieci ore) fu una Porter: la Dark Passenger, una birra che mi fece sfiorare il podio al primo concorso in assoluto a cui ho partecipato – non con la prima versione della ricetta, ma con la sua evoluzione prodotta qualche mese più tardi.

Le birre scure le ho nel cuore, da sempre. C’è poco da fare. Mild, Porter, Irish Stout, Irish Extra Stout, Foreign Export Stout, Oatmeal Stout, American Stout, American Porter, Imperial Stout… sono numerose le ricette di Stout e Porter pubblicate sul blog in tutti questi anni di homebrewing.

Mi sono dato molto da che fare con i malti scuri, in tutte le loro forme. Qualche cosa sento di averla imparata. Dato che ascolto e leggo in continuazione opinioni e osservazioni quantomeno “bizzarre sull’utilizzo dei malti roasted – molte delle quali derivate da approcci che definire “vecchi” è un eufemismo -, ho pensato di raccogliere in un post alcuni miei pensieri al riguardo.

E mo’ ve li beccate.

Fatemi sapere nei commenti se la vostra esperienza è diversa o se non siete d’accordo su qualche punto. Ma tanto ho ragione io. Sapevatelo.

I malti scuri e l’astringenza

Come posso evitare l’astringenza nelle birre scure? Oh, mamma mia! Se avessi avuto anche solo un centesimo di euro ogni volta che mi hanno fatto questa domanda, ora sarei ricco.

La risposta è più banale di quanto si possa immaginare: l’astringenza fa parte delle birre scure. Punto. Di molte di esse, almeno. A leggere bene, è addirittura espressamente indicata in alcuni stili censiti dal BJCP come Mild, stout irlandesi in generale (Irish e Extra Stout), American Stout (che non sono necessariamente americane, ma generiche stout robuste, spesso a un passo dalle Imperial Stout).

L’astringenza non va necessariamente demonizzata, può essere parte integrante del profilo organolettico. Se ben dosata, allo stesso tempo supporta e snellisce il sorso. I tannini sostengono il corpo, mentre la salivazione richiamata dalle sostanze astringenti aiuta a pulire il palato. Non è così assurdo come può sembrare.

Questo non significa che tutte le birre scure debbano essere astringenti, per carità. O che qualsiasi livello di astringenza possa andare bene. Certamente bisogna gestirla bene, come tutti gli aspetti della produzione; ma senza farsi prendere dal panico e arrivare addirittura a inserire i malti scuri in vorlauf, ovvero alla fine dell’ammostamento – sì, lo so, lo suggerisce Gordon Strong nel suo libro La Birra Perfetta, ma in quel libro suggerisce molte altre amenità alquanto bislacche che sembrano derivare da convinzioni personali piuttosto che da solide evidenze.

mini mash

Altro approccio molto discutibile è l’estrazione a freddo (cold steeping) dei malti tostati. Ovvero mettere i malti scuri in ammollo in acqua fredda, spesso lasciandoceli tutta la notte, per estrarre colore e aromi senza la famigerata astringenza. Non fatelo, per favore.

Intendiamoci: non si tratta di metodi sbagliati in assoluto. Sia l’inserimento a fine ammostamento che il cold steeping funzionano, nel senso che possono portare a un risultato piacevole. Ma questo non significa che siano adatti a una birra dove la componente tostata deve essere ben presente e avere un certo profilo.

L’estrazione a freddo, in particolare, produce un profilo aromatico diverso. Riduce certamente l’astringenza, ma è davvero quello che vogliamo? A volte, sì. Penso a una Schwartz o a una Black IPA, dove le componenti tostate sono molto ridotte se non quasi assenti (specialmente nel secondo caso).

Ma in una Imperial Stout o American Stout – o in una semplice Irish Stout – il carattere dei malti roasted deve sentirsi bene. Non lasciamoci ingannare dal profilo della Guinness – birra piacevole, per carità, ma pur sempre una birra industriale che deve adattarsi al palato di molti. Io non guarderei certo alla Guinness di oggi come esempio classico di Irish Stout.

Quindi, per tornare a noi: come riduco l’astringenza nelle birre scure?

La mia risposta è semplice: come per tutte le altre birre. Controllo del pH di ammostamento (5.2-5.5), controllo del pH di sparge (5.2). Semplice. Se il tutto il processo di produzione è ben gestito, nella birra ci sarà l’astringenza che ci deve essere. Leggera o quasi nulla in una Mild, dove i malti tostati saranno dosati in piccole quantità; maggiore in una Irish Stout, magari ancora un filo in più in una Imperial Stout. Ma ci sta. È normale. Fa parte dello stile e dell’esperienza gustativa.

Vi vedo che fate il cold steeping in una Irish Stout. Ci sono cascato anche io, tanti anni fa. Non serve. Giuro.

E i malti senza glumelle?

Non so se i malti dehusked li abbiano inventati in Germania, ma è molto probabile. Magari sarò smentito, ma questo non cambia il senso di quello che voglio dire. Parliamo dei vari Carafa® della Weyermann, per intenderci (li producono anche altre malterie).

Sono usati soprattutto in Germania perché in Germania birre scure “aggressive” non esistono. Gli stili scuri tedeschi, come Dunkel e Scwhartz, hanno un profilo tostato molto delicato. In questi casi, l’astringenza non è concessa. Nemmeno un filo – anche se nella Doppelbock Celebrator (ne discutevamo l’altro giorno durante l’ultimo Tasting Exam BJCP) un filo di astringenza, secondo me, ci sta.

In questo scenario, usare i malti decorticati per ridurre l’astringenza può aver senso. Lo concedo. L’ho fatto anche io. Poi a volte li ho usati anche in altre birre scure (in qualche mia ricetta fanno capolino), ma solo perché ne avevo acquistato un Kg e li dovevo finire.

No, non li userei in una Irish Stout. Manco per sbaglio.

Gestire l’attenuazione nelle birre scure

Un’altra cosa che ho imparato è che nelle birre scure l’attenuazione non va oltre un certo limite. Che spesso è più alto rispetto a una birra chiara fermentata in condizioni simili con lo stesso lievito.

Questo non significa però che la birra scura, meno attenuata, risulti poi più dolce al palato. Anzi.

Nei malti scuri, gli zuccheri sono quasi completamente denaturati. Il passaggio nel roasting drum (il forno “rotante”, simile a quello che si usa nella torrefazione del caffè) induce modifiche strutturali negli zuccheri presenti, rendendoli di fatto non fermentabili. Tutti gli zuccheri introdotti con i malti scuri (e in parte anche quelli introdotti con i Crystal) rimangono più o meno intatti a fine fermentazione, alzando il valore della densità finale (Final Gravity, FG).

La birra è quindi più dolce? Ma certo che no. Insieme agli zuccheri residui – che comunque, essendo denaturati, hanno probabilmente una resa meno dolce sul palato – si solubilizzano anche tutti i composti astringenti/acri di cui parlavo prima. Il bilanciamento complessivo, anche se la FG che misuriamo è alta, non risulta dolce. Quantomeno, risulta meno dolce rispetto a una birra chiara o ambrata con la medesima densità finale.

Un 10% di malti di malti scuri in ricetta contribuisce con circa 5-6 punti alla densità iniziale (OG). Questi punti di densità li troveremo tutti nella birra a fine fermentazione. Facile intuire come la densità si possa alzare facilmente di 7-8 punti rispetto a quello che ci aspetteremmo in una birra chiara o ambrata, specialmente quando i malti roasted vengono utilizzati insieme ai malti Crystal (anche questi non del tutto fermentabili).

Qui entra in gioco la gestione del bilanciamento complessivo della birra, che è la vera arte da imparare. Non il cold steeping o l’aggiunta dei malti scuri in vorlauf.

Gestire il bilanciamento complessivo in una birra scura

Quando mettiamo insieme i vari pezzi della ricetta di una stout, non dobbiamo concentrarci solamente sui malti scuri e sulla loro potenziale astringenza. Come per ogni birra, la ricetta deve essere inquadrata nella sua interezza.

Per bilanciare l’effetto dei malti molto tostati, che si manifesta con livello di acidità (i malti roasted, come i chicchi di caffè, sono leggermente acri) e astringenza variabili, abbiamo a disposizione diversi strumenti.

Anzitutto, l’attenuazione. Con lieviti meno attenuanti e ammostamento a temperatura leggermente più alta, possiamo guadagnare qualche punto di FG in più. Questo non ci deve spaventare, anzi. In molti casi è sufficiente a controbilanciare l’effetto tagliente di acidità e astringenza, grazie a un filo di dolcezza residua in più e a una percezione del corpo leggermente maggiore.

Lo zucchero è dolce, ma il suo impatto sulla dolcezza complessiva della birra dipende dalle controparti acide, amare e astringenti. Per dosare questi elementi serve esperienza, ma è bene tenere sempre a mente l’intero quadro della situazione e non focalizzarsi sulla sola riduzione dell’astringenza.

Per regolare il bilanciamento dolce/amaro/acre/astringente si può giocare anche con l’aggiunta di malti Crystal, laddove lo stile lo consenta. Li uso molto nelle Porter, ad esempio, dove il toffee/caramello può stemperare l’aggressività percepita dei mati roasted. O nelle American Stout/Porter, stili in cui una maggiore complessità apportata dai malti a tostatura intermedia è spesso ricercata.

Oaked Brett Extra Stout ricetta

In alcuni casi, per esempio in stili dove il finale vuole una maggiore secchezza e il contributo dei malti roasted deve rimanere significativo (penso alle Irish Stout), si ricorre a ingredienti particolari come l’orzo non maltato. Ovviamente in dosi significative: nella mia Irish Stout mi tengo attorno al 30% di orzo non maltato, in modo che la morbidezza dell’orzo non maltato vada a controbilanciare l’effetto tagliente dei malti roasted. In questo caso, una eccessiva dose di malti Crystal avrebbe un impatto negativo sulla secchezza e sul profilo organolettico complessivo.

Tutto questo per dire che è importante superare la fobia dell’astringenza, per passare a un approccio più olistico e più ragionato che prenda in considerazione tutte le variabili in gioco. Non c’è nulla di male – in assoluto – nel cold steeping o nell’aggiungere i malti in vorlauf, ma è bene non focalizzarsi su workaround fantasiosi per la riduzione dell’astringenza. Nella birra c’è molto di più: concentrarsi su un’unica variabile sarebbe limitativo. Provare per credere.

 

 

 

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Frank
Ingegnere elettronico prestato al marketing, da sempre appassionato di pub e di birre (in questo ordine). Produco birra in casa a ciclo continuo dal 2013. Insegno tecniche di degustazione e produzione casalinga. Sono un divoratore di libri di storia e cultura birraria. Dal 2017 sono giudice BJCP (Beer Judge Certification Program). Autore del libro "Fare la birra in casa: la guida completa per homebrewer del terzo millennio"

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