Con il post di oggi entriamo nuovamente nel magico mondo delle birre inglesi, a me molto caro. Ci sediamo al bancone e riflettiamo sulle Mild, birre quasi scomparse dal mercato. Il termine in sè non dice molto sullo stile, se non viene contestualizzato storicamente. Con questo semplice aggettivo (che può essere tradotto come mite, lieve, leggero, delicato) sono state per molto tempo indicate semplicemente le birre giovani e meno alcoliche che non venivano passate in botte per l’invecchiamento.

Quando sia esattamente nato questo termine non è chiaro, ma la pratica di produrre birra in due o più “running” (risciacquo delle trebbie, ovvero dei cerali impiegati nella fase di ammostamento) è molto antica. Il primo mosto, più denso in termini zuccherini, veniva lasciato maturare per diverso tempo (da mesi ad anni). I successivi risciacqui delle trebbie, che producevano birre meno alcoliche e quindi meno resistenti ai batteri e ai lieviti selvaggi che risiedevano nelle botti, non venivano messe a maturare ma bevute nel giro di giorni/settimane. A volte finivano prima che la fermentazione fosse del tutto terminata. Da qui il termine Mild, inizialmente utilizzato per indicare birre dolciastre (a causa degli zuccheri non ancora consumati dal lievito) e con poco alcol.

Con il passare degli anni, il termine Mild ha acquisito diverse sfumature, ma la tendenza era sempre quella di utilizzarlo per indicare birre giovani e meno alcoliche, anche se in periodi diversi il “meno alcolico” ha avuto connotazioni diverse. Per lungo tempo (dal 1700 circa fino alla prima guerra mondiale) tutte le birre erano abbastanza alcoliche per tenere a bada le contaminazioni, quindi anche le versioni “Mild” non scherzavano in termini di ABV.

Le Mild come le conosciamo ora, ovvero una sorta di versione meno alcolica delle Porter e meno dolce e caramellosa delle Brown Ale, sono nate a cavallo tra le due guerre mondiali, sempre in Inghilterra. L’evoluzione non è chiarissima, ma è piuttosto certo che non ci sia un legame diretto con le Porter, quasi scomparse dal mercato già diversi anni prima. L’ipotesi più accreditata è che le Mild abbiano seguito il generale decremento del grado alcolico delle birre dell’epoca, dovuto al razionamento dei cereali negli anni a ridosso delle guerre mondiali e al progressivo aumento dellla tassazione negli anni precedenti. Prima delle Mild si erano diffuse anche a Londra le IPA, arrivate intorno al 1840 grazie al completamento della ferrovia che stabiliva un collegamento diretto con Burton-Upon-Trent. Con la riduzione dell’ABV, la birra stava perdendo di “sostanza”. Una ipotesi che giustifica il ritorno al colore scuro nelle Mild risiede proprio nella volontà di “insaporire” la birra: i malti scuri sono generalmente più intensi da un punto di vista organolettico, il che potrebbe aver reso le Mild più attraenti per il pubblico rispetto alle birre chiare dell’epoca, a parità di ABV molto basso tipico dell’epoca.

Il periodo di maggior diffusione delle Mild a Londra si può quindi posizionare tra le due guerre. Alla fine della seconda guerra mondiale, il 70% delle spine nei pub era dedicato alle Mild. Con il ritorno della pace e l’arrivo delle nuove generazioni, stufe di bere “roba da vecchi” e attratte dalle birre chiare continentali (ormai le Pilsner spopolavano in Europa), le Mild subirono una forte perdita di popolarità. In pochi anni sparirono dal mercato, lasciando spazio tra le spine alle nuove “birre chiare da giovani” (parliamo degli anni 60-70), ovvero alle Bitter. Dovevano ancora passare diversi anni prima che che le basse fermentazioni “continentali” riuscissero a insidiarsi nei cuori degli inglesi.

Come possiamo caratterizzare oggi una Mild? Andiamo a vedere.

LO STILE

Come per tutti gli stili storici poco diffusi nel quotidiano, ognuno sembra avere una propria idea su quelli che dovrebbero essere i tratti distintivi dello stile. Questo si rispecchia anche nella descrizione che ne fa il BJCP (Dark Mild, 13A), dove più o meno tutto è concesso in termini di varietà aromatica, purché nella birra siano predominanti i toni tostati dei malti a media-forte tostatura. Troviamo quindi note di caramello, liquirizia, frutta secca, caffè, cioccolato, prugne, pane tostato e chi più ne ha più ne metta. Anche il bilanciamento dolce/amaro è variabile, sebbene non si debba arrivare al livello di amaro di una bitter. Il finale può essere dolciastro ma anche secco, specialmente se si impiega Roasted Barley. Come postilla, il BJCP lascia spazio anche a Mild più chiare, sebbene le consideri al di fuori di una interpretazione moderna dello stile.

Con l’occasione ho provato a dare un’occhiata alle linee guida della Brewers Association, utilizzate in competizioni come il Great American Beer Festival. Sono rimasto colpito (non positivamente), tanto da chiedermi come faccia un giudice a utilizzarle per valutare una Mild in una qualsiasi competizione. In particolare, la descrizione del profilo maltato della versione Pale mi ha lasciato senza parole (vedi immagine sotto). Non mi stupisce che la BA riesca ad aggiornare queste linee guida con frequenza annuale. Ma questa è un’altra storia. E un’altra polemica. Veniamo al soldo.

Nella mia interpretazione, le Mild le vedo così:

  • poco alcol, corpo piuttosto watery
  • carbonazione molto bassa, schiuma lieve
  • leggero caramello, note di nocciola, caffé d’orzo, cioccolato e una chiusura tostata piuttosto evidente che rimane anche sul finale (una leggera astringeza è tollerata)
  • contributo del lievito sottile, delicato, con un ricordo di esteri che non deve sfociare nella frutta troppo matura o in generale nel “fruttatone”. Diciamo una vaga idea di pera o mela gialla, molto vaga
  • amaro a bilanciare, medio-basso
  • da bere a pinte (almeno un paio a session).

In base a queste linee guida ho scelto gli ingredienti e composto la ricetta. Questa era la mia seconda Mild, ma la prima la feci moltissimi anni fa senza grande cognizione di causa, quindi non l’ho nemmeno presa come riferimento di massima (era la mia cotta numero 13, questa Mild è stata la numero 89).

RICETTA

In questo tipo di birre scure e poco alcoliche ma con un profilo maltato complesso, ha senso secondo me lasciare spazio a diverse tipologie di malti. La parte difficile è evitare il “mappazzone”, come direbbe Barbieri a un concorrente di Masterchef. Le combinazioni di malti per raggiungere un buon risultato sono potenzialmente infinite, così ho deciso di affidarmi a malti che conosco bene. Il Brown Malt mi piace molto, ma va usato con attenzione. In passato ha arricchito e reso molto interessante una mia Irish Extra Stout, ma ha anche portato su derive spigolose una American Brown Ale.  Qui secondo me ci stava, ma mi sono tenuto basso.

Il Pale Chocolate l’ho usato per caso: credevo di aver ordinato un Chocolate classico ma mi sono reso conto di aver sbagliato l’ordine. Ho deciso quindi di provarlo al posto del Chocolate, in quantitativo leggermente maggiore. Crystal leggero come base e una punta di Roasted Barley per tirare fuori un finale secco e tostato. E anche colore.

Luppolo inglese in amaro e un filo, ma proprio uin filo, di luppolo in aroma per dare complessità senza eccedere. Un po’ di luppolo in più, a parità di IBU, aiuta anche a sostenere il corpo con i suoi polifenoli.

Acqua sbilanciata sui cloruri per dare morbidezza, ma senza eccedere.

Lievito inglese per eccellenza: il WLP002 English Ale della White Labs. Dovrebbe essere il ceppo della Fuller’s. Va gestito bene perché altrimenti si pianta prima di finire, ma è un gran bel lievito per birre con poco alcol e un bel profilo maltato.

FERMENTAZIONE

Memore anche dei consigli di Roberto “l’americano” Perticarini, con cui mi sono confrontato prima di usare questo lievito, ho seguito un preciso profilo di fermentazione. Si parte da 18°C per evitare eccessiva produzione di esteri, ma dopo 24 ore dall’inizio della fermentazione (da quando il gorgogliatore fa le bolle) si alza subito a 20°C, senza paura. Poi un grado al giorno fino a 22°C. In una birra con OG bassa come questa, la fermentazione finisce in tre giorni al massimo.

Si dice che questo lievito (come molti lieviti inglesi) riparta in bottiglia con il tempo. È probabile, ma per ora non ho potuto sperimentarlo perché ho un frigo dedicato dove tengo le birre intorno ai 2°C dopo la maturazione. Che, in questo caso, non va oltre le due/tre settimane. Il lievito per ora se ne sta buono nel frigorifero.

Ho aggiunto lievito da rifermentazione per accelerare il processo (CBC della Lallemand). La birra avrebbe rifermentato comunque, ma l’alta flocculazione tende a limitare il passaggio del lievito in bottiglia rallentando la rifermentazione. Ricordate che senza l’attività del lievito l’ossigeno nel collo della bottiglia avrà più tempo per ossidare la birra. Se il lievito parte prima, riesce a tenerlo un pò a bada grazie al suo potere riducente quando è in rifermentazione.

La sera prima di imbottigliare ho spento il frigo per far salire la temperatura della birra verso quella ambiente. A bassa temperatura la birra tende a incamerare una maggiore quantità di ossigeno durante il passaggio in bottiglia. Non credo che portarlo a temperatura ambiente cambi granché (il maggior nemico della birra è l’aria che rimane nel collo della bottiglia) ma male non fa.

ASSAGGIO

Dopo una settimana la birra era carbonata, ma ne ho attese un altro paio prima di passare all’assaggio ufficiale.

 ASPETTO  Bel colore marrone chiaro, in controluce appaiono riflessi rubino. Estremamente limpida. La schiuma fine, persistente, lascia un velo di bollicine che restano sulla birra fino al termine della bevuta. Schiuma regolare, senza l’utilizzo dei fantomatici “fiocchi per sostenere la schiuma”.

 AROMA  Intensità medio-bassa, in linea con lo stile, ma buona complessità e pulizia. Cioccolato, spunti di caffé d’orzo, crosta di pane bruciata e un leggerissimo toffee in sottofondo. Gli esteri fruttati sono delicati, quasi evanescenti, con suggestioni di mela gialla. Leggerissima frutta secca in secondo piano (datteri, uvetta). Niente diacetile.

AL PALATO  Malti in primo piano, si sviluppano con una certa complessità nel corso della bevuta. Tornano le note di cioccolato e caramello (leggero) rilevate in aroma, accompagnate da piacevoli toni tostati di una discreta intensità. Sfumature di caramello scuro, nocciola e caffé sul finale. Molto persistenti. Amaro a bilanciare. Ha una evoluzione gustativa molto lunga, nonostante il basso tenore alcolico.

 MOUTHFEEL  Morbida all’ingresso, chiude con una lievissima e piacevole astringenza data probabilmente dai malti tostati e non dal luppolo. Corpo esile come da stile, ma non watery. Carbonazione bassa. Alcol non percepito.

 CONSIDERAZIONI GENERALI  Nel complesso sono estremamente soddisfatto di questa birra. La trovo molto in stile e piuttosto allineata con gli obiettivi che mi ero prefissato. Probabilmente avrei potuto osare un po’ di più con i malti a tostatura intermedia. C’è ancora spazio per un po’ di Crystal (magari un Dark Crystal) o anche una punta di Special B o CaraAroma per intensificare le note maltate. Anche il colore, tendente al limite basso per lo stile, lascia intuire che si potrebbe osare qualcosa in più. Il lievito ha lavorato molto bene, attenuando il giusto senza lasciarsi dietro difetti come diacetile (che in piccole dosi è anche tollerato nello stile) o acetaldeide. Ha dato alla birra quel perfetto carattere inglese che non uscirebbe mai fuori con un neutro US-05, essenziale in birre dagli equilibri aromatici così delicati. Sono molto soddisfatto. 

16 COMMENTS

  1. ciao Frank, come alzi il sodio nell acqua di partenza? se non erro su ez water calcolator non cè la voce nacl, usi altro?

        • No questo l ho capito, ma come calcoli la quantità da mettere? Su ex water calculator non c’è la voce del sale

            • Grazie Frank, sto provando a usarlo ma rispetto a ez water ci sono delle differenze non piccole…stessa acqua e stesso grain bill: su ez water con 3,7 grammi di cacl2 mi calcola 109 ppm di cloruri, mentre su brun water con 3,7 grammi di cacl2 me ne calcola 145…mai notato queste differenze?

              • Guarda bene che tipo di cloruro di calcio hai impostato in Beun Water. Ha delle sofisticazioni rispetto a EZ, trovi sulla destra delle caselle da spuntare con dei commenti (nello sheet per la modifica sali). Se leggi specifica le varie tipologie e i razionali.

                • Bo solo uno ne vedo di cloruro di calcio, sotto il gypsum…sinceramente non ho capito cosa intendi…ma sarò sicuramente io che non riesco a capire 😉

                  • Scorri la riga Cloruro di Calcio, sulla destra. Da me è la riga 21. Vai fino alla colonna M. Li trovi un menù a tendina con spiegazione dettagliata sulle varie forme di Cloruro di Calcio

  2. Comunque sulla mia versione lo calcola già come anidro, te sai se quello che vendono al 77% per esempio su pinta è anidro o diidrato? Penso la seconda giusto?

  3. Ciao Frank!
    Dico la mia!
    Cloruro di calcio e solfato di calcio che io sappia sono venduti in forma biidrata anche su pinta, ad eccezione del sale di epsom che è venduto in forma eptaidrata MgSO4+7H2O (che per quanto mi riguarda non serve praticamente a niente..). Per conoscere la concentrazione di un singolo ione è necessario dividere il peso atomico dello ione (si trova sulla tavola periodica) per il peso molecolare dell’intero sale (somma delle singole masse atomiche).
    Es: peso molecolare CaSO4+2H2O = 40+32+64+4+32=172 quindi Ca=(40/172)*100=23,25%
    In questo modo possiamo calcolarci le concentrazioni di tutti i sali, per cui 1gr del relativo sale avrà:
    Solfato di calcio – Ca=23,25% SO4=55,81%
    Cloruro di calcio – Ca=27,23% Cl2=48,26%
    Solfato di Magnesio – Mg=9,85% SO4=38,95%
    Cloruro di sodio – Na=39,35% Cl=60,65
    Quello che manca per arrivare al 100% è semplicemente acqua.
    Da qui in poi il resto è tutto in discesa. Se ho un mash di 45 litri di acqua che ha sull’etichetta 50 mg/l di calcio e voglio portarli a 150 mg\l (numeri a caso eh…), quanto solfato di calcio dovrò aggiungere? Basta fare 45litri*100 mg\l=4500 mg di calcio necessario. Sapendo che nel gypsum il 23,25% è calcio farò 4500/0,2325=19.354mg cioè 19,35 grammi. Ovviamente aumenteranno in questo caso anche i solfati, ma è sufficiente fare il calcolo a ritroso per sapere di quanto (circa 240 mg\l).
    Questo ragionamento si può applicare non solo a tutti i sali compreso il sale da cucina (Ray Daniels suggerisce di non usare il sale iodato ma penso che per i nostri scopi vada bene lo stesso), ma anche agli acidi (se aggiungo acido cloridrico di quanto aumento i cloruri?).
    Il sodio può essere utile per aumentare la pienezza di gusto come si fa quando si aggiunge il sale nell’acqua della pasta, ne più ne meno. John Palmer nel suo libro suggerisce un range tra 0 e 50 ppm di sodio nell’acqua di mash con un picco massimo di 100 ppm oltre il quale si rischia di ottenere un sapore salato e/o minerale specialmente in combinazione con ioni solfato.
    Di solito nel malto e di conseguenza nel mash c’è già una buona concentrazione di sodio per cui a parer mio non è quasi mai necessario aggiungerne altro (discorso analogo per il magnesio).
    Ad ogni modo credo che i software di calcolo siano molto utili e sbrigativi, ma credo anche che sia più costruttivo capire la logica che c’è dietro così da avere consapevolezza e controllo della situazione, o magari semplicemente per fare un confronto e risolvere delle discrepanze.
    Comunque sei un grande Frank!!!

  4. Lievito alternativo all’English Ale? S04 o Nottingham ? Il Windsor direi di no. Mi si è già piantato una volta su una British Golden Ale

      • Come sempre hai ragione. Attenua poco e pertanto mi si è piantato molto prima della FG ma perché aveva finito il suo lavoro.
        In alternativa pensavo anche al London forse un filino più caratterizzante del neutro Nottingham?

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