Nel post di un paio di settimane fa (link) mi sono divertito a mettere in discussione le mie certezze, chiedendomi cosa caratterizzi davvero una Pilsner ceca. La risposta non è affatto banale – a mio avviso. O meglio, la versione estremamente banale esiste – più maltata, più rotonda, più erbacea, leggeri esteri -, ma non mi ha mai convito più di tanto.
Non sono arrivato a una conclusione definitiva, ma poco importa. Quello che conta è il viaggio, purché prima o poi si arrivi a destinazione. C’è ancora tempo per arrivarci, nel frattempo vediamo quali sono state le mie tappe.
Le ricette
Senza considerare la prima Czech Pils (rifermentata) che feci quasi dieci anni fa (link), senza particolare cognizione di causa, le versioni che posso mettere a confronto sono le seguenti quattro:
- Batch #141 / Decoction Rocks (qui la ricetta)
- Batch #153 / Nový Pivo (prima versione, qui la ricetta)
- Batch #167 / Nový Pivo (seconda versione, qui la ricetta)
- Batch #168 / Nový Pivo (terza versione, qui la ricetta)
Si tratta di quattro birre riuscite nel complesso abbastanza bene, equilibrate e piacevoli da bere. L’ultima ha avuto qualche problema di fermentazione (l’ho raccontato in questa uscita della newsletter), ma tutto sommato si è salvata. Le ricette si differenziano principalmente per quattro aspetti:
- impiego o meno della decozione
- ingredienti tedeschi o cechi
- utilizzo di malti speciali oppure no
- ceppo di lievito utilizzato
L’acqua utilizzata è sempre la stessa, ovvero l’acqua di Roma osmotizzata con aggiunta dei sali per arrivare a una concentrazione minima di calcio intorno alle 50 ppm (il profilo dettagliato è disponibile nelle ricette). La logica che ho seguito è stata quella di cercare di capire quanto l’origine dei malti e dei luppoli, la decozione e l’utilizzo di malti speciali potessero avere davvero un impatto sul profilo organolettico.
Ho riepilogato i principali dati delle ricette nella tabella che segue (cliccando sull’immagine, si può ingrandire).
Gli assaggi
Premetto subito che i vari assaggi sono stati fatti in tempi diversi e senza confronti alla cieca. Ho cercato di rimanere il più obiettivo possibile, ma ovviamente il bias (detto anche condizionamento) ha sicuramente giocato un ruolo nelle mie percezioni.
Non sempre sono riuscito a ricondurre le mie percezioni a una specifica decisione presa sulla ricetta, o a quanto accaduto durante la produzione. Alcuni assaggi mi hanno dato impressioni in contrasto con quanto mi sarei aspettato come conseguenza delle decisioni prese a monte della ricetta. Del resto, gli ingredienti sono prodotti naturali che variano da produttore a produttore, da stagione a stagione, che subiscono anche gli effetti della conservazione. E il processo casalingo, per quanto rigoroso, non sarà mai ripetibile al 100%.
Vediamo – in estrema sintesi – cosa è venuto fuori dagli assaggi.
Cosa mi porto a casa
Al di là sei singoli elementi evidenziati nella tabella sopra, mi sento di poter fare alcune considerazioni generali. L’acqua leggera la do per scontata.
La decozione, in sé, non è necessariamente un elemento differenziante. Con questa affermazione, che farà storcere il naso a molti, voglio dire un paio di cose. Primo, che non esiste un solo tipo di decozione: le variabili in gioco nel processo, come la numerosità e la durata degli step di decozione (ma anche la strumentazione usata per farla), sono molteplici. Nel mio caso, l’impatto non mi è sembrato significativo. Ma ho fatto due soli step da 15 minuti sul pentolino della cucina. Avrei potuto farla in mille altri modi. Secondo, l’effetto della decozione su diversi tipi di malto (meno modificati, malti speciali) è sicuramente diverso. Quindi: per come l’ho fatta io, la decozione non mi è sembrata la svolta del secolo. Siccome mi fa perdere un sacco di tempo, sto lavorando sulla ricetta per far uscire il malto senza decozione. Non so se ci riuscirò, ma – per ora – penso di continuare su questa strada.
L’impatto della fermentazione non mi è sembrato epocale. Questo potrebbe essere un mio bias, perché è una cosa che penso da sempre. Quando parliamo di lieviti a bassa fermentazione, l’impatto a livello organolettico è piuttosto ridotto. In molti casi, a mio avviso, è davvero difficile sentirlo. Anche per questo mezzo mondo utilizza il W34/70 per fare qualsiasi birra a bassa fermentazione. Sono stato criticato per l’utilizzo di un lievito “moderno” – come il Novalager – su uno stile classico. Ci sta, ma l’ho trovato molto adatto e continuerò a usarlo. Farò anche altre prove con il Munich Lager secco della White Labs, visto che quella che ho fatto (il batch #167) non può considerarsi un test affidabile dato che alla fine ho dovuto aggiungere l’Einstein della WHC per far partire la fermentazione.
Ho trovato molto efficace lavorare sul bilanciamento dolce/amaro. L’effetto combinato di un maggiore residuo zuccherino e un livello di amaro deciso può – sempre secondo me – contribuire a dare quel tocco “ceco” a questo tipo di pils, aumentando la sensazione di corpo e rotondità, senza scadere in un finale estremamente dolce o troppo amaro. L’equilibrio è delicato e non facile da raggiungere, ma mi è sembrato un aspetto su cui vale la pena lavorare. L’utilizzo di malti speciali, il mash a temperature più alte e lieviti meno attenuanti aiutano in questo senso. Ma l’amaro va ben bilanciato, cosa che non sempre mi è riuscita benissimo. Anche perché le lagerizzazioni abbastanza lunghe – importantissime per rendere la birra più morbida – tendono a ridurre l’amaro. Questo va tenuto in considerazione.
L’origine degli ingredienti non fa necessariamente la differenza. Per una birra ceca vanno utilizzati ingredienti cechi! Me lo hanno ripetuto tante volte, e l’ho anche fatto (vedi il batch #153). Hanno fatto la differenza? Si e no. Il contributo dei malti di Záhlinice non mi è sembrato particolarmente rilevante. Mentre quello del luppolo Saaz di Svoboda-Fraňková mi ha dato maggiore soddisfazione. Il floor malted della Weyermann non mi ha stupito, il pils della Durst l’ho usato solo perché me ne hanno regalato un sacco da diversi Kg e non mi andava di buttarlo, ma non mi ha convinto nemmeno questo. Il succo della questione, secondo me, è che gli ingredienti sono sicuramente importanti, ma non lo è necessariamente la regione d’origine. La freschezza, specialmente per i luppoli, è un elemento fondamentale. Per i malti, devo ancora capire quale malto base mi convince di più. Probabilmente non il Durst.
L’utilizzo di malti speciali mi ha convinto. Raggiungere un buon profilo da pils ceca solo con malto pils lo trovo molto difficile. Magari con lunghe bolliture (addirittura a fiamma diretta) e decozioni particolari ci si arriva. Nel mio caso, non è stato così. Devo ancora capire bene la combinazione di malti speciali da utilizzare (certamente non utilizzerò crystal). Da quello che so, anche in Repubblica Ceca viene utilizzato parecchio il Monaco. Il Melanoidin l’ho messo perché anche questo mi è stato regalato. La percentuale è molto bassa, ma forse un piccolo contributo ad alzare la FG l’ha dato. E forse pure un boost al malto. Per ora il mix dei malti mi piace, vorrei provare a lasciarlo cambiando il produttore del pils.
Le gettate di luppolo prima dei 15 minuti non servono a una mazza. Dici: e allora perché le hai fatte in ben due cotte? Perché le raccontano in alcuni video di České Budějovice (Budweis). Ho voluto provare, ma mi sembra davvero uno spreco di luppolo. Forse potrebbe avere senso con l’utilizzo di luppolo in coni, per via della maggiore materia vegetale che potrebbe dare un contributo al mouthfeel. Finché continuerò a usare i pellet, le eviterò. Invece, credo che rimetterò in ricetta l’hop stand di 15 minuti a 75°C della prima cotta.
In conclusione
Mi sembra evidente come la questione sia piuttosto complicata. Non ho sviluppato certezze inossidabili da raccontare, ma il percorso si sta facendo interessante. Alla fine, sono sempre uscite birre molto piacevoli da bere, quindi vale la pena continuare su questa strada.
Nella prossima cotta, che non sarà una Czech Pils, stavolta, ma una Helles Export, proverò a utilizzare nuovamente il lievito secco Munich Lager della White Labs. Stavolta con un pitching adeguato (due bustine per 10 litri). Vediamo se riesco a capirci qualcosa. In molti osannano questo lievito, ma i miei dubbi restano.
Con questa sferzata di ottimismo, vi saluto e vi auguro buone feste. Il blog va in pausa fino a lunedì 13 gennaio. La newsletter potrebbe continuare a uscire, non so se nella sua forma regolare – ogni martedì – oppure con uscite saltuarie, quando avrò qualcosa da raccontare. Nel frattempo, probabilmente, aggiungerò una o due ricette al mio ebook Homebrew To Style, sempre disponibile in pdf per il download gratuito.
Ci vediamo nel 2025!