Questo è il secondo di due post dedicati a chi si sta avvicinando al mondo della produzione casalinga di birra. L’idea è raccogliere in un unico punto gli articoli del blog indirizzati ai principianti, organizzandoli per categorie.

Il primo post è dedicato ad attrezzatura e processo, questo secondo approfondisce gli ingredienti. Chiude con qualche consiglio e link per creare al meglio le ricette.

Parte seconda – ingredienti e ricette

Qui la prima parte, su processo e attrezzatura.

MALTI E CEREALI

Scegliere i malti da utilizzare in ricetta è un’ardua impresa. La varietà, tra livelli di tostatura, cultivar (ovvero famiglia botanica del cereale) e produttori è vastissima. Orientarsi non è facile, anche per chi ha anni di esperienza sulle spalle.

Al di là delle differenze – più ovvie – tra un malto Pilsner (meno tostato) e un Pale (leggermente più tostato), i malti base possono differire per le cultivar del cereale (basta pensare al Maris Otter e al Golden Promise). Le sfumature sono quasi impercettibili, ma vale la pena ragionarci su.

Tra le opzioni di scelta, troviamo anche i cereali non maltati. Se in alcune ricette hanno un senso, sia storico che organolettico, in molti casi vengono utilizzati a sproposito. Un esempio classico sono i fiocchi di grano, usati per rinforzare la schiuma. Funziona davvero? La risposta breve è: no, non servono per questo scopo. Quella più lunga è qui. Ma allora, a cosa servono? Qui la risposta.

Anche per i malti speciali la scelta non è semplice. Anzitutto, è bene comprendere la differenza tra malti crystal e malti caramel, che ho spiegato qui.

Un aiuto per può arrivare dalle schede dei produttori, in particolare dalle ruote aromatiche della Weyermann. Leggerle una per una non aiuta moltissimo, ma se le mettiamo in fila possono rivelare informazioni importanti. In questo post ho provato a ragionare sui profili aromatici di alcuni malti speciali del produttore tedesco.

L’esperienza personale gioca un ruolo molto importante sulla scelta di un malto rispetto ad un altro e sulle quantità da utilizzare. Il mio approccio è andare a cercare ricette che possano essere prese come riferimento, sia mie che di altri (da fonti affidabili come questa, non prese a caso dai forum di internet). In questo post pubblicai una tabella con le percentuali di malto che ho utilizzato in diverse ricette, utile da tenere come riferimento.

Infine, una guida per utilizzare al meglio i malti in una ricetta.

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Conservazione del malto sottovuoto

LUPPOLO

Su questo ingrediente sono stati scritti interi libri, come questo di Scott Janish. Un testo davvero interessante – quasi una bibbia – non adatto però per chi è alle prime armi: finirebbe solo per confondere le idee. Per un primo approccio, penso sia meglio rimanere con i piedi per terra e non complicarsi troppo la vita.

Partiamo da alcune considerazioni di base per utilizzare al meglio il luppolo, per poi andare a ragionare nello specifico su come scegliere i luppoli da aroma.

A un certo punto, perso tra le decine di varietà disponibili, tentai anche di rappresentare i vari luppoli su un foglio Excel, prendendo come riferimento gli aromi primari e secondari. Venne fuori un bel lavoro, che però non sono riuscito a tenere aggiornato. Rimane comunque un documento utile.

Qui, una guida (in due parti) di consigli pratici per abbinare i luppoli in ricetta, in particolare per le IPA. Se ci spostiamo nel mondo delle New England/Hazy IPA (le famose NEIPA), la questione si fa decisamente complicata. Non è un tema da principianti, ma se interessa ne ho parlato approfonditamente in un altro lungo articolo diviso in due parti.

Pe quanto riguarda nello specifico il dry hopping, in questo articolo ho messo a confronto tre mie birre riflettendo su quantità e modalità di dry hopping.

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ACQUA

Per chi fa birra da kit, il tema dell’acqua non è particolarmente importante. Il mosto è già stato prodotto nella forma di estratto (liquido o secco), l’impatto dell’acqua con cui lo andremo a diluire è trascurabile. Per carità, è bene usare acqua che non contenga dosi eccessive di cloro, ma in generale qualsiasi acqua del rubinetto può andare bene.

Se invece si è già passati alla tecnica all grain, l’acqua inizia ad avere un ruolo importante nel processo di produzione. La prima cosa importante da fare è attrezzarsi per misurare e controllare il pH di ammostamento (non quello dell’acqua in sé).

Ci servirà un buon misuratore di pH. Consiglio di lasciar perdere le cartine tornasole – tanto vale non misurare il pH affatto – e investire su un buon misuratore di pH da subito. Qui una guida alla scelta del pHmetro. Qui una recensione dettagliata del Milwaukee MW101, il pHmetro che utilizzo ormai da tantissimi anni con grande soddisfazione.

Per comprendere le dinamiche del pH durante l’ammostamento, bisogna avere chiaro il concetto di alcalinità residua (che ho spiegato qui) e del pH di ammostamento, per poi approfondire la gestione del pH lungo tutta la catena produttiva: dall’ammostamento alla birra finita.

Una volta imparato a gestire il pH (elemento critico per la produzione), si può iniziare a ragionare sulla modifica dei sali nell’acqua. Attenzione a non farsi prendere la mano con le acque storiche, di cui è fondamentale capire il ruolo storico piuttosto che copiarne il profilo tale e quale.

Ormai tutti i programmi di ricette (tra cui Brewfather) gestiscono la modifica dei sali nell’acqua. Si possono utilizzare programmi dedicati, come il foglio Excel Bru’n Water, ma non è necessario.

Per chi volesse approfondire il tema dell’acqua a tutto tondo, sul canale YouTube del progetto Homebrewing Experience, è stata pubblicata una mia lezione di diversi anni fa sul tema dell’acqua. Dura un’oretta, ma riassume tutto quello detto fin qui.

Infine, ricordiamoci che si possono fare buone birre anche senza gestire il pH o gestendolo male. Ci vuole un po’ di fortuna, ma non è del tutto impossibile. A me è capitato.

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LIEVITO E FERMENTAZIONE

La fermentazione è la fase più delicata nella produzione di birra. Un errore in questa fase andrà a compromettere irreparabilmente il prodotto finito. Risulta quindi molto importante impegnarsi da subito nel gestire la fermentazione in maniera ottimale.

Anzitutto, la scelta del lievito. Per chi è agli inizi, consiglio di non lanciarsi subito sui lieviti liquidi. Esistono ormai tantissimi ceppi di lieviti secchi molto validi, la scelta è vasta. Non è affatto vero che un lievito liquido sia in assoluto migliore di uno secco: dipende da quello che si vuole ottenere.

Eccone alcuni da cui consiglio di partire:

  • Alta fermentazione con profilo di fermentazione neutro (luppolate o anche stout): Lallemand BRY-97, Lallemand Verdant IPA o Fermentis US05.
  • Basse fermentazioni (lager): Fermentis W34/70 o Novalager della Lallemand: entrambi lieviti che mediamente non producono difetti come diacetile o zolfo.
  • Stili inglesi: Fermentis S04 e Pinnacle Heritage sono piuttosto validi. Occhio a non fermentare troppo alto, consiglio tra i 16-18°C per i primi due-tre giorni.
  • Belgio: Fermentis BE-134 e Lallemand Belle Saison sono ottimi ceppi per le Saison; con Fermentis T-58 e Lallemand Abbey si possono produrre discrete Blond Ale e Tripel; il BE256 è ottimo per Dubbel e Belgian Dark Strong Ale.

In questo post ho detto la mia su alcuni ceppi di lieviti secchi (tra cui alcuni citati nei punti precedenti). Per sapere se e come ho utilizzato un certo lievito in qualcuna delle mie ricette (che trovate qui), potete fare riferimento al DB dei lieviti che aggiorno costantemente con nuovi ceppi, man mano che li utilizzo.

I lieviti secchi hanno anche il vantaggio di non avere bisogno di ossigenazione prima dell’inoculo. Anche la reidratazione non è necessaria, basta inoculare un po’ più di lievito. Quanto? Ne ho parlato qui.

Prima di passare all’utilizzo dei lieviti liquidi, consiglio di leggere questo post, un po’ datato ma ancora valido nei concetti generali. Ne scrissi anche una seconda parte,  aggiornata ai nuovi formati Pure Pitch messi in commercio dalla White Labs.

In ogni caso, prima di avventurarsi nel mondo dei lieviti liquidi, è fondamentale imparare a fare uno starter.

Per quanto riguarda la gestione della fermentazione, qui ho raccolto consigli su starter, lieviti e gestione delle temperature.

Ultimo, ma non meno importante, il post più letto di sempre tra quelli del blog: fermentazione bloccata, cosa fare?

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RICETTE

A un certo punto, arriverà l’esigenza di creare le proprie ricette. La considero senza ombra di dubbio la parte più divertente e creativa di questo hobby. Seguire le proprie ricette che prendono forma e arrivano finalmente nel bicchiere, dopo mesi di impegno e palpitazioni, è davvero emozionante.

Per partire con il piede giusto, consiglio di guardare questo video del canale Homebrewing Pills, in cui racconto il mio metodo per scrivere le ricette. A questo tema abbiamo anche dedicato una puntata di MashOut! Podcast.

Le mie ricette sono raccolte nella pagina dedicata, con le varie prove che ho fatto nel tempo. Le migliori le sto raccogliendo in un ebook (Homebrew To Style, in inglese), disponibile per il download gratuito. Nello stesso pdf c’è anche la guida passo passo per trascrivere le ricette su Brewfather, uno dei software più diffusi per la creazione e gestione delle ricette.

Se dopo aver letto questi due lunghi post avete ancora voglia di approfondire, non resta che passare al mattone da 400 pagine che ho scritto insieme ad Angelo Ruggiero: Fare la birra in casa. Guida completa per homebrewer del terzo millennio. Ediz. ampliata

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