Le giurie dei concorsi homebrewer sono da sempre un mio pallino. Se ne parla troppo poco, lasciando commenti e critiche alle chat WhatsApp con i soliti due o tre amici, oppure alle chiacchiere da birra attorno al tavolo di un pub.
Invece, secondo me, ha senso parlarne e alimentare la discussione. Senza necessariamente criticare questo o quel concorso in particolare, ma ragionando su metodi e impostazione. C’è sempre spazio per migliorare, se lo si vuole.
Il focus di questo post sono i concorsi per homebrewer, di cui sento di poter parlare con cognizione di causa dopo anni di esperienza come partecipante, organizzatore e giudice. I concorsi pro — di cui ho pochissima esperienza — seguono logiche e approcci totalmente diversi, che in larga parte non sono applicabili al mondo dei concorsi per homebrewer.
Provo a buttare giù un paio di riflessioni come spunto di discussione. Criticabili, ovviamente: siamo qui per questo. Sono curioso di sentire le opinioni di tutti.

Il problema dei concorsi a stile libero
Partiamo dalla radice, da quello che secondo me è il problema alla base del funzionamento maldestro di molti concorsi per homebrewer: i fantomatici concorsi a stile libero, dove è possibile iscrivere birre in qualsiasi stile.
Stile libero non è da intendersi come “senza stile di riferimento”. Semplicemente, si prende un riferimento per gli stili e si chiede agli homebrewer di dichiarare lo stile a cui si sono ispirati per la birra che hanno iscritto al concorso.
Molti concorsi per homebrewer sono impostati così e prendono come riferimento le linee guida del BJCP. Sebbene qualcuno odi gli stili e il BJCP (qui un esempio, ma ce ne sono tanti altri), la classificazione stilistica rimane secondo me fondamentale per un concorso birrario.
Senza un chiaro riferimento stilistico (anche minimo, come fa la Brewers Association) la valutazione delle birre diventerebbe eccessivamente soggettiva (mi piace/non mi piace) o puramente tecnica e basata quindi sull’assenza o presenza di difetti.
Avrebbe senso? Sì e no. Più no che sì, per come la vedo io.
Qualcosa del genere accade già quando capitano al tavolo birre particolari in un concorso a stile, come quelle con aggiunta di spezie, gli stili misti, le sperimentazioni stilistiche. Se non viene indicato lo stile base (e spesso è così, perché chi organizza il concorso non dedica la giusta attenzione in fase di iscrizione delle birre), al giudice non rimane che valutare la birra in base all’equilibrio complessivo e all’assenza di difetti tecnici.
Per carità, quando ci sono di mezzo i sensi non può essere mai garantita l’oggettività. Ma così facendo ci si allontana parecchio.
Un approccio di valutazione senza stili può anche risultare interessante e viene in effetti applicato in una nicchia di concorsi come quelli dedicati alle birre di Natale, alle birre con luppolo fresco, a quelle con un ingrediente speciale. Se però venisse esteso a concorsi più grandi, giudici e organizzatori si troverebbero in difficoltà.
È molto difficile sostenere la validità di una birra tecnicamente perfetta rispetto a un’altra, sempre tecnicamente perfetta, senza un riferimento stilistico, specialmente se le due birre sono completamente diverse in termini di profilo organolettico. Saremmo, appunto, al mi piace/non mi piace. Criterio che farebbe accapigliare i giudici più di quanto accada già.
I gusti non si discutono, l’aderenza allo stile sì.
Il problema, però, è che gli stili sono tantissimi. Parliamo di decine e decine di stili diversi, alcuni molto simili tra loro. In un concorso a stile libero, un giudice può trovarsi sul tavolo stili che vanno da una delicatissima Munich Helles tedesca a un muscoloso Wheatwine americano.
Chi ha mai bevuto un Wheawine americano? Io ne ho bevuti sì e no un paio (Eastside e De Molen), e farei molta fatica a valutarne uno. Spoiler: no, non ha affatto l’aroma del grano come è scritto nel BJCP, sembra un normale Barleywine. Bisogna averne bevuti per poterli giudicare, non basta leggere una descrizione il giorno del concorso.

Dove lo trovi un giudice esperto di tutti gli stili birrari? È dura. Se a volte escono schede deliranti dai concorsi a stile libero, è perché chi è seduto al tavolo si trova davanti una Cream Ale e non sa nemmeno cosa sta bevendo. Se va bene, apre il BJCP e segue le linee guida, ma è comunque difficile. Più spesso, semplicemente scrive robe come “questa Cream Ale non è abbastanza cremosa“, poi va a farsi sedici birre al bancone. Fun Fact: le Cream Ale sono tutt’altro che cremose.
I concorsi a stile libero sono un calvario per i giudici, anche per quelli bravi. Lo sono, in particolare, se al tavolo sono presenti birre di stili totalmente diversi senza alcuna ripartizione a monte. È vero, la giornata di giuria diventa più varia e divertente, ma mi sento di dire che andare a divertirsi non dovrebbe essere lo scopo primario del giudice. Per carità, ci sta la componente ludica e ricreativa, ma dovrebbe rimanere secondaria e al di fuori del tavolo di giuria. Magari prima o dopo. Anzi, meglio dopo.
È chiaro che i concorsi a stile libero portano più partecipanti. Si può iscrivere qualsiasi birra, non c’è bisogno di prepararne una dedicata. Più partecipanti significa più risonanza per il concorso, più sponsor e più premi per gli homebrewer.
Abbiamo battuto il record di birre iscritte! Sì, d’accordo. Ma siamo sicuri che gli homebrewer si iscrivano per i premi? Che gli sponsor servano a tutti i costi? Ma, soprattutto, dove li trovi giudici adatti a un’impresa del genere?
Appunto, non li trovi.
Il problema della selezione dei giudici
Come si scelgono i giudici per un concorso? Non è facile. La selezione di una giuria dovrebbe essere un’attività ragionata e attenta. È facile sbagliare, indirizzandosi su persone che vantano titoli altisonanti ma che poi, nella pratica, le uniche birre che hanno assaggiato sono gli esempi di stile prodotti dal birrificio sotto casa.
Purtroppo, i titoli da soli dicono molto poco.
In Italia, i più diffusi sono:
- Beersommelier della birra, che può corrispondere a titoli diversi rilasciati dall’Accademia delle professioni di Padova, dall’Associazione Italiana Sommelier e dalla Doemens in Germania. I tre percorsi sono totalmente diversi l’uno dall’altro e i tre titoli, sebbene portino lo stesso nome, non sono equivalenti.
- Unionbirrai Beer Taster (UBT), titolo rilasciato da Uniobirrai.
- Giudice BJCP, titolo rilasciato dal Beer Judge Certification Program, diviso in 5 livelli.
- Il meno diffuso – almeno in Italia – Cicerone, rilasciato dal programma americano Cicerone, diviso in 4 livelli. Chi passa solamente il livello 1, però, non prende il titolo di Cicerone ma di Certified Beer Server. Al momento, di Cicerone certificati in Italia ce ne sono tre.
Non ho le conoscenze per poter commentare o criticare la validità dei singoli percorsi formativi. Conoscendo però da diversi anni il programma BJCP e avendo incontrato molti giudici certificati BJCP nel corso degli anni, posso dire con confidenza che, nel caso del BJCP, il titolo in sé non dice molto sulla qualità del giudice. Purtroppo, aggiungo. Ho il sospetto che questo discorso valga anche per gli altri percorsi formativi.
Diventare giudice BJCP di livello base (Recognized, ma anche Certified) non richiede particolari competenze. L’esame, sebbene impegnativo, si supera con facilità. Direi che è quasi impossibile venire bocciati, per come è strutturato l’esame. È anche molto difficile passare ai livelli più alti – da National in su – che richiedono maggiore esperienza e, soprattutto, un impegno di studio piuttosto consistente.
Ma al di là della difficoltà dei singoli percorsi di certificazione (ripeto, non posso giudicare gli altri perché non li conosco nel dettaglio), è chiaro che la molteplicità di titoli non facilita la vita a chi deve scegliere una giudice per un concorso. Ho incontrato persone con varie certificazioni che poi si sono rivelate giudici con scarsa esperienza, mentre conosco persone a cui delle certificazioni non frega nulla ma hanno alle spalle anni e anni di esperienza e viaggi birrari alla ricerca di stili e usanze di altri paesi.

È chiaro che, da organizzatore di un concorso, preferirei un giudice bravo ma senza certificazioni a un Recognized BJCP (il livello base del BJCP) che ha passato l’esame con il minimo sindacale, scrive delle schede di assaggio orrende e va a cercare il diacetile per definire un esempio classico di Pils ceca. Ma come fare a distinguerli?
Bisogna ricercare, conoscere, frequentare le giurie. Esserci. Leggere le schede che vengono prodotte dai giudici e avere il coraggio di non chiamare nuovamente un giudice se non si è rivelato all’altezza. Mi rendo conto che non è facile, ma c’è chi lo fa e lo fa anche bene, con giurie che salgono di qualità anno dopo anno e homebrewer soddisfatti che ricevono schede dettagliate con tanti suggerimenti per migliorare.
Che lo si voglia o no, nei concorsi per homebrewer la compilazione della scheda di valutazione ha ancora importanza. Ed è importante chiamare giudici che hanno la voglia e le capacità di dare una forma strutturata alla valutazione delle birre che si trovano al tavolo, a prescindere dalla formazione che hanno.
I giudici BJCP sono formati per questo, gli altri meno, ma non è detto che i primi siano validi o che i secondi non siano in grado di compilare una scheda BJCP. Evitiamo, però, di continuare a chiamare chi non vuole o non sa farlo. Oppure, evitiamo di usare le schede BJCP. Saranno gli homebrewer poi a decidere se preferiscono un voto senza alcuna giustificazione e la gloria di un primo posto, oppure una scheda ben compilata e un parere esperto e attento da parte di un giudice che si impegna nel compito che è chiamato a svolgere.

Lo stai facendo bene
C’è – secondo me – chi sta facendo un ottimo lavoro, mettendo in piedi concorsi e giurie che prestano grande attenzione alle birre iscritte, agli stili selezionati, ai giudici, alla compilazione delle schede. Concorsi in cui i giudici vengono presentati in anticipo, gli stili in cui iscrivere le birre circoscritti, il limite di iscrizioni mantenuto entro un numero gestibile.
Queste piccole attenzioni aiutano a rendere più solida la giuria, per tante ragioni. Gli stili circoscritti permettono ai giudici di focalizzare la preparazione prima della giuria con assaggi e ripassi mirati degli stili (in pochi lo fanno, ma sono i giudici che chiamerei); il numero ridotto di birre permette di gestire meglio la giornata di giuria, con meno birre ai tavoli e più tempo per ragionare; la comunicazione in anticipo dei giudici rivela attenzione nella selezione, ma anche trasparenza verso gli homebrewer che iscrivono le birre al concorso.
Individuare i concorsi virtuosi è facile: basta guardare le schede che si ricevono a fine concorso per capire dove non tornare, e dove invece tornare con entusiasmo.




Concordo e aggiungo che a mio parere nei concorsi HB (magari da qualche parte è già così non so) dove ci stanno giudici certificati, per aumentare la loro capacità di scrittura di una scheda, sarebbe meglio che partecipassero anche giudici di esperienza per aiutarli nel metodo (del resto l’esperienza così si fa). Altra proposta potrebbe essere quella di farli assistere a giudizi di giudici di esperienza durante concorsi più grandi. Invito anche i neo giudici a non fermarsi al giudizio e continuare a frequentare pub, beer house e viaggiare nei luoghi della cultura birraria. Il Bjcp non è la bibbia è il riferimento necessario per allocare lo stile ad un riferimento storico/tecnico durante un concorso e persino per fare ordine durante la scelta di una birra. Magari mi sbaglio ma è la mia umile opinione.
Potrebbe essere un’idea, in effetti.