La prima volta che l’aggettivo “ibrido” riferito al lievito ha fatto click nella mia testa è stato con la presentazione del ceppo Farmhouse della Lallemand, di cui scrissi diverso tempo fa in un altro post. Non che non avessi mai sentito parlare di lieviti ibridi prima, ma in qualche modo la questione non mi aveva colpito.

Da quel giorno ho iniziato ad aguzzare la vista e a tendere l’orecchio, intercettando un interesse sempre maggiore in ambito birrario per questa tipologia di lieviti. Prima la Lallemand che ha sfornato un nuovo lievito ibrido, il Novalager, poi la Imperial Yeast che ne sta producendo diversi, tra cui il recentissimo Capri (pronunciato in americano con l’accento sulla i), e ancora la mia recente realizzazione che anche il Saisonstein della Omega Yeast è in realtà un ibrido.

Ultimo, ma non meno importante, un articolo pubblicato un mesetto fa su Beer&Brewing, a cura di Randy Mosher, dedicato proprio ai lieviti ibridi (dal titolo sembra centrato solo sui lieviti lager, ma affronta il tema dell’ibridizzazione in modo approfondito).

Insomma, è arrivato il momento di parlarne anche qui sul blog. Mi sono messo a studiare – di materiale ce n’è davvero tanto in rete – per cercare di capirci qualcosa. Come i lettori del blog ben sanno, non sono un chimico né tantomeno un esperto di microbiologia, ma nonostante questo cercherò di mettere insieme quello che ho capito relativamente a questa nuova tendenza che sta attraversando il mondo birrario, anche quello casalingo. Rettifiche, commenti, suggerimenti sono come sempre benvenuti. 

COME SI RIPRODUCE IL LIEVITO?

Devo dire che questo è un aspetto a cui non ho mai dedicato particolare attenzione. Da quello che ho imparato studiando il processo di produzione della birra, ho interiorizzato che le cellule di lievito si moltiplicassero tramite “budding“, ovvero una sorta di clonazione (tecnicamente si chiama in italiano gemmazione). Effettivamente è così, almeno nel processo che ci riguarda come produttori.

Una volta inoculate nel mosto, dopo la fase iniziale di adattamento (lag phase), le cellule iniziano a sdoppiarsi riproducendo copie esatte di se stesse, arrivando, al termine della fermentazione, a una popolazione 2 o 3 volte superiore a quella inoculata.

Tecnicamente, ho scoperto dopo, le cellule di lievito sono diplodi, ovvero contengono due serie complete di cromosomi. Il processo di sdoppiamento viene tecnicamente definito mitosi e crea una esatta replica del patrimonio genetico. Si riproducono così anche le cellule della pelle, dei muscoli, del sangue.

L’aspetto curioso è che le cellule di lievito possono anche riprodursi per meiosi, ovvero per via sessuata, partendo da cellule aploidi che contengono solo metà del set cromosomico. Ma da dove vengono queste cellule di lievito aploidi? Vediamo.

LA SPORULAZIONE

In natura, il lievito si trova spesso in condizioni di stress. L’assenza di nutrienti, come zuccheri fermentabili o fonti di azoto, è piuttosto comune. Quando le cellule si trovano in condizioni di stress, detta in inglese starvation, tendono a produrre delle spore. Le spore non sono altro che delle riserve di codice genetico incapsulate in una sacca molto resistente, chiamata asco, da cui il termine ascospore.

Sono paragonabili a delle scialuppe di salvataggio, dentro cui la cellula mette una parte del proprio DNA per mantenerlo inalterato anche in condizioni avverse. Le ascospore sono molto resistenti, riescono a sopravvivere per periodi molto molto lunghi in condizioni estremamente avverse. Quando trovano un terreno fertile e un’altra ascospora si uniscono, dando vita a una nuova cellula diploide che eredita le caratteristiche genetiche di entrambi i genitori, ricombinate.

Questo processo è alla base dell’evoluzione naturale: la mitosi genera copie esatte che non evolvono (se non per modificazioni genetiche casuali del proprio DNA), mentre la meiosi (riproduzione sessuata), favorendo lo scambio cromosomico, genera copie modificate del genoma, proprio come avviene per gli altri esseri viventi. Le più adatte alle condizioni ambientali sopravvivono e continuano a proliferare, le meno adatte si estinguono.

Darwin insegna.

Di fatto con la meiosi si verifica un mescolamento di due patrimoni genetici diversi. Ecco: questa, in estrema sintesi, è l’ibridizzazione.

Ascospores Hybrid Yeast Beer
Immagine da https://en.wikipedia.org/wiki/Ascus

IL LIEVITO LAGER COME ESEMPIO DI IBRIDIZZAZIONE

Probabilmente molti di voi hanno letto delle vicissitudini del Saccharomyces Pastorianus, ovvero il nostro amato lievito lager, nato come ibridazione tra due specie di Saccharomyces: il  Cerevisiae, che tutti conosciamo, e l’Eubayanus. Senza mezzi termini, si tratta di una vera e propria ibridizzazione.

Grazie a questo mix genetico, a un certo punto della storia birraria (probabilmente intorno al 1500 in Europa), i due ceppi si incontrano, sporulano, si accoppiano e danno vita una nuovo ceppo, il Saccharomyces Pastorianus. In realtà danno vita a diversi ceppi, ciascuno con eredità diverse acquisite dal mescolamento del DNA dei due ceppi originari. I due ibridi più utilizzati oggi in ambito birrario sono il Saaz e il Frohberg.

Entrambi ereditano dal ceppo Eubayanus la cosiddetta “cryotolerance“, ovvero l’abilità di lavorare a basse temperature. Questo fu il tratto che diede a questi ceppi un vantaggio enorme rispetto ai classici lieviti ad alta fermentazione, in quanto la fermentazione a basse temperature bloccava l’attività di lieviti e batteri contaminanti, rendendo la birra più pulita, bevibile e stabile. Parliamo ovviamente di un’epoca in cui le scoperte di Pasteur sulla fermentazione non erano ancora arrivate e si procedeva a braccio. Ai tempi, le contaminazioni nella birra erano all’ordine del giorno.

Il ceppo Frohberg, quello all’origine dell’affidabilissimo W34/70 che tutti ben conosciamo, eredita dai ceppi di origine (nello specifico dal Cerevisiae) anche un’altra caratteristica fondamentale: è in grado di fermentare il maltotrioso, che si traduce in una maggiore attenuazione. Birra più secca, meno dolce, tratto tipico delle Pilsner tedesche.

Il ceppo Saaz in questo senso rimane indietro, ma questo non lo rende meno importante nella storia birraria. Dal nome si intuisce facilmente come questo ceppo si sia maggiormente diffuso nelle zone nord-orientali dell’Europa continentale, in particolare nella Repubblica Ceca. Si tratta infatti del ceppo con cui vengono fermentate tipicamente le Lager Ceche che si differenziano da quelle tedesche, tra l’altro, proprio per il maggiore residuo zuccherino, un corpo più pieno e la dorsale maltata più intensa.

I ceppi Saaz e Frohberg sono rispettivamente triploidi e tretraploidi, ovvero contengono tre e quattro copie del proprio DNA. I lieviti ibridi che provengono da specie diverse, come il Frohberg e il Saaz, perdono quasi sempre la capacità di produrre spore, quindi rappresentano una sorta di veicolo cieco dal punto di vista evolutivo. Esistono modi per restituirgli l’abilità di riprodursi sessualmente (ovvero di spolurare) ma si tratta di tecniche avanzate di laboratorio.

Non si sa bene dove sia avvenuta questa ibridizzazione tra Eubayanus e Cerevisiae, se in qualche birrificio o in qualche grotta sperduta nel centro Europa . Ad oggi il ceppo Eubayanus, uno dei due “genitori” del Pastorianus, è stato individuato in Patagonia, nell’America del Sud, ma anche in Canada e in Nuova Zelanda. Non è ancora stato rilevato in Europa, ma questo non esclude che sia da qualche parte, magari nel fondo di una grotta, e che nessuno se ne sia accorto.

LE EVOLUZIONI MODERNE IN LABORATORIO

Come dice il Dr. Winans della Imperial Yeast in questa puntata del podcast di The Brü Lab, l’ibridizzazione in laboratorio è una sorta di evoluzione naturale accelerata. Si può eseguire in diversi modi, ma l’obiettivo principale è sempre lo stesso: ottenere una nuova linea cellulare che erediti caratteristiche specifiche da entrambe le cellule genitore.

L’ibridizzazione si può ottenere in diversi modi:

  • inducendo la sporulazione, ovvero mettendo il lievito in condizioni di assenza di nutrienti, ovvero in “starvation”. L’accoppiamento si può indurre semplicemente coltivando le cellule su un mezzo adeguato, oppure forzandolo (fusione di protoplasti). Questo secondo approccio è tuttavia considerato modificazione genetica in alcuni paesi
  • un metodo più semplice sfrutta il “rare mating“, ovvero la possibilità che lasciando fermentare due ceppi diversi, questi si uniscano in modo sessuato (mitosi) anziché dividersi in repliche esatte (meiosi). Come si intuisce dal termine stesso, è un fenomeno raro e richiede molte prove. È inoltre necessario gestire il processo in modo opportuno per poter distinguere le cellule ibride da quelle dei genitori alla fine del processo.

 

Nell’immagine sopra, tratta da questo interessantissimo approfondimento, sono rappresentati in maniera estremamente semplice i processi di “accoppiamento” descritti sopra: spora a spora, che da origine a cellule diploidi nel primo caso e tetraploidi nel terzo. Oppure rare mating, dove si accoppiano due cellule diploidi, grazie a un raro evento di perdita di eterozigosi.

Ovviamente non c’è alcun controllo su quali caratteristiche genetiche le cellule figlie erediteranno dai genitori, l’unico modo è coltivarle e verificare sul campo il tipo di ibridizzazione che si è ottenuto. La maggior parte dei tentaivi andrà a vuoto, ma a un certo punto si individuerà un ceppo con caratteristiche sufficientemente interessanti da essere replicato e utilizzato in birrificio.

È questo il caso ad esempio del Farmhouse della Lallemand, lievito ibrido che non produce composti solforosi, non è diastatico ma ha le caratteristiche aromatiche di un classico lievito belga (in genere diastatico e produttore di aromi solforosi).

O del Novalager, sempre della Lallemand, ibrido a bassa fermentazione che non produce composti solforosi ed è in grado di fermentare il maltotriosio. Si tratta di un nuovo ceppo ibrido ottenuto da Cerevisiae ed Eubayanus con una combinazione genetica diversa rispetto al Frohberg e al Saaz, chiamato Reinassence.

Oppure, ancora, il già citato Saisonstein della Omega Yeast, ibrido tra Belgian e French Saison. In questo caso un ibrido intraspecie tra due Saccharomyces Cerevisiae. Immagino erediti l’attenuazione e le performance fermentative del French (più performante) e un mix del profilo aromatico del Belgian e del French.

Oppure il Capri della Imperial Yeast, anche questo citato nell’introduzione, ibrido tra un ceppo Kveik (Loki) e un ceppo “juicy”, pensato per le Hazy IPA.

Vi eravate già resi conto di essere ormai circondati da ceppi ibridi? Sinceramente, io no.

I LIEVITI MOLTIPLICATORI DI TIOLI E LA MODIFICAZIONI GENETICHE  

Altro tema, a cui volevo solo accennare, è la modifica genetica di un singolo ceppo di lievito tramite tecnica CRISPR (si legge “crisper” con la E). Non si tratta di ibridizzazione, ma di modifica dell’espressione di alcuni geni in determinati ceppi di lievito.

Ne sono un esempio i lieviti della serie Thiolized della Omega Yeast (link), una famiglia di ceppi dove sono stati attivati particolari enzimi che permettono la liberazione dei tioli  durante la fermentazione, in modo da amplificare l’aroma tropicale della birra. I tioli sono composti dello zolfo, detti anche mercaptani, presenti nel luppolo (e non solo), che ricordano aromi tropicali o vicini all’uva spina e agli aromi del Sauvignon Blanc.

Thiolized Yeast
Alcuni ceppi della serie Thiolized della Omega Yeast

Questi lieviti possono considerarsi GMO, ovvero geneticamente modificati? Ci capisco molto poco su questo argomento, ma da quello che ho letto e ascoltato (ad esempio in questo link), la tecnica CRISPR è di fatto una mutazione indotta che non introduce DNA esterno. Con la tecnica CRISPR si induce l’organismo stesso a mutare in uno specifico punto del DNA.

Secondo quest’altro link, la natura GMO/NonGMO degli organismi modificati con la tecnica CRISPR dipende dal tipo di modifica indotta. La stessa Omega Yeast dice che, nel caso dei propri lieviti Thiolized, le modifiche hanno attivato enzimi già presenti nel lievito o comunque presenti in natura in batteri che vivono sulla pelle nell’uomo e non inducono altro che l’amplificazione di tioli già presenti nella birra. In questo senso, da quello che capisco, si può parlare di modificazioni “naturali” non classificabili come GMO.

Del resto qualsiasi ceppo di lievito, quando viene utilizzato multiple volte in fermentazioni successive, può mutare cambiando le proprie caratteristiche, come ad esempio la capacità di flocculare. In questo caso si tratta di mutazioni casuali, spesso indotte dall’ambiente in cui si trova a fermentare il lievito. Le mutazioni genetiche avvengono di continuo in natura. Ma questo è un altro tema di cui, ripeto, capisco molto poco. Quindi mi fermo qui.

Vi lascio con un interessante video di approfondimento su questa nuova tecnica CRISPR.

 

3 COMMENTS

  1. Ciao Frank, vedo che il Mangrowe Jack M54 Lievito per birre lager fermentate ad alta tipo questo Novalager non viene citato. Ne deduco quindi che non è un ibrido e funziona diversamente?
    Sarebbe interessante un confronto tra i due che dici?

    • L’M54 è un ceppo da California Common, che è un’altra cosa. Non mi risulta sia un ibrido, sono lieviti a bassa che vengono fatti lavorare a temperatura leggermente più alta per produrre birre in stile California Common. I confronti tra i lieiviti sono sempre difficili e dispendiosi in termini di tempo, anche perchè le variabili in gioco sono moltissime (pitching rate, OG, temperatura di fermentazione). Al variare di anche uno solo di questi parametri può cambiare totalmente la fermentazione. Quindi… no, confronti diretti non ne faccio. Per quello c’è Brulosopy 🙂

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