Era da un po’ che volevo riunire in un unico post le molte domande che ciclicamente mi vengono poste o che vedo ripetere regolarmente su gruppi e forum dedicati alla contropressione/isobarico. Risposte più dettagliate a molte di queste domande potete trovarle navigando nella sezione contropressione di questo blog (link), in alcuni casi ho segnalato i link a specifici post nelle risposte.
(1) I tubi della CO2 vanno sanitizzati?
Teoricamente, sì. Tutto ciò che entra in contatto con la birra andrebbe sanitizzato. Dice: ma nei tubi della CO2 non ci passa mica la birra! Vero, però il getto di CO2 è abbastanza veloce da trasportare nella birra eventuali microrganismi che potrebbero trovarsi sulle pareti interne dei tubi. È anche vero però che nei tubi della CO2 non restano residui di birra, quindi lieviti o batteri non troverebbero nutrimento per creare colonie e moltiplicarsi. Rimarrebbero eventualmente piccole cellule isolate che avrebbero difficoltà a replicarsi se finissero in una birra già fermentata (eventualità tuttavia non impossibile).
Inoltre, considerando che prima di collegare un tubo di CO2 al keg con dentro la birra lo si deve spurgare per bene cercando di eliminare l’aria dal suo interno, è probabile che eventuali microrganismi si disperdano nell’aria con il flusso di CO2 prima di entrare in contatto con la birra.
La CO2 tende anche a uccidere lieviti e batteri, ma per farlo devono essere applicate alte pressioni in ambiente saturo di CO2 per un determinato periodo di tempo, cosa che non si realizza in genere all’interno dei tubi.
In conclusione: io non li sanitizzo, mi limito a tenerli molto puliti e a cambiarli ogni tanto. Anche perché sanitizzandoli potrebbero rimanere umidi, cosa ancor più pericolosa per lo sviluppo di muffe.
(2) Quanto devo attendere perché la mia birra sia carbonata forzatamente?
Non esiste una legge universale, poiché la velocità con cui la CO2 si solubilizza nella birra varia in relazione alla temperatura del liquido, alla pressione applicata e alla superficie di contatto tra CO2 e birra.
Quello che faccio io per carbonare forzatamente i miei fustini da 10L: collego la bombola, applico CO2 con una pressione di 30 psi e stacco. Lo faccio in genere prima del cold crash, in modo da non creare pressione negativa durante il raffreddamento rischiando di pescare aria dall’esterno. Una volta in cold crash, applico nuovamente 30 psi e stacco di nuovo. In genere, con queste due applicazioni di CO2, la birra si stabilizza intorno ai 10 psi a 5°C (la temperatura del frigo in cui tengo i fusti), che sono circa 2.3 volumi di carbonazione. Sufficiente in molti casi.
Se me ne servono di più, collego nuovamente la bombola ma stavolta senza arrivare a 30 psi, per non rischiare sovracarbonazione. Semplicemente imposto i psi desiderati (es. 13 psi se voglio arrivare a 2.5 volumi a 5°C) e poi stacco. Lo faccio un po’ di volte fino a quando non si stabilizza. Evito di lasciare la bombola aperta e collegata perché eventuali perdite mi svuoterebbero la bombola.
Quanto ci metto? Il tutto si realizza in massimo quattro/cinque giorni, ma non mi pongo nemmeno il problema perché siamo in fase di winterizzazione/lagerizzazione, la quale secondo me – in ogni caso e per qualsiasi stile di birra – non dovrebbe durare meno di una settimana. Molte volte serve più tempo per avere una birra con una limpidezza decente.
Applicare alta pressione per meno tempo velocizza la solubilizzazione della CO2, ma ovviamente comporta un rischio di sovracarbonazione se non ci si ferma per tempo. Quando fermarsi non si può definire a priori, si va a intuito: meglio staccare prima e finire di carbonare piano piano alla giusta pressione, piuttosto che staccare tardi e trovarsi con birra troppo carbonata (desaturarla è lungo). Come si evince dal grafico qui sotto (il numero di giorni e le pressioni sono solo di esempio), l’alta pressione iniziale velocizza la solubilizzazione della CO2 ma si rischia di sovracarbonare se si continua ad applicare la stessa pressione troppo a lungo.
In conclusione: dipende da molti fattori. In media, senza scorciatoie per sbrigarsi a tutti i costi, nel giro di massimo una settimana si riescono a carbonare facilmente 20 litri di birra.
E se uno volesse fare tutto più velocemente? Si potrebbe provare con la pietra porosa inox.
(3) E se usassi la pietra porosa inox?
La pietra porosa inox si collega a un terzo ingresso posto nel coperchio del keg oppure si ricorre a un raccordo a tee sull’ingresso della CO2 se stiamo utilizzando un Fermzilla (vedi foto).
Il concetto è aggiungere una terza via per la CO2 a cui collegare il tubo con la pietra porosa che deve essere immersa nella birra. La pietra serve per ridurre il volume delle bolle di CO2 e facilitarne la solubilizzazione nella birra. Questo permette di ridurre notevolmente i tempi di carbonazione. Non ho mai provato, ma se la birra è fredda potrebbero bastare poche ore. Attenzione a non sovracarbonare se applicate alti psi (rimando a quest’altro post con approfondimento sulla carbonazione forzata).
Svantaggi? La pietra sul fondo del fusto può rimettere in sospensione il lievito. Inoltre, alcuni sostengono che favorisca la formazione di schiuma nel keg, il che potrebbe creare problemi successivamente alla schiuma nel bicchiere per via di alcune proteine che escono dalla soluzione (a me questo sembra un mezzo mito, ma lo riporto per completezza).
Ricordatevi di misurare prima la “wetting-pressure” della pietra ovvero quanti psi servono per far passare la CO2 nella pietra porosa. Questa prova si fa mettendo la pietra sul fondo del keg riempito di acqua, segnandosi quanti psi bisogna impostare sulla bombola per veder uscire le prime bolle dalla pietra. Se ad esempio le bolle iniziano a uscire quando la pressione della bombola è a 2 psi, bisognerà aggiungere questi due psi alla pressione di spinta da usare per la carbonazione. Detto in altro modo: se misurate la pressione nel fusto con un manometro e contemporaneamente aprite la via della CO2 che porta alla pietra sul fondo del fusto, vedrete – nel nostro esempio – che la pressione del fusto e quella della bombola saranno sfalsate di 2 psi (quella della bombola sarà più alta), perché la bombola vede anche la resistenza della pietra porosa.
In conclusione: perché avere tutta questa fretta di carbonare? Se proprio dovete, diciamo che in poche ore (probabilmente anche meno) si riescono a carbonare forzatamente 20 litri di birra. Esiste anche un tool apposito della Blichmann (link) con pietra porosa e pompa che fa ricircolare la birra nel fusto mentre viene pompata CO2. A me solo l’idea di rimettere tutto in circolo nel fusto fa ribrezzo, ma dicono che si riesca a carbonare in pochi minuti. Alla modica cifra di qualche centinaia di euro. Fate vobis.
(4) Quali vantaggi ho se fermento in pressione?
Nessuno. Fine della risposta.
Scherzo. Fermentare in pressione può – in alcuni casi – portare un piccolo vantaggio. Una maggiore pressione applicata al fermentatore aumenta la CO2 che si solubilizza nella birra durante la fermentazione. Questa tende a inibire l’attività degli enzimi transferasi, responsabili della produzione di esteri. Maggiore pressione = maggiore CO2 disciolta = minore produzione di esteri. Quando è utile questa cosa?
Prendiamo una bassa fermentazione, dove tutto avviene più lentamente. Se la portiamo a 20°C, la fermentazione si velocizza ma al contempo aumenta la produzione di esteri. Ecco che ci corre in aiuto la pressione: chiudiamo la valvola di spunding, manteniamo la pressione a 20-30 psi durante la fermentazione e inibiamo la formazione di esteri. In questo modo potremo avere una lager con quantità trascurabile di esteri e una fermentazione completata nel giro due-tre giorni. Bello eh?
Mah. A che pro fare questa cosa? Di nuovo: perché avete tutta sta fretta? Se non avete tempo per fare una lager in casa, non fatela. Fate una pseudo lager con US-05 fermentato a 16°C. Inoltre, fermentando in pressione a temperature più alte, anche se la formazione di esteri è ridotta, non è la stessa identica cosa che fermentare normalmente a temperature più basse. Il lievito soffre la CO2 disciolta (non la pressione applicata, che gli fa un baffo a 20-30 psi), quindi meglio lasciarlo in pace.
In conclusione: nessun particolare beneficio. Può accorciare i tempi di fermentazione nel caso di basse fermentazioni, con effetti dubbi sul risultato finale. No, non mantiene più aromi nella birra.
Ma io volevo avere la birra già carbonata a fine fermentazione! Ecco, quello può aver senso ma non c’è bisogno di chiuderla dall’inizio della fermentazione. La carbonazione con spunding si fa alla fine della fermentazione.
(5) E la carbonazione con spunding?
La spunding è una piccola valvola che, una volta impostata e applicata all’uscita della CO2, mantiene costante la pressione all’interno del contenitore. Applicandola verso la fine della fermentazione (quando mancano circa 5 punti di densità alla FG), intrappola la CO2 carbonando la birra con l’anidride carbonica prodotta dalla fermentazione stessa.
Se la applichiamo prima del dovuto non succede nulla, la CO2 in eccesso semplicemente viene lasciata uscire. Applicandola troppo prima ovviamente si transita verso il mondo della fermentazione in pressione, per il quale vale quanto scritto prima. Se la si applica troppo tardi e non si raggiunge la carbonazione desiderata, poco male: si compensa introducendo CO2.
Che vantaggi ha questo approccio? In primis, la birra sarà già carbonata a fine fermentazione. Non lo vedo come un gran vantaggio poiché, come detto sopra, nessuna birra è pronta il giorno stesso in cui raggiunge la FG. Qualsiasi birra beneficia di qualche giorno di freddo, durante il quale si può tranquillamente carbonare forzatamente.
Si risparmia CO2, questo sì. Nei volumi casalinghi a mio avviso il risparmio è ridicolo, ma in un birrificio può fare la differenza.
Si evita di inserire nella birra CO2 dalla bombola, la quale non è mai pura al 100% ed è sempre mischiata a una – seppur piccolissima – quantità di ossigeno che potrebbe ossidare la birra. Ma allora non dovremmo manco usare la bombola per saturare bottiglie, fusti, tubi etc. Secondo me non cambia granché in questo senso.
In conclusione: può essere utile nella pratica per risparmiare CO2 e tempo, ma con molta probabilità non varia in alcun modo la qualità della birra prodotta. E il tempo guadagnato lo si impiegherebbe comunque per il periodo di winterizzazione/lagerizzazione.
(6) Quale diametro e lunghezza devono avere i tubi di birra e CO2?
Il bilanciamento di un impianto di spillatura è un lavoro complesso che richiedere alcuni calcoli e una solida progettazione. Questo perché bisogna bilanciare bene la pressione applicata e l’attrito che la birra incontra lungo la linea, per evitare che nel percorso formi eccessiva schiuma perdendo carbonazione e rendendo difficile la spillatura. Si deve anche fare in modo che l’attrito esercitato dai tubi non sia eccessivo perché altrimenti servirebbe una pressione di spinta molto alta sul fusto con conseguente sovracarbonazione della birra in brevissimo tempo.
Per fare ciò si lavora sulla tipologia dei tubi, sui loro materiali, sul diametro e sulle lunghezze. I calcoli per il bilanciamento delle pressioni sono ben spiegati nel libro di Michele Galati (link) oppure in questo articolo di John Palmer (in inglese).
Tutto questo ha però molta meno importanza in un piccolo impianto casalingo, dove le lunghezze da percorrere sono di solito estremamente ridotte ed è sufficiente allungare un po’ il tubo per ridurre la formazione di schiuma. Si può tranquillamente fare a occhio, con prove successive. Per i trasferimenti tra keg o per l’imbottigliamento in contropressione lunghezza e diametro dei tubi sono ininfluenti in quanto i contenitori che ricevono la birra sono in pressione. Questo evita la formazione di schiuma a prescindere dalla lunghezza e dal diametro dei tubi in cui passa la birra.
Quindi, comprate i tubi che vi aggradano di più.
Se invece dovete imbottigliare birra già carbonata in un contenitore aperto, senza sistema isobarico (ad esempio delle lattine) la questione diametro e lunghezza dei tubi può diventare fondamentale per ridurre la formazione di schiuma. Può aver senso fare qualche calcolo in questo caso, o comprare sistemi già progettati allo scopo come il DuoFiller.
In conclusione: per imbottigliamenti in isobarico non ha importanza la lunghezza e la dimensione dei tubi. Per la spillatura ce la si può cavare con qualche prova variando la lunghezza del tubo che arriva alla spina (più lo si allunga, meno la birra farà schiuma). Se invece si imbottiglia birra carbonata senza isobarico (quindi in un contenitore non in pressione) qualche calcolo su lunghezza e diametro dei tubi può tornare utile
(7) Quale è il sistema di riempimento delle bottiglie migliore?
Il migliore modo per imbottigliare è non farlo.
Scherzi a parte: ovviamente, non esiste un sistema migliore in assoluto. Dipende, come sempre, da quello che si vuole fare. In un post precedente ho messo a confronto tre sistemi abbastanza diffusi: la pistola riempitrice, l’iTap e la famosa asta cinese.
Il mio parere? L’asta cinese, inserita in un sistema isobarico (ovvero con le bottiglie anch’esse in pressione) rimane secondo me il metodo più efficace per imbottigliare birra già carbonata. L’iTap è più pratico, ma riempiendo dall’alto rischia di lasciare più aria nella bottiglia se usato senza pompa da vuoto. Con la pompa da vuoto è uno sbattimento, ma probabilmente funziona molto bene.
Spesso utilizzo anche l‘asta Kegland collegata direttamente al rubinetto Nukatap (link). È un aggeggio economico un po’ traballante, ma con l’aggiunta di una molla sono riuscito a farlo funzionare e mi ci trovo bene (per fare poche bottiglie). La sua versione originale (questa) funziona sicuramente meglio, ma in Italia – per ora – non si trova.
C’è poi il Duofiller per chi usa le lattine, ma delle lattine ne parliamo a parte.
In conclusione: pistola cinese batte tutti per costo ridotto e praticità (se collegata a un supporto). ITap vince per praticità, ma il riempimento dall’alto non convince. La pistola, per birra non carbonata, va benissimo. Per birra carbonata è più difficile da gestire per via della schiuma e quanto detto nella risposta precedente.
(8) Quali vantaggi ho se uso le lattine?
Nessuno. Risposta chiusa.
Sono un burlone. Uno ne ha: si stoccano molto meglio delle bottiglie, ottimizzando l’utilizzo dello spazio, specialmente nel frigo.
Basta, davvero. Non ci sono altri vantaggi in ambito hb (non ditemi che c’è più spazio per le etichette che poi vi vedo che ci scrivete il nome della birra sopra con l’uni-posca).
In conclusione: sono fighe esteticamente, sono pratiche da stoccare, ma i vantaggi rispetto alle bottiglie, per l’utilizzo che se ne fa in ambito casalingo, finiscono qui.
Abbiamo dedicato al tema anche un’intera puntata di MashOut! Podcast, la numero #41
(9) Come si saturano i fusti di CO2?
Esistono diversi approcci alla saturazione dei fusti. La pratica più semplice è quella di spingerci dentro CO2 a bassa pressione, dal fondo, lasciandola uscire dall’alto. Così facendo il flusso spinge via l’aria e man mano il fusto si riempie di CO2. Ma dopo quanto tempo? Purtroppo, nessuno lo sa. Si va a occhio, e considerando che comunque CO2 e aria si mescolano, è davvero difficile stabilire il punto di svolta.
Un metodo molto più efficace, invece, è quello di riempire il fusto fino all’orlo di acqua e svuotarlo con la CO2, come se si stesse spillando una birra. Una volta tirata fuori tutta l’acqua, siamo sicuri che nel fusto non sia rimasto ossigeno. Può rimanere qualche goccia di acqua (che a sua volta contiene ossigeno) ma avendo cura di svuotarlo bene (anche mettendolo sottosopra per far uscire le ultime gocce dalla valvola sul tappo) siamo abbastanza sicuri.
L’acqua del rubinetto (a meno che non si stia facendo birra in un vecchio garage) non pone in genere rischi di contaminazione. I maniaci della sanitizzazione possono riempire il fusto con una soluzione di Starsan e poi svuotarlo, ma io preferisco evitare mescolamento di birra e Starsan anche se non dovrebbe generare particolari rischi in caso di residui così bassi.
In conclusione: il modo migliore è riempire il fusto di acqua e svuotare con CO2.
(10) Quanto dura la birra una volta aperto il fusto?
Grande dilemma. In realtà, non è nemmeno chiaro perché si debba rovinare, visto che per svuotare i fusti si fa esattamente quello che si fa quando li saturiamo: si lascia entrare CO2. Tuttavia è esperienza comune che la birra nel fusto, una volta iniziato il servizio, dopo un po’ tenda a perdere di intensità.
La ragione è da attribuire probabilmente all’ossigeno che entra, anche se in piccole dosi, quando facciamo i vari collegamenti. In parte, come già detto, arriva anche dalla bombola di CO2 all’interno della quale non c’è purezza al 100%.
Stabilire in assoluto quanto duri una birra a fusto iniziato è difficile. Dipende da molti fattori: sicuramente birre delicate come le luppolate o le lager a bassa gradazione durano meno. Un Barley Wine e una Imperial Stout reggono meglio e più a lungo. C’è poi da dire che non è che la birra diventi imbevibile da un giorno all’altro, in genere degrada gradualmente.
Per la mia esperienza, una luppolata si mantiene in condizioni decenti, se il fusto è al fresco, per diversi giorni. Si può tranquillamente bere anche dopo una settimana, ma si inizierà già ad avvertire un calo. In genere non terrei un fusto attaccato più di un paio di settimane, ma dipende molto dal tipo di birra. Potrebbe essere meglio staccarlo e attaccarlo successivamente se si pensa di passare alcuni giorni senza spillare, evitando che piccole perdite negli allacci facciano entrare aria.
In conclusione: non esistono tempistiche rigorose, e soprattutto la birra non diventerà cattiva da un giorno all’altro. In generale, meglio dimensionare la capienza del fusto per consumarlo nel giro di una/due settimane al massimo. Altrimenti, meglio staccarlo e riattaccarlo successivamente.
Ciao Frank, nella carbonazione forzata la bombola di CO2 può stare nel frigo a basse temperature insieme al fermentatore o è pericoloso? Se lo fosse bisogna forare il frigo per far passare il tubo?
Puoi tendenzialmente tenerla anche in frigo, l’unico problema – dicono, ma a me non è successo – è che si potrebbe formare umdità nel regolatore di pressione e alla lunga potrebbe rovinarsi.
Della domanda numero 7 mi è piaciuta tanto la prima risposta! 😂.
Ottimo post!
Ah, ah! Grazie
Bellissimo post! ci sono anche delle domande che avevo fatto sul gruppo FB ed a cui avrei avuto risposta solo aspettando qualche giorno 😛
Mi è piaciuta la parte in cui hai chiarito i vantaggi reali dell’uso di spunding valve in fermentazione, è un tool che mi sono trovato a fare per necessità (lievito lager senza chiller, nonostante la cantina fredda sapevo che sarei stato diversi giorni sui 20°C prima di rientrare sui 12-14) ma che trovo invece enormemente utile per i trasferimenti in isobarico. Continuerò ad usarla per gli esperimenti e per risparmiare un po’ di CO2
Domanda su una parte che non hai trattato: fusti con sacca tipo i Talos? li hai provati? io ne ho preso qualcuno per fare dei test di shelf life con una IPA. In teoria la birra non dovrebbe vedere ossigeno con quel sistema. Fermzilla-fermentatore corny-fustino talos, tutto in isobarico e senza le odiate bottiglie XD
Ciao Giuseppe! I Talos mai provati, non mi interessano sincermaente. Troppo spreco di plastica, poi necessiterebbero di altro spazio per lo stoccaggio. Mi trovo benissimo con i miei fustini inox da 5 e 10 litri, continueò a usare quelli.
Domanda n.9:
Così come nel podcast non ho ancora capito come fai a svuotare l’acqua dal fusto.
Perdonami so de coccio!
Bombola CO2 —> tubo ingresso CO2 —> Keg 19 l. Pieno di acqua —> tubo di uscita acqua?
Pressione CO2 in PSI per far uscire l’acqua?
Max, non capisco cosa ci sia da non capire… 🙂 È esattamente la stessa cosa che fai quando spilli la birra, solo che nel fusto c’è l’acqua. La pressione ovviamente può essere qualsiasi, più è alta più fai prima. Se è troppo alta però tende a creare ghiaccio sul riduttore di pressione se c’è umidità, tutto lì. Quindi meglio andare lenti a 5-10 psi.
Ciao frank ho uno spillatore a pompa a due vie mi capita che quando spillo il tubo che porta la birra dal fusto allo spillatore , non ha un flusso continuo ma sia intervallato da aria ( si vede chiaramente che nel tubo ci sono tratti pieni di Birra e tratti con aria) . E questo provoca molta schiuma. Da cosa può dipendere?
Ciao Massimo, non saprei perché non l’ho mai utiizzato. Sicuro che sia aria e non CO2? Magari pesca male dal fusto? Se è aria deve entrare da qualche parte, mi viene in mente che ci sia qualche collegamento non stretto bene o non completamente impermeabile all’aria. Se c’è davveto aria nel tubo, da qualche parte entra. Ma più probabile sia CO2 che si forma dovuta a qualche problema di pressioni o pescaggio dal fusto.
Ciao Frank, ma quando vai a ridare 30 psi per la seconda volta, quanta pressione c’è nel fusto se la misuri? Perché io con solo una botta iniziale a 30 psi, sembrerebbe essere scesa a circa 10 psi e sembra essere già in equilibrio. È possibile con 20 litri?
Mi sembra strano. Aspetta qualche altro giorno e vedi come procede.
Ok, grazie, ma ho un dubbio, come faccio a capire se ha sovracarbonato? Cioè intendo, se io ho come target 8 psi a 3 gradi, e mi accorgo dopo un giorno che era stabile a 12 psi in teoria dovrebbe aver sovracarbonato, giusto? Ma se io desaturo fino a 8, poi ogni misurazione fatta nei giorni dopo la vedo stabile a 8 psi sul manometro, vuol dire che ho raggiunto il target iniziale o è sovracarbonata perché si era stabilizzata a 12?
Il livello di carbonazione è direttamente legato ai psi in equilibrio. Se la è a 8 psi ed è in equilibrio per diversi giorni, allora la carbonazione è corretta.
Ciao Frank, ho prodotto la mia prima birra artigianale con un Kit completo. Sabato ho aggiunto il destrosio nel fustino, da ieri il contenitore sta iniziando a deformarsi. È normale così tanta “spinta” o dovrei preoccuparmi?
Quanto zucchero hai messo? Potrebbe essere troppo. Oppure hai infustato prima che la fermentazione fosse completamente finita. Hai misurato la FG?