La fine dell’anno si avvicina. Iniziano le corse per i regali, i panettoni, cosa fai a Capodanno, ceniamo dai miei o dai tuoi, ho mangiato e bevuto troppo e via discorrendo.

Per me, birrariamente parlando, è stato un anno ricco di emozioni. Trovo davvero incredibile come, dopo ben 12 anni di produzioni, questo hobby sia ancora in grado di darmi così tanto.

Ho pensato quindi di guardarmi indietro, per mettere nero su bianco quelle che per me sono state le esperienze più interessanti di questo 2024.

Ho usato la mia prima spezia in bollitura

Sono un appassionato di curry. Mi piace cucinarli in modi diversi e assaggiarne sempre di nuovi. Anche per questo amo mangiare nei pub britannici, dove non manca quasi mai una bowl di curry declinato in varie interpretazioni.

La mia cucina è piena di spezie, eppure non le uso nella birra. In 12 anni di cotte, le ho aggiunte solo una volta nell’unica Pumpkin Ale che ho brassato (link), usando la tecnica dell’infusione alcolica, mescolandole alla birra prima di imbottigliare.

Come mai?

Non saprei rispondere a questa domanda. Da un lato, non amo particolarmente gli stili codificati che ne fanno ampio uso, come le Blanche. L’idea di aggiungerle ad altri stili birrari non mi esalta, forse perché sono un nerd degli stili e prima di alterarli vorrei riuscire ad eseguirli alla perfezione.

Più di tutto, però, l’aggiunta delle spezie in bollitura è rischiosa. Non funziona come in cucina, dove si assaggia il cibo mentre lo si cucina, aggiungendo man mano le spezie – in piccole dosi – secondo il gusto. Quando le spezie si aggiungono al mosto a fine bollitura, l’assaggio non è particolarmente illuminante.

L’idea di dover scarificare diverse cotte per sperimentare i dosaggi delle spezie (che tra l’altro possono variare di intensità a seconda del periodo), frena molto il mio entusiasmo. Certo, si possono aggiungere prima di imbottigliare (come ho fatto con la Pumpkin Ale), ma non è la stessa cosa.

Ecco, quest’anno sono contento di aver finalmente buttato un po’ di coriandolo – pestato al momento nel mortaio – al mosto di una Saison. Non è chissà cosa, in molti hanno sperimentato molto di più, ma sono contento di averlo fatto. La birra – La Novelty Funsy – è venuta molto bene. Qui la ricetta e l’assaggio.

Continuerò su questa strada? Chi può dirlo. Come diceva qualcuno, potrebbe essere stata “una cosa divertente che non farò mai più“.

Ho iniziato a correggere gli esami BJCP

Alla fine del 2023 sono diventato giudice BJCP di livello National. Oltre alla soddisfazione personale per il traguardo raggiunto, ho finalmente potuto propormi come Grader per i Tasting Exam del BJCP.

Correggere gli esami è un’attività gratuita e volontaria, da molti considerata una perdita di tempo. Per me, assolutamente no. In questi mesi ho completato la correzione di 7 esami con 65 partecipanti in totale. L’esperienza è stata senza alcun dubbio formativa e interessante, per diverse ragioni.

Ne ho parlato approfonditamente nel post di un paio di settimane fa (link), quindi evito di ripetermi. Tuttavia, non potevo non inserire questa attività tra quelle più interessanti e formative che ho svolto nel corso del 2024.

Non per tutti, ma fondamentale – a mio avviso – per crescere come giudice.

Ho allungato i cold crash – tutti

Dopo diverso tempo e tante cotte – e soprattutto dopo l’acquisto di un secondo frigorifero dedicato alle birre, qualche anno fa – ho realizzato che uno dei fattori critici per la limpidezza delle birre è la durata dell’abbattimento di temperatura.

I soliti tre/quattro giorni di cold crash (abbattimento di temperatura veloce a fine fermentazione) non sono quasi mai risolutivi per la limpidezza. Tocca farci pace. Dopo tanti esperimenti e riflessioni (tra cui questa), ho iniziato semplicemente a tenere le birre in frigo più a lungo dopo il travaso finale nel fusto da dieci litri.

Le tengo al freddo almeno una settimana, mediamente due/tre. Per qualsiasi stile di birra. Questo rende le birre pulite visivamente nel 99% dei casi. Se non proprio limpide, almeno allettanti alla vista.

Ho anche fatto pace con il fatto che l’aspetto visivo è importante. Almeno, lo è per me. Ma sono abbastanza convinto lo sia per tutti, giudici compresi. Ne ho parlato già in un vecchio post del 2021 (link).

Mi rendo conto che per passare a un approccio del genere è indispensabile avere un secondo frigo, perché non si può occupare l’unico frigo in cui si fermenta per settimane dopo la fermentazione, bloccando di fatto l’attività. Però, ne vale la pena.

Anche questo, non è per tutti. Ma, per me, è stata una presa di coscienza significativa.

Ho fatto una bella ripassata dei difetti

Dopo tanti anni, sono tornato ad assaggiare i difetti artificialmente aggiunti alla birra. La mia prima esperienza con un kit dei difetti risale a tantissimi anni fa, correva l’anno 2015. Acquistai, insieme ad un gruppo di amici, il test Aroxa (link). Negli anni successivi ho provato nuovamente diversi difetti nei corsi di degustazione: come partecipante, inizialmente; come docente, in seguito.

Mi sono reso conto che erano diversi anni che non facevo un assaggio ragionato e attento dei difetti.

Ho così deciso di investire un po’ di soldi nel kit completo della Siebel. Ho dedicato diverse settimane agli assaggi, provando diverse concentrazioni dei difetti grazie all’utilizzo di una pipetta. Ho raccontato tutto nel dettaglio in questo post.

Un’ esperienza molto interessante. Che sia stata anche utile è risultato evidente dopo l’ultimo esame BJCP a cui ho partecipato come proctor, a Spalato. Ho riconosciuto acetaldeide in una birra, leggera acidità e diacetile in un’altra. A fine esame, ho saputo che erano state contaminate proprio con i difetti della Siebel (acetaldeide e contaminazione).

Un ripasso costoso, ma davvero efficace.

Mi sono dedicato ad assaggi orizzontali sugli stili

Assaggiare diversi esempi di uno stile è uno dei migliori modi per apprezzarne le mille sfumature. Per quanto una descrizione possa essere chiara – e quelle del BJCP e altre linee guida non sempre lo sono – l’assaggio è la strada migliore per interiorizzare le caratteristiche di uno stile.

Ancora meglio se gli assaggi vengono fatti in un periodo breve di tempo – magari non tutti insieme, diventerebbe difficile -, accompagnati da note di assaggio. Ci vuole pazienza: sia per assaggiare e riflettere, sia per trovare negozi che vendano gli esempi di stile; alla fine, lo sforzo viene ripagato.

Quest’anno ho fatto due giri di assaggi orizzontali, ovvero di birre nello stesso stile prodotte da birrifici differenti: uno dedicato alle Blonde Ale belghe (link), l’altro alle Weisse (link). Lo scorso anno ne feci uno dedicato alle Oud Bruin/Flanders Red, raccontato nell’ultima puntata di MashOut podcast.

Un’esperienza che consiglio vivamente.

Ho girato per i pub meno battuti di Londra

Per quanto riguarda la vita da pub, Londra è una città dalle infinite risorse. Per visitare anche solo una minima parte di tutti i pub che ci sono in città, bisognerebbe trasferirsi lì per qualche mese. Ché poi – diciamocelo – non tutti i pub di Londra meritano una visita. Anzi.

Comprensibilmente, quando si va a Londra solo per qualche giorno, ci si concentra sui pub del centro e sul Beer Mile. Cosa che anche io ho fatto diverse volte, nel corso di weekend mordi e fuggi nella capitale britannica.

Nei miei ultimi viaggi a Londra, però, mi sono lanciato alla scoperta di pub meno conosciuti, distanti dalle zone centrali ma raggiungibili in treno o metropolitana. Mi sono imbattuto in luoghi magici dai quali non avrei più voluto andarmene, come il Little Green Dragon, il The Real Ale Way o la John Harvey’s Tavern della Harvey’s Brewery, nella vicina cittadina di Lewes.

Una modalità di esplorazione che mi è piaciuta molto. Certo, ci vuole un po’ più di tempo; ma quando la ricompensa è una pinta in un ambiente caldo, accogliente e genuino, non c’è viaggio che non valga la pena di essere percorso.

Per chi volesse lanciarsi all’avventura, in questo post della newsletter ho raccolto i posti migliori che fino ad oggi ho visitato a Londra. Buon viaggio. E buone pinte.

 

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