Turbacci featIl Birrificio Turbacci è stato uno dei primi microbirrifici a muovere i passi nel panorama della birra artigianale italiana. E’ un birrificio a conduzione familiare attivo dal lontano 1995. Giovanni Turbacci, papà di Marco e Stefano e fondatore del birrificio, a metà degli anni novanta rileva gli impianti di un birrificio che produceva birra sul lago di Garda e li fa trasportare a Mentana, nella provincia romana, dove aprirà il Brewpub Turbacci.

Da allora sono stati diversi i riconoscimenti conquistati dalle birre Turbacci, anche a livello internazionale, tra cui svetta la medaglia d’oro per la Quinn, la loro pilsner, allo European Beer Star del 2011.

Poco marketing, molta passione e una grande umiltà sono da sempre le caratteristiche che contraddistingono il birrificio. La produzione spazia dalle basse alle alte fermentazioni, senza trascurare stili particolari come la birra alla zucca, lanciata per la prima volta alla fine dello scorso anno. La mia preferita, personalmente, è la Black: una sorta di export stout da 6,5% che consiglio a tutti gli appassionati di birre scure.

Ma ora veniamo al sodo: le domande. Giovanni Turbacci ci ha risposto in modo conciso ma efficace.

Tra gli homebrewers è sempre molto vivo il dibattito sul protein rest, ovvero lo step del mash che attiva gli enzimi proteolitici per la riduzione delle catene proteiche.  C’è chi lo fa sempre, tanto male non fa, chi non gli dà affatto importanza perché lo trova una perdita di tempo e chi invece teme che possa vere effetti negativi sulla schiuma. Voi, in birrificio, come vi comportare al riguardo? Lo fate sempre, ogni tanto, mai? Perché?

La nostra sala cottura è ancora quella originale del 1988, l’ammostatore è monostep e le resistenze non ci permettono di gestire le temperature per il protein rest.

Parliamo delle basse fermentazioni. Come penso ben sapete, produrre basse fermentazioni in casa è un’impresa non facile: in primo luogo perché richiede un preciso controllo della temperatura ma soprattutto per i lunghi tempi di lagerizzazione che tengono occupati fermentatori e camere di fermentazione. Ci si chiede spesso come e quanto dovrebbe maturare una pilsner e a quale temperatura. Voi come vi regolate in birrificio? A che velocità fate scendere la temperatura di fermentazione fino a quella di lagerizzazione? Si dice spesso di procedere piano (un grado al giorno) e con cautela per non causare uno shock al lievito: condividete? Ultima domanda sul tema: praticate la rifermentazione in bottiglia anche per le basse fermentazioni? 

La nostra Quinn matura per 20 giorni a 4°c. Ci arriviamo abbassando la temperatura il più velocemente possibile (in circa 48 ore). Rifermentiamo in bottiglia, anche per le basse fermentazioni, aggiungendo altro lievito prima della rifermentazione.

Che tipo di lieviti utilizzate al birrificio: secchi o liquidi? Avete un “lievito della casa” (le famose house strain tanto care ai birrifici americani) o ne acquistate ogni volta uno nuovo?  

Usiamo sia lieviti secchi che liquidi. I primi anni utilizzavamo lieviti anche di 4° o 5° generazione. Ricordo che abbiamo iniziato nel 1995 e trovare materie prime non era impresa facile, ma adesso che c’è la possibilità, lo sostituiamo ogni volta. 

Parliamo della vostra birra alla zucca (che purtroppo mi sono perso, NdR). Potete raccontarci come avete gestito la zucca e in che fase del processo di produzione l’avete aggiunta? Quali spezie avete utilizzato e in che fase della produzione?

Quella del 2014 è stata la prima cotta assoluta della nostra Pumpkin Jumping. Le zucche sono state abbrustolite nel  forno a legna e poi inserite in bollitura insieme alla cannella. Abbiamo utilizzato 60 kg di zucche su una resa finale di circa 700 lt. Nonostante il feedback positivo per la birra,  la zucca rimane un po’ nascosta rispetto alla cannella, l’anno prossimo probabilmente apporteremo qualche modifica. Comunque di base siamo soddisfatti di come abbiamo concepito la ricetta.

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