Componente fondamentale del metodo E+G (Estratto + Grani) è l’infusione dei grani (altrimenti detto steeping): si mettono a mollo in acqua calda i malti speciali per una mezz’ora a una temperatura più o meno stabile tra i 65 e i 75 gradi.
Obiettivo dello steeping è quello di estrarre da questi malti zuccheri fermentabili insieme a colore e sapore per aggiungerli poi all’estratto di malto. Attenzione, non si tratta di un mash: per l’infusione non utilizziamo malti base (Pale Ale, Pilsner, Munich ,…) ma solo malti speciali (Crystal, Chocolate, Black, …). Questo significa che non ci saranno enzimi in azione e quindi qualsiasi amido residuo presente nei malti speciali verrà disciolto nell’infusione rimanendo di fatto tale, senza alcuna possibilità di venire convertito in zucchero. Dall’infusione, gli amidi passeranno quindi in bollitura ed infine nella nostra birra finita.
Quali grani contengono amidi e quali no? La risposta è a prima vista molto semplice, basta consultare questa tabella (colonna “must mash“): se c’è scitto Yes, significa che il malto contiene amidi e deve quindi essere lavorato dagli enzimi in un vero e proprio mash. Altrimenti, almeno in linea teorica, potete andare tranquilli con lo steeping.
La vita purtroppo non è mai così semplice come sembra: chi fa birra in casa ormai ne ha preso coscienza. La presenza o meno di amido dipende dal processo di maltazione dei grani. Affinché gli amidi siano convertiti in zuccheri, i grani, dopo la fase di germinazione, non devono essere asciugati ma tenuti a temperatura intorno ai 65C per un determinato periodo di tempo. Questo rest origina un processo simile al mash in cui gli enzimi si attivano e iniziano a convertire gli amidi in zuccheri. L’efficienza di conversione dipende dalla durata di questa fase. Generalmente, nel caso dei malti crystal vengono convertiti tutti gli zuccheri per poi cristallizzarli successivamente alzando la temperatura (da qui il termine “crystal” utilizzato per indicare questo tipo di malti). Stessa cosa accade in genere con i malti roasted, ovvero i vari chocolate, black, etc…
Il nome usato per il malto non è però sempre indicativo. Teoricamente infatti i malti caramel sono diversi dai malti crystal, ma i due nomi vengono spesso utilizzati in maniera intercambiabile (specialmente dai rivenditori). Noonan, nel suo libro Brewing Lager Beer, ci racconta che:
Crystal and caramel (caramalt, carastan) malts are similar products, but they should not be considered interchangeable. Caramel malts have a higher moisture content, are not completely saccharified, and are not kilned to the point that the endosperm is entirely vitrified/glassy
da cui deduciamo che i malti caramel, diversamente dai malti crystal, contengono amidi residui. Come dicevamo prima però, il nome utilizzato per il malto non è sempre indicativo. Tra le FAQ del sito della Weyermann, uno dei produttori europei di malto più famosi, troviamo la seguente precisazione:
“Cara” means that these products are caramel or roasted malts (Carafa® & Carafa® special) produced in roasting drums. Caramel malts are produced from green malt (directly after germination) in special designed roasting drums. In a saccharification step (70°C) the starch is converted into sugar. Then with higher temperatures these sugar is caramelized. For Carafa® roasted malt, special produced kilned malt is roasted in roasting drums (temperatures > 250°C).
quindi, in questo caso e per questo specifico produttore, i malti chiamati Cara non dovrebbero contenere amidi residui.
Divorato a questo punto da una incontenibile ansia,ho fatto una prova nella mia prima cotta E+G, facendo il test dello iodio sul mosto ottenuto dallo steeping di due malti “cara” della Weyermann (CaraPils e CaraRed) e del CaraVienne della Dingemans (avevo convertito una mia ricetta allgrain). Risultato? Un po’ di amido residuo era rimasto. Sarà dovuto solo al CaraVienna della Dingemans? Boh, può darsi. Ma il punto è che non lo sapremo mai di preciso, a meno di non testare prima con lo iodio tutti i malti che andremo ad utilizzare. Sinceramente lo trovo poco pratico, soprattutto considerando che la mia intenzione è quella di usare il metodo E+G per alcune cotte più veloci.
Come uscirne? Il metodo Estratto + Grani non è forse un metodo valido? L’dea di fare un minimash aggiungendo malti base allo steeping e mantenendo costante la temperatura per un’ora intera non mi alletta per nulla, tanto vale allora fare la cotta direttamente in all grain.
Mi sono chiesto quindi se davvero questi temuti amidi non convertiti in zuccheri potessero rappresentare un grave e insormontabile problema per la mia birra, tanto da farmi abbandonare completamente l’idea di fare qualche cotta con il metodo E+G.
Le domande che mi assillavano sull’amido residuo nella birra finita erano principalmente tre: apporta sapore? Diminuisce l’efficienza di estrazione degli zuccheri? Rovina la birra?
Non essendo riuscito a trovare risposte univoche a queste domande, ho provato a ragionare a modo mio componendo varie nozioni che ho trovato su libri, forum, e diversi articoli che ho letto nel tempo. Le espongo qui, aperte a qualsiasi tipo di critica.
Interrogativo numero 1) L’amido contribuisce al sapore della birra?
Di primo slancio mi verrebbe da rispondere affermativamente. Gli amidi sono dei carboidrati, ovvero delle molecole più o meno grandi composte da catene di zuccheri (cfr. definizione Wikipedia). La saliva degrada gli amidi facendoci percepire un sapore dolce. L’esempio classico è il sapore dolciastro delle patate, la cui origine è data appunto dagli amidi che nella nostra bocca vengono convertiti in zuccheri. Dato che i lieviti utilizzati per fermentare la birra non sono in grado di fermentare carboidrati, gli amidi restano nella birra finita e teoricamente dovrebbero contribuire con un sapore dolciastro percepibile in bocca.
Tuttavia, non ho mai trovato un articolo che confermasse questa mia teoria (che continua comunque a sembrarmi ragionevole). Ne deduco che probabilmente la percentuale di amido che solitamente finisce nella birra è così poca da non contribuire in maniera significativa al sapore della birra. Sarebbe in questo senso interessante fermentare un mosto con un’alta percentuale di amidi e vedere cosa succede.
A ogni modo, possiamo ragionevolmente concludere che gli amidi non contribuiscono significativamente al sapore della birra finita. Quindi, per quanto riguarda questo aspetto, non ci dobbiamo preoccupare più di tanto.
Interrogativo numero 2) Diminuisce l’efficienza di estrazione degli zuccheri?
Anche in questo caso, mi verrebbe da rispondere sì. Come abbiamo detto sopra, gli amidi sono composti da zuccheri. Se questi zuccheri, invece di essere “disassemblati” dagli enzimi e disciolti nel mosto, rimangono assemblati nelle molecole di amido, l’efficienza di estrazione deve diminuire per forza. Il punto è: come ce ne accorgiamo?
Quando misuriamo la densità del mosto, utilizziamo principalmente il densimetro. Quest’ultimo, essendo un mezzo meccanico, non è tarato per riconoscere la differenza tra amidi e zuccheri: la lettura della densità fatta col densimetro si basa sull’ipotesi che la soluzione che stiamo misurando contenga solo zuccheri. Per capirci, se sciogliamo molto sale in acqua distillata, il densimetro darà una misura diversa da 1000 (densità dell’acqua distillata senza zucchero). Questo perché ovviamente il sale contribuisce alla densità della soluzione se presente in quantità significativa.
Stesso discorso vale per gli amidi: il densimetro non distingue gli amidi dagli zuccheri, quindi la misura della densità di un mosto con una parte di amidi sarà una lettura falsata. Non stiamo leggendo la densità di una soluzione zuccherina, ma quella di una soluzione di zuccheri e amidi.
La risposta che mi sento quindi di dare è: sì, l’efficienza di estrazione diminuisce, ma non ce ne renderemo conto dalla misura fatta col densimetro sul mosto da fermentare. Questa misura è valida solo se il test dello iodio ha dato risultato negativo. E come ce ne accorgeremo quindi? Be’, dato che gli amidi non sono fermentabili dal lievito, ce ne renderemo conto alla fine della fermentazione: l’attenuazione sarà più bassa e la densità finale della nostra birra più alta del previsto.
Anche in questo caso, quindi, se gli amidi rappresentano una piccola percentuale rispetto agli zuccheri presenti nel mosto, non c’è da preoccuparsi più più di tanto. Passiamo all’ultima e più importante domanda:
Interrogativo numero 3) Gli amidi residui possono rovinare la birra?
Ahimè, in questo caso la letteratura c’è e la risposta è affermativa. I principali effetti degli amidi sulla birra finita possono essere due, uno abbastanza innocuo, l’altro estremamente spiacevole: starch haze e contaminazioni.
Permanent haze can be due to biological contamination or an excess of starch in your wort. (cfr. articolo Brew Your Own Magazine)
“Haze”, traducibile volgarmente in “annebbiamento”, significa birra torbida. Sicuramente non è piacevole, ma non lo definirei un problema esistenziale.
Ben più pericoloso è invece il secondo punto: la contaminazione. Interessante un passaggio che ho letto sul sito della Wyeast Lab in un articolo che affrontava il tema della fermentazione spontanea:
The use of unmalted wheat contributes starch and dextrins to the finished wort, which is eventually broken down by Brettanomyces in the latter part of fermentation (cfr. Wyeast Website
Avete letto bene: i brettanomiceti sono in grado di fermentare gli amidi. Cosa significa questo? Be’, se state progettando una birra acida ne sarete contenti. Ma se per caso nella vostra birra finita si trovano a coesistere lieviti selvaggi e amidi, l’infezione è garantita. Anche se inizialmente il vostro lievito avrà avuto la meglio su quelli selvaggi, nel tempo questi ultimi inizieranno piano piano a fermentare gli amidi e la vostra birra prenderà un odore e un sapore indesiderati (oltre a rischiare l’esplosione delle bottiglie per l’ulteriore CO2 prodotta). Il vantaggio è che i lieviti selvaggi lavorano molto lentamente, quindi se consumate la birra velocemente con molta probabilità nemmeno ve ne accorgerete.
Ma il rischio è lì, sempre dietro l’angolo.
CONCLUSIONI: l’amido residuo nella birra finita è un problema?
Considerando le riflessioni di cui sopra, mi sento di dire con sufficiente confidenza che, almeno a livello di homebrewing, la presenza di amidi nella birra finita è quantomeno tollerabile. Viste poi le basse percentuali di grani speciali utilizzati nella maggior parte delle ricette, possiamo utilizzare la tecnica E+G senza troppe pippe mentali su conversioni e non conversioni. A condizione di evitare lo steeping di malti base e dei vari fiocchi di grano, avena, orzo, e via dicendo, che se non vengono mashati introducono solo amidi e niente zuccehri.
Ciao,
credo di aver trovato qui la risposta al mio problema: http://forum.mr-malt.it/showthread.php?tid=10299&pid=144020#pid144020
La birra era torbida a causa di un mini-mash non proprio ottimale per quanto riguarda la filtrazione.
Sicuramente il fatto che il bretta lavori lentamente nel tempo, spiega perchè le birre all’inizio erano normali, mentre a distanza di 3 mesi dall’imbottigliamento le ho trovate molto carbonate e acide.
Prima domanda: se il test dello iodio è posotivo, ci sono comunque amidi residui nel mosto?
I residui farinosi finiti nel mosto in bolllitura possono essere i primi indiziati in caso di test iodio posotivo?
Quello su cui ho dei dubbi però è sul fatto che questi lieviti selvaggi siano stati causati da problemi di sanificazione.
Ho fatto tutto come al solito, e non penso di aver fatto errori.
E’ possibile che le alte temperature (di fermentazione e conservazione) abbiano favorito la nascita di questi lieviti?
Oppure, è possibile che in realta questi lieviti selvaggi sia impossibile prevenirli?
Magari sono presenti in tutte le birre artigianali (e sennò perchè le chiamano un prodotto vivo? 🙂 ) ma solo in caso di problemi trovano il modo per propagarsi e rovinare la birra.
E’ una domanda non un’affermazione.
Ciao e Grazie!
Carlo
Ciao Carlo,
solitamente il test dello iodio dà risultato positivo (colorazione rossastra) solo se sono assenti amidi dalla soluzione. E’ chiaro però che è un test approssimativo, in quanto valida il risultato basandosi sul colore che assume una sostanza (il che, di per se’, è soggettivo).
Quelle che in genere chiamiamo “farine” sono composti di diverse sostanze, tra cui proteine, che teoricamente non dovrebbero influenzare il test dello iodio. Il test dello iodio valuta la presenza di amidi, anche se per esempio la presenza di cellulosa (glumelle dei grani, ovvero le “bucce” dei chicchi) potrebbero inficiarne il risultato (per questo di solito si fa il test solo sul mosto, filtrando via i chicchi di grano).
Per quanto riguarda i lieviti selvaggi, a volte la sanitizzazione non è sufficiente per eliminarli del tutto. Tieni conto poi che l’acido può derivare anche da batteri come i Pediococcus, normalmente presenti sui chicchi di orzo o malto (ovviamente prima della bollitura). Capita alle volte che questi lievito o batteri entrino in contatto con il mosto finito. Questi batteri e lieviti selvaggi, al contrario dei “normali” lieviti, sono in grado di fermentare anche amidi e zuccheri complessi rimasti nella birra. Di solito agiscono lentamente e impiegano diversi mesi a rovinare la birra.
Non sono sempre presenti nella birra artigianale, anzi, i birrai fanno grande attenzione a tenerli fuori. A volte può capitare che entrino in contatto con la birra, rovinandola con il passare del tempo. Un birra contenente una forte componente di amidi fornisce a questi lieviti maggiore nutrimento, e quindi è più probabile che con il tempo si rovini.
Un saluto,
Francesco.
Ciao, complimenti per il sito!
come mai nella tabella di beersmith i malti di frumento tpo rosted hanno bisogno di mash? non dovrebbero essere tostati come i malti d orzo e quindi aver avuto la conversione durante la tostatura?
grazie
Fabrizio
Teoricamente non dovrebbero aver bisogno di mash, sono d’accordo. Le possibilità sono due: o il processo utilizzato per produrre malti wheat tostati non è lo stesso dei crystal (ovvero non passano lo step di saccarificazione nel forno in cui vengono tostati), oppure Brad Smith ha in mente gli step di mash per ridurre il contenuto proteico (il famoso protein rest) che nel grano in genere è più alto (in realtà sono le proteine del grano a essere molto più solubili in acqua e quindi a finire intere nella birra finita).
Sul libro del Madfermentationist c’è riportato che il brett non arriva a fermentare gli amidi, non ricordo i dettagli ma il concetto è quello, amidi e brett no , invece dice che solo alcuni ceppi di pediococci riescono a farlo. Da altre fonti però si legge che invece il brett ce la fa. Boh..vabbè nelle acide comunque qualcuno li mangia questi amidi…
Credo sia un refuso. Qualsiasi fonte conferma che i Brett (non tutti, però) producono l’enzima alpha-glucosidase che scompone l’amido in zuccheri più semplici che vengono fermentati. Vedi ad esempio:
http://www.milkthefunk.com/wiki/Brettanomyces
Sono piuttosto d’accordo anch’io. Sul fatto che sia solo un refuso quello del madfermentationist non tanto, perchè me lo ha ribadito anche rispondendo ad un mio commento in proposito sul suo blog……..
“To ferment dextrins Brett produces alpha-glucosidase. It has limited activity up to 9-glucose molecule dextrins. Some Pediococcus isolates ARE capable of starch breakdown, which may make the component sugars accessible to Brett.”
Onestamente a me non è ancora del tutto chiaro.
Per quel che ne so i Brett sono famosi per mangiarsi anche la lignina delle botti..
sì vero però (cito sempre il libro) in quel caso si parla di cellobiosio, un disaccaride fatto di 2 molecole di glucosio unite da un link di tipo beta che il brett fermenta tramite all’enzima beta-glucosidase. L’alpha-glucosidase è invece l’enzima che usa per le destrine “up to nine glucose molecules long” , gli amidi sono oltre a quanto pare. Poi dice che ci studi che hanno dimostrato che riesce a scomporre anche molecole più lunghe però non in maniera efficienza. Forse su quelle è più “abile” il pedio che magari gliele scinde e poi il brett contribuisce a fermentarle in parte una volta scisse. Brett e pedio infatti si legge spesso che lavorano bene insieme.
Il ragionamento fila.
Ma le destrine non potrebbero, come gli amidi residui, favorire il proliferare dei bretta in bottiglia?
Sicuramente sì, ma in genere non rappresentano una parte significativa del mosto. Destrine e amidi insieme farebbero ancora peggio.
Mi stavo interessando all’argomento perché nell’ultima blanche (che ho in fermentazione) ho paura di essermi portato qualche amido; il test iodio era negativo dopo il mash, ma ho fatto una prova in boil ed è risultato positivo…
Se vedo che non attenua molto la potrei brettare direttamente.. sai consigliarmi qualcosa?
Sinceramente non so se il test dello iodio sia affidabile anche dopo la bollitura. A ogni modo, l’essersi portati dietro qualche amido non necessariamente richiede l’intervento del brett. Potrebbe venir fuori una birra piacevole comunque.
Ciao Frank,
scrivo sotto questo post perchè mi sembra il più affine al mio problema.
Ho fatto una blanche 2 mesi fa.
Adesso versandola, è completamente limpida, quasi acqua.
Il sapore è acidulo e molto secco, sembra praticamente un sidro di mele.
Sicuramente ho preso un infezione, ma vorrei capire data da quale lievito (possibilmente per capire in che punto della lavorazione possa averlo preso).
La birra non è sovracarbonata, il che mi fa pensare che l’eventuale lievito abbia “mangiato” solo la parte torbida (amido?) e non ha prodotto CO2, potrebbe essere un acetico che ha elaborato l’amido + ossigeno + alcool?
Grazie mille
Hai misurato il pH? Presenta difetti organolettici? Sei sicuro che sia infetta?
La limpidezza con il tempo arriva, in genere, semplicemente perché le proteine si aggregano e precipitano sul fondo. Ci sono situazioni in cui i lieviti possono rilasciare – in condizioni di stress – degli enzimi che si chiamano proteasi, che scompongono le proteine più grandi. Ma non so se questo sia il caso, dovrebbe anche essere distrutta la schiuma.
Non esiste un unico lievito “mangia-proteine”. Oltre alla limpidezza e alla sovracarbonazione (che potrebbe essere semplicemente segnali di invecchiamento), noti altro?
Grazie mille per la risposta rapidissima.
Secondo me è infetta più che altro per la spiccata acidità, è quasi come bere un faro, o almeno una sorta di proto-lambic gasato. è un acido fruttato, tutto sommato piacevole, ma appunto sembra più un sidro che una blanche. sicuramente fuori dal range acidulo di una birra sana. Ossidazione non mi sembra presente.
La schiuma c’è, ma dura poco.
Altro dettaglio, forse non proprio marginale, è le terza cotta che mi si rovina in maniera quasi identica.
Sostituito rubinetti, tubi, asta imbottigliatrice ma nulla. manca solo il bidone di plastica.
può quindi essere un’infezione, ma che non c’entri nulla col fatto che sia limpida?
Ho letto la guida “The complete beer fault guide” che avevi consigliato su Mash Out! Podcast, ma non ho trovato un carattere specifico per riconoscere il tipo dell’eventuale infezione, o almeno, le mie capacità sensoriali non riescono a trovare una caratteristica così peculiare da essere riconosciuta, in inglese poi…
Hai misurato il pH? Giusto per capire di quale livello di acidità stiamo parlando. A ogni modo, se è davvero acida si potrebbe trattare probabilmente di pediococchi, resistenti al luppolo e forti acidificatori. I Brett non acidificano in genere (e se lo fanno producono acido acetico), mentre la maggior parte dei batteri lattici non resistono a concentrazioni di iso-alfa-acidi maggiori di 10 IBU. Però, trattandosi di una Blanche, potresti essere al limite.
Appena possibile provo il Ph, in che range dovrebbe essere per pensare ad un infezione?
Sentori di brett classici non ne sento (intendo il classico funky da brett), a questo punto penserei ad un lattico.
Mi rimane il dubbio della non sovracarbonazione. queste infezioni non dovrebbero produrre CO2? o c’è qualche lievito che non ne produce?
Grazie mille
Alcuni lattici e anche pediococchi possono acidificare senza produrre CO2. I lieviti in genere la producono. Il range tipico di pH per una una birra finita è 4-4.5
Rettifico il messaggio di prima, non intendevo amido ma proteine 🙂 ho sbagliato proprio il termine. quindi sono alla ricerca di un lievito mangia proteine.
Ciao Frank,
avrei una domanda su E+G e mi scuso se già trattato precedentemente
in E+G, con riferimento all’infusione dei malti speciali, fermo restando il potenziale iniziale (1,030/35), è stimabile una % media di estrazione rispetto al normale mash
grazie 1000
Andrea
Mi terrei su classico 60%. In genere l’errore è poco visto che i malti sono una % ridotta sull’intero grist