mashing

È un po’ che volevo trattare questo argomento sul blog. Purtroppo la mancanza di esperienza personale nella gestione degli step di mash mi ha sempre frenato. Pensavo: ma chi sono io per parlare di step visto che nel 99% dei casi non ne faccio mai più di uno? Poi però ho pensato che sarebbe stato comunque un argomento interessante da approfondire e quindi mi sono lanciato lo stesso. Ho ben evidenziato le mie opinioni che, come tali, sono del tutto personali e discutibili. Io vi racconto perché faccio o non faccio una certa cosa, poi ognuno è libero di procedere come meglio crede. La discussione è aperta, insieme scopriremo  sicuramente qualcosa di interessante.

Acid rest (35-45C)

Il range che di solito viene dato a questo step è piuttosto ampio. Diverse fonti lo chiamano in modo differente, principalmente a causa dei diversi enzimi che si attivano in un range di temperature così ampio.  Da quello che ho potuto capire, i principali fenomeni in causa sono tre:

  • produzione di acido fitico
  • riduzione dei beta glucani (catene di zuccheri complesse che hanno consistenza viscosa)
  • produzione di acido ferulico

Il primo (l’acido fitico) serve principalmente ad abbassare il pH di mash. Non ho idea di quanto la sua azione sia efficace, ma visto che ormai abbiamo a disposizione diversi acidi alimentari per abbassare il ph di mash (oltre a malti già acidificati), non vedo ragione per promuovere l’attività dell’enzima che produce questo acido. Si ricorreva a questo enzima in tempi remoti, quando era vietato utilizzare nel mash additivi per ridurre l’acidità.

Gli altri due fenomeni sono invece più interessanti, affrontiamoli uno alla volta.

Beta-glucan rest (40-45C)

I beta-glucani sono dei particolari polisaccaridi (composti dello zucchero) dalla consistenza viscosa. Sono presenti in quantità significativa in tutti i cereali non maltati (la maltazione li degrada). Il grano, l’avena e la segale in particolare sono ricchi di beta-glucani. L’avena viene infatti utilizzata spesso per dare un mouthfeel “setoso” alla birra, proprio per l’alta concentrazione di beta-glucani. Oltre a contribuire al mouthfeel della birra, però, una concentrazione troppo alta di beta-glucani rischia di rendere il mosto “collosobloccando lo sparge.

Per questa ragione, nel caso di mash in cui si utilizza una alta percentuale di avena (diciamo superiore al 5%) o di cereali non maltati (si pensi alla ricetta di una blanche in cui facilmente si arriva a una percentuale di grano non maltato superiore al 50%) di solito si pratica uno step per la riduzione dei beta-glucani. Diversi sono gli enzimi che degradano i beta-glucani, ma il principale (vedi link) è attivo intorno ai 45C. Agisce in 10-15 minuti.

Ha senso fare questo step? Personalmente, non l’ho mai provato. Utilizzando la tecnica BIAB, non ho problemi di stuck sparge e quindi non mi pongo nemmeno il problema. Indubbiamente può essere uno step utile, ma se l’obiettivo è solo quello di evitare uno stuck sparge, ricorrerei piuttosto alla lolla di riso: costa poco ed è facile da usare (si tratta delle glumelle che vengono separate dai chicci di riso).

Ferulic rest (43-45C)

Questo step idrolizza (ovvero scioglie in acqua) l’acido ferulico presente nel malto. L’acido ferulico è un precursore del 4-viFerulic acidnil-guaiacolo. Con precursore si intende un composto che viene elaborato in uno step successivo per produrre qualcos’altro. In questo caso, l’acido ferulico durante la fermentazione perde una molecola di Co2 e si traforma in 4-vinil-guaiacolo noto per il suo aroma di chiodo di garofano (classe dei fenoli) tipico delle weizen (fonti: Leedsbrew o BYO). C’è da dire che il lievito weizen produrrebbe comunque questo componente aromatico durante la fermentazione, ma una concentrazione maggiore di acido ferulico dovrebbe aumentarne la produzione.

Vale la pena fare questo step? C’è chi ha provato a fare un esperimento comparativo (sempre lui, il mitico braukaiser) senza notare particolari differenze tra la weizen prodotta con il ferulic rest e quella senza, a parità di altre condizioni.

La mia opinione personale: dato che il livello di fenoli si può controllare tramite una attenta scelta del lievito e ovviamente tramite la temperatura di fermentazione, evito di passare tramite il ferulic rest: questo rappresenterebbe un’altra variabile da gestire rendendo difficile poi correlare causa e effetto per un eventuale tuning della ricetta. Tra l’altro è impossibile determinare quanto acido ferulico viene prodotto dato che non esiste un test che verifichi la quantità di questo composto idrolizzata nel mash (tipo un test dello iodio per l’acido ferulico, per capirci). Forse lo userei come ultima risorsa se dopo diverse prove con lieviti e temperature non riuscissi a produrre una weizen con un sufficiente aroma di chiodi di garofano. C’è da dire però che, dato che non amo particolarmente le weizen, questa esigenza probabilmente non la sentirò mai.

Protein rest (45-59C)

Del protein rest abbiamo già parlato ampiamente in quest’altro post. In estrema sintesi, si tratta di uno step che favorisce l’azione degli enzimi proteolitici che degradano le proteine presenti nei malti. Il range di temperatura è piuttosto ampio: lavorando nella parte alto o bassa del range si favorisce un enzima piuttosto che l’altro. Il principale obiettivo diProtein rest questo step è quello di degradare le proteine in modo da rendere gli amidi più facilmente accessibili agli enzimi e ridurre la possibilità di chill haze nella birra finita (la chill haze potrebbe trasformarsi con l’ossidazione in haze permamente).

Serve davvero? Non saprei. Teoricamente, con il livello di modificazione dei malti moderni, non sarebbe necessario. C’è poi chi sostiene (anche a ragione, per carità) che alcune partite di malto possono essere difettate e non sufficientemente modificate. C’è quindi  chi lo fa comunque per evitare brutte sorprese.

La mia opinione personale: molti dicono che “male non fa”, ma in realtà esiste il rischio di degradare troppo le proteine che aiutano la schiuma (anche se non è chiarissimo quale tipologia di proteine favorisca realmente la schiuma). Per questa ragione, di solito lo si fa al limite alto del range (intorno ai 55C) per pochi minuti (una decina) in modo da favorire l’enzima che spezza le proteine in catene più lunghe di aminoacidi. Probabilmente è uno step utile quando si utilizzano cereali non maltati o cereali con un alto valore proteico (come per esempio il grano) in quanto aiuta ad aumentare l’efficienza e a evitare la formazione di uno strato di proteine durante lo sparge che potrebbe bloccare il lautering (link). Non avendo problemi di sparge (utilizzo la tecnica BIAB) io lo evito a prescindere, ma probabilmente in questi ultimi casi ha senso farlo.

Alpha e beta amylase (60-72C)

Sulla funzione di alfa e beta amilase non mi voglio soffermare: è scritto ovunque cosa fanno e a cosa servono. In estrema sintesi: l’enzima beta amilase catalizza una reazione che dall’amido produce una percentuale più alta di zuccheri semplici, mentre l’enzima alfa amilase spezza gli amidi producendo una buona parte di destrine non fermentabili dal lievito. Questo è più o meno noto a tutti.

Quello su cui vorrei ragionare, invece, è la ragione per cui tante persone prevedono nelle ricette diversi step in questo range. Molto comuni sono due step, uno a 63C per favorire inizialmente il lavoro della beta amilase (ca. 30 minuti) e poi uno successivo a 70C (15/20 minuti) per favorire l’altro enzima, la alfa amilase.

Living enzymeQuello che mi chiedo è: perché fare questi step? Perché non farne uno solo in cui lavorano entrambi gli enzimi? Le risposte che leggo più spesso sono diverse e contrastati tra loro. C’è chi dice che in questo modo si rende il mosto più fermentabile, chi invece sostiene che accorciando lo step della beta amilase e passando a quello della alpha si ottiene un mosto fermentabile ma con un po’ di corpo. I testi generalmente sono più allineati sulla prima teoria, quella del mosto più fermentabile (infatti si tratta di una successione di step che si utilizza generalmente per produrre birre in stile tripel e saison, dal finale molto secco).

Personalmente, credo che a livello casalingo sia veramente difficile azzeccare i tempi giusti per passare dal primo al secondo step. Il rischio è che quando arriviamo al secondo step gli amidi siano stati già tutti convertiti in zuccheri. Un modo per gestire la transizione tra gli step è quella di misurare con un rifrattometro la densità del mosto durante il mash, alzando la temperatura quando questa ha raggiunto una quota percentuale della densità che ci aspettiamo a fine mash (di fatto si fa partire l’enzima alfa prima che l’enzima beta abbia finito la conversione). E’ una cosa che si può fare e che indubbiamente garantisce una certa ripetibilità al processo. Ma la domanda rimane: ne vale veramente la pena?

Opinione personale: penso di no. Preferisco controllare la fermentabilità del mosto con un singolo step o eventualmente variando la percentuale di aggiunte non fermentabili (i malti crystal, per esempio, anche se a fronte di esperimenti pratici è emerso che i malti crystal influiscono in realtà molto poco sulla fermentabilità). Ripetere “a pappagallo” gli step di una ricetta presa da internet senza verificare l’effettiva azione degli enzimi secondo me può essere, oltre che inutile, anche pericoloso: il rischio è di far lavorare solo il primo degli enzimi (la beta amilase) alzando la temperatura quando ormai la alfa amilase non ha più nulla da convertire. Risultato? Un mosto estremamente fermentabile e una birra sbilanciata e probabilmente anche priva di corpo. A mio avviso può aver senso applicare diversi step in questo range solo dopo aver provato il single step senza risultati apprezzabili.

Step per migliorare la schiuma (70-72C)

Questo è uno step quasi mitologico di cui ogni tanto si sente parlare. Del resto, si sa, qualsiasi homebrewer sarebbe disposto a vendere un rene o anche un parente pur di migliorare la schiuma delle birre che produce. Il fatto è che la schiuma dipende da tanti fattori e difficilmente un semplice step di mash porterà grandi risultati. Molti dimenticano che spesso la vera ragione dietro a schiume “tristi” risiede nei cosiddetti foam killers, ovvero quelle sostanze che ostacolano la formazione e ritenzione della schiuma (come per esempio alcuni prodotti di fermentazioni mal gestite). Ma questa è un’altra storia. Torniamo a bomba.

Documentazione non se ne trova granché, anche se il solito Braukaiser in questo post affronta vagamente il tema. In realtà lui chiama questo step dextrinization step: a questa temperatura infatti lavora l’enzima alfa amilase che, nel caso in cui la beta non abbia terminato il suo lavoro nei tempi, completa la saccarificazione producendo qualche destrina in più. Come piccola nota, Braukaiser aggiunge che a questa temperatura si formano delle glicoproteine che aiutano la ritenzione e la formazione della schiuma. Da questa postilla è scaturita probabilmente la corsa folle degli homebrewers allo step a 72C, ormai entrato nella mitologia.

Serve davvero questo step? C’è gente disposta a giurare sui propri genitori che da quando passa per questo step la schiuma delle proprie birre è migliorata nettamente. Sarà vero? Bah, non saprei. Può anche darsi. Come già detto, la schiuma dipende da tantissimi fattori. Potete farlo se volete, non credo abbia dei risvolti negativi (a meno della perdita di tempo). Inutile dire che io non lo faccio. Siate comunque certi che il discorso sulle paranoie degli homebrewer per la schiuma non finisce qui. Questo era solo l’inizio. 😉

46 COMMENTS

  1. Ma lo step in cui lavorano entrambi qual è? Perchè anche qui si trova tutto e niente. Si trovano range di temperatura che si intersecano e altri che non si intersecano. Io, sinceramente, ho sentito dire addirittura che facendo lavorare entrambi gli enzimi contemporaneamente si ottenga un mosto ancora più fermentabile, ma questo non mi torna tanto. Comunque, io personalmente alla domanda “ne vale veramente la pena?” risponderei di si. Premetto che non ho mai fatto all grain, farò la mia prima domenica, ma finora mi sono documentato parecchio. Il metodo che hai suggerito te, che avevo più o meno in mente anche io (quello di misurare via via la densità col rifrattometro e cambiare step quando si è raggiunta una certa densità), mi sembra il metodo migliore e più “preciso” (lo metto tra virgolette perchè non c’è niente di matematico per poterlo considerare preciso). Inoltre, credo che controllare la fermentabilità coi non fermentabili apporti comunque certi aromi che magari non sempre sono voluti (magari anche no, o magari la quantità è così bassa che non sono avvertibili). In ogni caso, nel dubbio, credo sarebbe meglio controllare la fermentabilità con gli step, così siamo sicuri che l’aroma non ne risente. Ripeto, parlo senza la minima esperienza. In particolare pecco soprattutto di conoscenza riguardo ai non fermentabili

    • Ciao Alberto, dici cose assolutamente logiche. Anche io ho letto (credo su un libro di palmer) che in realtà il mash a 66 renderebbe il mosto più fermentabile di uno a 64. Bah, sinceramente non saprei (bisognerebbe fare delle prove ripetute). Io credo comunque che si possa avere un buon controllo sulla fermentabilità anche con il monostep, riducendo le variabili in gioco. Banalmente, per fare delle prove con due temperature devo variare due punti di controllo, se lo faccio con una sola diventa tutto più semplice. Inoltre credo che il grado di fermentabilità del mosto si possa ben gestire anche con un limite di errore. Voglio dire, se la mia birra finisce a 1014 invece che a 1013, non cambia granché. Senza bisogno di scervellarsi con doppi e tripli step. Ma questa, ripeto, è la mia opinione che fa parte del mio approccio alla produzione della birra: curare quello che per me conta e ha un effetto significativo sul risultato finale.

      • D’accordissimo sul limite di errore, credo che un homebrewer debba limitarsi a fare un mosto con “più o meno corpo”, se si mette a calcolare la FG non ne esce più e rincretinisce. Comunque, come dici te, l’importante è fare le cose con logica (che tra l’altro è una regola che dovrebbe valere per ogni aspetto della vita e non solo per la birra :D). Di sicuro fare lo step dell’alfa amilasi dopo 40 o 50 minuti è illogico, di sicuro è logico farlo quando siamo a un tot della OG desiderata. Al massimo si può accettare un “faccio lo step dopo 40 minuti perchè ho visto che solitamente dopo questo tempo arrivo alla percentuale di OG desiderata”. Io comunque credo che tenterò con lo step per l’alfa, se dopo qualche tentativo non riuscirò a gestire la fermentabilità come voglio passerò ai non fermentabili. Se è vero che i crystal non influiscono tanto sulla fermentabilità mi butterò sul carapils (oppure anche questo è da ascriversi ai crystal?)

        • Il capils subisce un processo di produzione diverso dai crystal che porta a una buona percentuale di destrine non fermentabili. Almeno così dichiara la Weyermann.

      • Assolutamente d’accordo, è molto più semplice e ripetitivo il monostep per noi HB. Inoltre conoscendo la cinematica/dinamica di lavoro di alfa e beta amilasi, è più sicuro lavorare con un monostep, il rischio di sbilanciare troppo la birra è più remoto.
        Comunque una buona spiegazione dell’attività combinata di alfa e beta si trova anche online su howtobrew

        http://www.howtobrew.com/section3/chapter14.html

        come è ben spiegato, alfa e beta lavorano in combinazione per una questione di dimensione dei singoli enzimi. Da solo beta non è in grado di convertire tutto, e viceversa.

        Commento a latere: questo ci fa capire quanto sia difficile ottenere il mosto che abbiamo in mente se si parte dal presupposto che basti fissare una o più temperature. Dipende anche dalla temperatura, ma dipende dal ph, dall’impianto, dal mescolamento del mosto………

  2. Basta! Complimenti non ve ne faccio più… Quando vedete il mio nome dateli per scontato!
    Scusate il grado di pivellanza, in molte ricette che ho letto (quasi tutte a dire il vero) leggo spesso d uno step finale di “mash out” a 78° per 15′ che mi suona di pastorizzazione ma non mi spiego visto che dopo si bolle per 60\90 minuti.
    Cos’ é? A che serve? É necessario? Ci azzecca qualcosa anche col BIAB? Varie ed eventuali.
    Grazie.

    • L’avevo tralasciato perché non è uno step in cui agisce un qualche enzima, quindi mi sembrava poco interessante sotto questo punto di vista. Il mash out serve per denaturare gli enzimi beta e alfa e quindi bloccarne l’attività. Nel BIAB ovviamente non ha senso, ma per chi fa sparge (specialmente fly sparge) è utile perché gli enzimi potrebbero continuare a lavorare anche durante lo sparge variando il grado di fermentabilità del mosto. Se uno non lo fa non credo cambi granché a mio avviso. Ma tutti lo fanno, quindi… 😉

      • Ciao, bellissimo articolo! Butto qualche mio commento di qua e di là.

        Il mash-out è molto utile anche per chi fa BIAB, dato che il passaggio a 78° (meglio anche 80) per circa 10 minuti rende molto più fluidi gli zuccheri, rendendo la filtrazione molto più efficiente e semplice. Provare per credere, lo strizzaggio della sacca (con tutti i problemi di estrazione di “melma” correlati) diventa praticamente inutile, basta lasciarla appesa a colare sopra la pentola che intanto va a ebollizione!!

        • Lo pensavo anche io marco, poi ho provato e ho visto che non è cambiato granché. Quindi ho lasciato perdere.

  3. Lo step a 72 mi sembra si chiami betaglucanase rest e si visto che danni non ne fa io alla fine lo faccio.
    Anche se mi hai messo voglia di approndire la cosa….

  4. Ciao Frank, siccome anch’io ho letto tanto su gli step di mash e ho fatto alcune prove ripetendo le stesse ricette, porto qualche considerazione sulle mie esperienze…
    La differenza principale che ho notato ad esempio facendo una pils con doppio step 62-63°C poi 69°-70°C è che il tempo di conversione completa è più lungo rispetto ad un mash in monostep a 65-66°C…

    • Sicuramente è così, dato che la beta lavora molto più lentamente della alfa amilase per via della temperatura più bassa.

  5. Prima di tutto grazie per la condivisione delle notizie che esponete sulle vostre pagine. Complimenti per la chiarezza e per la grande semplicità di descrizione con cui trattate ogni argomento. Permettetemi una domanda che magari alla luce della vostra esperienza può risultare banale o addirittura fuori luogo: in caso di effettuazione dello step per la riduzione dei beta-glucani, l’avena o gli altri cereali non maltati devono essere inseriti nel MLT assieme ai grani che compongono l’intero grist oppure da soli? Grazie

    • Ciao Osvaldo, e grazie. Non ho mai fatto il betaglucan rest, ma a senso direi che puoi anche inserire tutti i grani nello stesso momento. Non credo gli altri grani ne risentano. Inoltre, dato che deve agire un enzima che è presente in tutti i grani (la betaglucanase), se metti solo l’avena rischi che sia troppo diluito e non agisca in maniera efficace.

      • Ciao Frank, grazie per la disponibilità nel darmi una risposta chiara e precisa.
        Il movimento HB ti sarà sicuramente grato per tutto quello che scrivi su queste pagine. Grazie ancora.

  6. ecco trovato il nome glycoprotein rest..

    anche se a parte su forum australiani di HB non ho trovato approfondimenti..
    se qualcuno ha info piu precise ….

  7. Finalmente leggo un articolo semplice, che in 2 parole spiega i vari step, ma che soprattutto promuove la semplicità!
    W la birra,

  8. Rieccomi (spero nel post giusto).
    Ma ha senso fare step specifici (42 o 52 o entrambi) nel caso di presenza,seppur piccola, di fiocchi ?
    C è reale beneficio ?
    Qualcuno ha mai provato a fare mash in solo dei fiocchi e poi salire e fare mash in dei malti ?
    Funzia o ca…ta colossale ?

    Grazie per le letture didattiche e scanzonate.

    • Per pochi fiocchi (diciamo sotto al 15%), non ce ne è assolutamente bisogno a mio avviso. Ma probabilmente non ce n’è bisogno nemmeno per percentuali più alte (poi dipende dai fiocchi: l’avena non maltata è molto più gommosa dell’orzo non maltato e intoppa più facilmente lo sparge. Ma quante birre con avena al 15% farai in vita tua?). Io sono della scuola: non complichiamoci inutilmente la vita. Poi, al solito, ognuno fa quel che vuole

  9. Concordo sul non complicarsi la vita. Ma sono alla ricerca di una buona esecuzione e una schiuma decente.
    Il prossimo tentativo sarà una biab con qualche fiocco, magari avena e frumento max totale 10%, e, visti i suggerimenti, single step intorno ai 68.
    E che dio me la mandi buona… la birra.

    • Guarda Damiano, si pensa sempre che i fiocchi siano la soluzione per una buona schiuma, ma non è affatto così. Certo, una buona dose di qualsiasi cereale non maltato (che siano fiocchi o no) aiuta (in parte) a sostenere la schiuma per il maggiore apporto proteico rispetto al cereale maltato. Ma per avere un impatto significativo sulla schiuma, a mio parere, bisogna usarne in quantità andando a influire anche sul sapore e sull’aspetto (torbidità, chill haze). Pensare che un 5% di fiocchi risolva i problemi di schiuma, a mio avviso, è fuorviante. Ne parlai tempo fa in un post, magari dagli una letta:

      http://brewingbad.com/2015/05/leterna-lotta-tra-lhomebrewer-e-la-schiuma/

  10. Inizio con congratularmi per l’articolo finalmente chiaro e soprattutto dettagliato. Tuttavia da neofita, non mi è chiaro il pezzo “Un modo per gestire la transizione tra gli step è quella di misurare con un rifrattometro la densità del mosto durante il mash, alzando la temperatura quando questa ha raggiunto una quota percentuale della densità che ci aspettiamo a fine mash”..
    Ipotizziamo di aver ben chiaro l’OG, e anche l’OG preboil, sulla base di cosa si decide la percentuale che mi “suggerisce” il passaggio ad esempio da beta a alfa? Se il profilo della birra ad esempio mi suggerisce un corpo da medio a medio-pieno, e magari OG 1.070 , come decido di passare da uno step ad un altro?
    Grazie

    • Ciao Davide, grazie per i complimenti. Premetto che il multistep per la saccarificazione non lo faccio praticamente mai, appunto perché secondo me il momento del passaggio da una temperatura all’altra è molto difficile da valutare. Il metodo della misura con il refrattometro è praticato da diversi homebrewer, ma credo che comunque si basi sull’esperienza e non su numeri esatti. Spesso si ragiona semplicemente in base ai minuti di permamenza su ogni step, sapendo che mediamente la conversione a 62 gradi si completa in 90 minuti mentre a 72C in una ventina di minuti. Quindi se lascio quaranta minuti a 62 e poi passo a 72 per altri 20 minuti, presumibilmente avrò un mosto ben fermentabile ma con un minimo di corpo residuo. Però, ti ripeto, siamo nel campo delle ipotesi e della teoria. Spero di non averti confuso ancora di più le idee. 🙂

  11. Effettivamente anche io sono un sostenitore del monostep, e su cotte multi-step non ho mai trovato grossissime differenze. Però mi sono posto il problema e onestamente pensavo così.. SG mosto appena aggiunti i grani dovrebbe essere 1.000 o giù di li.. OG PREBOIL 1.070 e lo stile mi propone corpo medio faccio BETA fino a che ottengo magari 1.035 e poi faccio ALFA fino al termine.. se so stile mi propone corpo basso faccio tutto BETA e se corpo alto spingo magari più l’ALFA.. sto dicendo eresie?

  12. Condivido in pieno l’articolo anche io con il Braumeister ho notato che facendo un monostep si hanno vantaggi rispetto ad i multi step. Una domanda in una brown ale dove il corpo di solito è medio faresti un monostep a 66°?

  13. E’ bellissimo leggerti Frank… innanzitutto perchè incarni esattamente il mio stile di fare birra (e cioè “tutto quel che è superfluo lo elimino e cerco di fare tutto al meglio nel minor tempo possibile”).
    E leggere “questo step serve a questo questo questo questo… IO NON LO FACCIO” E’ bellissimo ahahaha
    Praticamente tutto questo popo di articolo… per dire che fai solo monostep a 66 gradi e tutti gli altri li ritieni inutili!!! Sei un genio… fossero tutti come me e te non ci sarebbe bisogno di migliaia di forum e guide per fare la birra…
    Dovremmo fare un libro io e te!! Lo chiamiamo “BIAB fast and clean”…
    10 pagine totali… sarebbe un best-seller… PENSACI!!!

    P.S.
    Ovviamente i complimenti per l’articolo (seppur vecchio come ti dicevo ho avuto un anno di stop dai “lavori” e mi ci sto mettendo ora a cercare info e a leggere in giro, vedrai miei commenti anche su altri post probabilmente).

  14. Frank ti chiedo un consiglio: voglio fare una weiss (so che non è tra i tuoi stili preferiti).
    Ne ho già fatte tre in multi step ma tutte sono risultate con poco corpo.
    Pensavo a questo punti di provare un monostep alto sui 69 Gradi.
    Vista la grande presenza di grano (55%) posso avere problemi con le proteine saltando step a basse temperature? (range 45-60)
    Attendo fiducioso un tuo consiglio 🙂

  15. Potresti avere problemi di stuck sparge, ma non ho grandi eaperienza in merito avendo fatto poche birre con sparge (e cma non weizen). Magari fai un semplice mashin a 52 e sali di un grado al minuto fino a 69.

    • Grazie mille del consiglio Frank.
      Farò come dici e poi ti dirò se il risultato sarà stato piacevole (o te le mando se vuoi 😀 )

  16. frank anche io volevo chiedere un consiglio:
    ho fatto una cotta con 90%di pils eraclea della Wayermann con acqua in bottiglia (Ca 32mg/l SO4 22mg/l Na 8mg/l durezza 10F°).. ho fatto mash in a 45° e poi a salire fino a 64 dove mi sono fermato per 80 min. poi 72° per 10min e 78° per 10 min. appena ho raffreddato la birra è diventata torbidissima. Ho luppolato fino a 25ibu con pellet libero.
    Secondo te dovevo fare un protein rest? o cosa può essere successo?
    Grazie…e complimenti per quello che scrivi (..grazie anche per come scrivi)

    • Non capisco quando si è intorbidita: al cold crash o dopo il raffreddamento post boil? Non ho capito nemmeno perché hai fatto lo step a 45°C “a salire”, che alla fine dovrebbe cmq includere il protein rest. Se ti spieghi meglio cerco di valutare, anche se la risposta non saprei probabilmente dartela lo stesso. 🙂

      • si è intorbidita nel raffreddamento post boil.
        Lo step a 45° l’ho fatto per includere il protein rest… non conoscevo la quantità di proteine del malto. Volevo in qualche modo mettere le mani avanti per evitare troppa torbidità..

        • Secondo me lo step a 45°C è troppo basso, meglio farlo intorno a 50°C per una decina di minuti e poi salire. Comunque è normale che post boil un pò la birra si intorbidisca, per via dei blocchi di proteine in sospensione. Fammi sapere poi come va a fine fermentazione, dopo il cold crash.

  17. Ciao…rispondo dopo aver travasato e portato a 2 gradi. È ancora molto torbida…ho diviso in 2 contenitori..in uno ho messo isinglass e nell’altro ho messo sol di silice…ma dopo 2 giorni è ancora torbida, tipo juicy.
    Avevo messo da parte anche 2 litri di mosto per fare il krausening sempre in frigo…ma sembra proprio succo di frutta.

  18. Ciao Frank,
    Lavorare in partial mash può fare differenza??? Mi spiego…se lavoro con tutti grani (grist 95% pils, 3% carapils e 2% carahell) e con un certo lievito ( THY dry belgian ale molto attenuante) a 64°C di mash ottengo una certa FG (parto da 1062 ad arrivo a 1009) ..al contrario inserendo una buona percentuale di estratto extralight arrivo a FG prossime a 1000 utilizzando come programma beersmith!
    SmanettNdo un po’ solo alzando il mash a 69°C o facendo un primo step a 63 e poi il secondo a 69 ottengo una FG di 1006… Ci sta???

    • Guarda, le previsioni sulle FG sono sempre un terno al lotto. L’unico modo per scoprire se è realistica è produrre la birra e misurare!

  19. È vero….te lo chiedo XChe io ho sempre notato che usando anche gli estratti spesso le FG arrivano al limite di attenuazione del lievito per cui valutavo l’idea di alzare la temperatura di mash per bilanciare il tutto!!!

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