Insieme alle Irish Stout, le Irish Red Ale sono un altro mio pallino. Si tratta di uno stile poco battuto e poco bevuto, persino in Irlanda, dove teoricamente sarebbe nato. Non mi dilungherò sulle caratteristiche dello stile, di cui ho già scritto abbondantemente nel post dedicato alla precedente versione di questa birra (link). Credo invece sia molto più interessante analizzare questa versione della birra: riuscita decisamente meno bene della prima, il nuovo lotto della Erin Go Bragh rappresenta secondo me un interessante caso di studio. Una di quelle birre che piacciono ad amici e parenti e anche a te stesso se non ci rifletti bene; alla fine, però, se hai altre birre in fresco, finisci per lasciare le bottiglie di questa Irish Red Ale sugli scaffali del frigo per mesi.
Perché in fondo, se ci rifletti bene, questa birra non ti convince.
Ma cosa è andato storto? Un’idea me la sono fatta: non è detto che sia l’unica spiegazione né quella corretta, ma a me convince abbastanza. La birra non è da buttare, ma ha quel “saporetto” di birra fatta in casa che da tanto non mi capitava di trovare nelle mie produzioni.
RICETTA
Rispetto alla versione precedente, ho eliminato il crystal a basso EBC per arginare l’effetto caramelloso, affidando il compito a un unico malto Crystal 60L (circa 130 EBC). Il tocco di Roasted Barley per me rimane fondamentale in questo stile, sia per il contributo al colore (sfumature di rosso rubino), sia per il leggerissimo tocco tostato sul finale. L’EBC complessivo calcolato è leggermente fuori stile, ma il colore nel bicchiere mi sembra in linea.
Per quanto riguarda il luppolo, avrei usato luppoli inglesi ma avevo avanzi dello sloveno Styrian Fox e ho usato quello, che ha un profilo leggermente speziato e poco invadente. Il contributo in aroma è comunque minimale per via del bassissimo dosaggio a fine bollitura.
Come lievito ho utilizzato il mio cavallo da battaglia della stout, l’Irish Ale della White Labs (WLP004), con apposito starter. Non ha una grande attenuazione, ma nel caso di basse OG è un bene perché lascia un filo di corpo. Purtroppo, vedremo che il lievito è stato probabilmente il punto debole di questa produzione.
FERMENTAZIONE
Nulla di particolare. Ho utilizzato il profilo classico che applico anche alla mia Irish Stout.
Imbottigliamento a 2.5 volumi con destrosio.
ASSAGGIO
Eccoci arrivati al punto dolente. Questa è la birra di cui l’homebrewer alle prime armi si vanterebbe nei forum. Aspetto perfetto: leggermente velata, man mano che si scalda diventa quasi limpida; colore azzeccatissimo; schiuma impeccabile che persiste per tutta la bevuta. La birra ideale per una bella foto da postare sui social. Cosa che ovviamente anche io ho fatto, prendendo un bel po’ di like. Esperimento riuscito.
Ho sperimentato anche la prova di assaggio dell’amico inesperto. L’ho messa nel bicchiere di un mio carissimo amico che apprezza la birra ma non ha conoscenze particolari su stili e birrifici. Beve sia artigianale che industriale, senza farsi troppi problemi. Il suo commento, senza sapere che nel bicchiere avesse una mia birra, è stato: “Ammazza, bona sta birra! Cos’è?“.
Ho incassato il complimento, perché alla fine fa sempre piacere. Ma dal mio punto di vista, purtroppo, questa birra non è per niente riuscita bene. Si beve, per carità, e infatti la sto bevendo, ma è tutt’altro che perfetta. Ha quel sottile sentore di “birra fatta in casa” che da tanto tempo non mi capitava di trovare nelle mie birre. La ricetta secondo me ci sta, e infatti la rifarò senza cambiare il grist. Dov’è allora il problema? Nell’acqua? No, non direi. Tra l’altro pH di mash e della birra finita sono a posto. Il problema, secondo me, è nella fermentazione.
Passiamo all’analisi organolettica della birra in questione, per farci un’idea di come si presenta nel bicchiere.
ASPETTO Nel bicchiere è molto bella. Schiuma beige, a grana medio/fine. Ottima persistenza per una birra così leggera: un velo di schiuma rimane nel bicchiere per tutta la bevuta. Colore ambrato carico, con riflessi rubino in controluce. Leggermente velata, quando si scalda un po’ la limpidezza migliora ancora.
AROMA Qui iniziano i primi problemi. La base c’è: il caramello si sente, leggero, accompagnato da note di crosta di pane e una leggerissima sfumatura tostata. Fanno una timida comparsa toni di uvetta e frutta secca, ancora tutto sommato in stile. Annusando meglio, però, mi sono reso conto che c’è qualcosa di strano. Inizialmente è un difetto difficile da inquadrare, ma percepisco nettamente qualche nota che stona nell’armonia olfattiva complessiva. Con un po’ di concentrazione sono riuscito a collocare queste sfumature aromatiche nel perimetro della frutta. Frutta matura, nello specifico: banana, mela gialla e forse addirittura albicocca. Queste note fruttate sono fuori contesto, anche se non sono spiacevoli in assoluto.
AL PALATO Entra con le prevedibili note di caramello, soffiate via da un amaro non pulitissimo ma bilanciato. Nel mezzo c’è un bel po’ di confusione: si alternano caramello, note dolciastre, amaro, qualche sentore fruttato. Rimane tutto molto confuso per qualche istante, salvo poi aprirsi sul finale con piacevoli note tostate, leggera nocciola e un accenno di noce. Ma è il “mezzo” a non convincermi affatto, con le sue punte fruttate che mandano il palato in confusione.
MOUTHFEEL La birra è watery il giusto. Scende giù bene senza derive eccessivamente acquose. Carbonazione perfetta, direi, senza sorprese da ripartenza del lievito in bottiglia. Su questo aspetto direi che ci siamo.
IMPRESSIONI GENERALI Per me il grosso problema di questa birra sono le note fruttate: rendono il profilo aromatico confuso e inutilmente complesso. Non arrivano al livello di difetto vero e proprio, non sento note di solvente per capirci, ma tutta questa frutta matura non mi piace. La birra poi si beve, per carità, è la classica birra che amici e parenti definirebbero ottima ma che non lo è affatto. È la birra che l’homebrewer alle prime armi spedirebbe a un concorso aspettandosi giudizi lusinghieri, salvo ricevere poi una sonora bastonata. È la birra che ci metti un po’ a capire cos’ha che non va, ma quando ce l’hai in frigo al fianco della doppelbock che hai fatto qualche tempo fa, finisci sempre per scegliere di bere la doppelbock (che tra l’altro nemmeno lei è perfetta).
Ma cosa è andato storto?
La mia idea è che la fermentazione non sia andata bene. Un primo segnale è stata la lentezza delle bolle che uscivano dal gorgogliatore: di per se’ non sono un segnale in assoluto negativo, ma mi parevano un po’ lente. Come se il lievito facesse fatica. Ovviamente avevo fatto uno starter, calcolando il volume con il solito calcolatore online di Brewer’s Friends:
Mi sarebbero servite circa 90 miliardi di cellule, ne avevo (teoricamente) circa 50 miliardi. Con uno starter da mezzo litro, con agitatore, sarei arrivato a 125 miliardi secondo le stime di Braukaiser. Volevo comunque fare uno starter da un litro, perché da mezzo mi sembrava davvero poco per una riproduzione ottimale, ma alla fine mi sono fatto prendere dalla pigrizia. L’ancoretta dell’agitatore magnetico poi faceva un sacco di rumore sbattendo sul vetro, così ho tenuto i giri bassi, limitando l’ingresso di aria. Insomma, secondo me non sono arrivato alle cellule stimate, ma non posso ovviamente provarlo né misurarlo. La mia è solo un’impressione.
Era tuttavia molto tempo che non mi capitava di produrre una birra così “strana”, con quegli aromi che un mio amico ama definire “il saporetto delle birre fatte in casa”. Quel leggero fruttato che sta lì e non è un vero e proprio difetto, ma se sei abituato a bere bene e, soprattutto, se sai cosa stai bevendo, ti dà non poco fastidio. La birra la berrò ugualmente, non è da buttare, e la ricetta secondo me ci sta. Ma questo cavolo di saporetto, mannaggia a lui, mi dà proprio ai nervi.
Questo secondo me è il classico caso in cui l’homebrewer poco esperto (ma molto sborone) interviene sul forum o sul gruppo Facebook di produttori casalinghi affermando che ha sempre inoculato una sola bustina di lievito liquido per fermentare 20 litri di mosto e non ha mai avuto problemi: nessun inceppo durante la fermentazione (partita subito, arrivata a FG), nessun problema di aromi strani da infezione, birra limpida, schiuma fantastica, foto superbe e birra che piace tanto ad amici e parenti. E invece, caro amico homebrewer, quella che hai davanti, ahimé, non è altro che una Irish Red Ale piuttosto mediocre.
Complimenti a te Frank.
Davvero, non scherzo eh. 😉
Hai scritto cose sacrosante con indubbia sincerità.
Cosa che molti, ma tanti tanti, non fanno.
Anche tra i pro a dirla tutta.
Comunque capita spesso anche a me…tranquillo. 🙂
Tanto per dire, l’unica cotta che ho fatto post ferie (una light o session ipa che dir si voglia) che a me non aggrada al 100% (luppolo pellettoso un po’ sporco, malgrado mano leggerissima, e aroma light), per mio amico che e a livello del tuo e stato un “figa…che buona sta birra!”.
Ma dentro di me mi sentivo in difetto…e la cosa, il complimento, invece che soddisfarmi mi ha infastidito quasi…ahahahah
Mannaggia alla maledetta consapevolezza!!! 🙂
Poi io son così di mio, vedo sempre il bicchiere mezzo vuoto!!!
Che ci vuoi fare.
Ma ripeto, onore a te.
Grazie Conco, apprezzo tantissimo. Dalla mia ho due grandi fortune: 1) ho imparato a bere bene, al di là dei voli pindarici della degustazione. Quindi se una birra non mi convince, non mi convince. E quindi la bevo meno. Poi magari ho difficoltà a inquadrare i difetti a volte, ma mi è chiaro da subito che qualcosa non va. 2) ho una moglie che ci capisce, e nob mi passa niente. Le ho fatto assaggiare questa birra senza dire nulla, nemmeno che l’avevo fatta io. E non è passata (l’albicocca è farina del suo sacco). Questo aiuta, molto.
Ma in genere è molto educativo anche fare assaggiare le birre ad amici che bevono ma non capiscono nulla di stili. Ti rendi conto di tante cose.
Guarda gli assaggi di gente poco esperta di degustazioni (attenzione, parlo comunque di bevitori di birra industriale o meno), sono quelli che spesso mi affascinano e divertono di più.
Mi diverte molto vedere le reazioni loro alle mie birre.
Hanno la mente sgombra da tutte le nozioni e preconcetti che inevitabilmente un degustatore erudito si porta appresso, e comunque a volte il difetto “lo sentono”, spesso non lo sanno descrivere (nemmeno io se e per quello…a volte), ma lo sentono eccome, ok magri non sempre quello si.
Ma e una cosa che mi diverte e a volte come dici tu ti rendi conto eccome…
Sul lato moglie, la mia invece e spietata con me…ahahah….ricordo na Schwarz che volevo iscrivere ad un concorso, sua opinione fu “sta birra fa cagare!”…beh a nembro (sotto i 50) io la iscrissi lo stesso e vinsi il concorso…ahahah…ovviamente dopo la sentenza poi fu la volta mia di divertirmi.
Ma non e erudita come la tua, e le mie birre al 90% ricevono sempre quella sentenza.
Ma e solo perché ama spronarmi…mettiamola così. 🙂
Per finire la cantina non mente mai, ne abbiamo già discusso, quelle che restano li sullo scaffale…hanno già la loro silenziosa sentenza appesa addosso, e così. 😉
CONCOrdo con Conco (era da tempo che avrei voluto dirlo). Tutti noi hb dovremmo farci un bel bagno di umiltà e riuscire a definire e a dare nome ai nostri errori. Non è sempre facile, anche perchè chi sta attorno cerca di adularci per non farci entrare in depressione dopo 6 ore buttate ai fornelli e pulendo.
PS: sono invidioso del tuo Roasted Barley con 2 EBC!! 😛
Ah ah, grazie! Correggo subito gli EBC del roasted barley 🙂
Concordo Con te che Col Conco si può solo Concordare…..ahahahah
Ovviamente….non è assolutamente così!!! 😉
Cit. Niels Bohr “L’esperto è una persona che ha fatto in un campo molto ristretto tutti i possibili errori “
Sincerità ammirevole e stimolante.. grazie
ciao Frank,
giusto per capire meglio alcuni concetti che magari mi mancano, mi potresti spiegare come mai per questo stile hai optato per un profilo di acqua che accentui i solfati piuttosto che i cloruri?
L’idea era di produrre una interpretazione più orientata alla secchezza sul finale che alla pienezza dei malti. Anche perché questo lievito non attenua granché. Sono piccole cose, per carità, probabilmente ininfluenti, ma ho preferito tenere i solfati un po’ più alti.
Ciao Frank,
quando dici che rispetto alla precedente versione hai elimininato il crystal a basso ebc presumo che intendi il carared, giusto?
rispetto alla precedente però non hai messo fiocchi: intenzionalmente o perche’ non li avevi in dispensa?
grazie
Sì, ho tolto il CaraRed. I fiocchi li ho tolti perché non servono a niente 🙂 (non in quelle percentuali)
che in quelle percentuali non servono ok… un 20% sara’ troppo?
pensavo di elaborare una ricetta simile…
Perché dovresti usare i fiocchi? A che pro? Non valgono risposte tipo “per la schiuma” o “per il corpo”. 🙂
“aumentando magari la percentuale di fiocchi in ricetta (intorno al 10%) per sostenere un po’ il mouthfeel” lo riportavi nelle conclusioni della prima versione…
Giusto. 🙂 Erano conclusioni di qualche anno fa. Diciamo che ora, in base all’esperienza, penso che i fiocchi possono aver senso se utilizzati intorno al 15%. Il contributo proteico può aiutare il mouthfeel a quel punto, ma poi hai il potenziale aspetto negativo del contributo alla torbidità. Ormai li uso solo nella irish stout in percentuali veramente alte (30%) ma in nessuno altro stile “canonico”. Poi, per carità, prova tu stesso. L’importante è non fissarsi sulle proprie convinzioni. Anche a me capita spesso, con l’esperienza, di cambiare idea.