Nonostante la scarsissima diffusione, anche nella loro terra di origine, le Irish Red Ale occupano da sempre un posto speciale nel mio cuore. Sarà che mi ricordano i numerosi viaggi in Irlanda: le scorribande nel Burren, le corse sulla costa a Nord nei pressi di Malin Head, le bevute sotto la pioggia nella penisola di Dingle o sotto il vento sferzante di Doolin. Nel 2014, la Irish Red Ale fu anche la birra del mio matrimonio: fatta in casa con tre batch da 15 litri consecutivi e regalata agli ospiti come “Beerboniera”. All’epoca piacque, agli ospiti come anche a me, ma probabilmente molto era dovuto all’entusiasmo e alla mia inesperienza. Era sicuramente piacevole, ma dubito possa annoverarsi tra le mie birre perfettamente riuscite.

Ci riprovai nel 2016, con una doppia versione fermentata con US05 e S04, che mi piacque (soprattutto quella con S04). Anche qui ci sono da filtrare entusiasmo e inesperienza: la versione con US05 terminò con una “sospetta” FG di 1.016, e infatti dopo qualche mese la trovai sovracarbonata. Insomma, anche in questo caso, probabilmente una birra piacevole ma tutt’altro che perfetta. Nuovo tentativo nel 2018, con una birra bella esteticamente ma che non riuscì particolarmente bene per via di una fermentazione con lievito liquido che non mi aveva convinto appieno.

Non è uno stile facile da produrre, perchè è molto difficile darle il giusto carattere (per approfondimenti sullo stile, rimando a questo post di qualche anno fa). Troppo luppolo, e finisce per essere indistinguibile da una bitter. Troppo poco, e diventa facilmente stucchevole. Se si esagera con il malto, viene fuori un caramellone stucchevole, se ci si limita si rischia di non avere quel tocco caramellato tipico dello stile. Poco malto scuro e viene ambrata, troppo e diventa eccessivamente scura. Senza considerare che birre di questo colore, a mio avviso, devono essere per forza molto limpide, altrimenti sembra di avere del fango nel bicchiere.

In questo post ho pensato di mettere insieme le recensioni di due mie birre, prodotte in rapida successione. La prima versione, prodotta con il lievito London della Lallemand, non mi aveva inizialmente per nulla soddisfatto. Nel frattempo, mentre la seconda versione era in cold crash, la prima si era fatta quasi due mesi di frigorifero ed era nettamente – e inaspettatamente – migliorata, sia visivamente (foto sotto) che dal punto di vista organolettico. Ancora sono indeciso su quale delle due versioni preferisco (la seconda sicuramente per il colore), proviamo a raccontare entrambe le ricette.

VERSIONE #1

Ambrata, molto limpida, fermentata con S04. È diventata così dopo più di un mese passato nel frigorifero in fusto. A valle del cold crash di qualche giorno era ancora molto torbida e piuttosto fruttata. Dopo un ulteriore mese di freddo, si è trasformata.

RICETTA

Sebbene mi sia inizialmente venuto automatico impostare una ricetta molto simile a quella di una bitter, mi sono imposto di percorrere un’altra strada, calcando la mano su un unico malto crystal, abbastanza tostato. Rispetto alla vecchia ricetta, ho tolto ovviamente gli inutili fiocchi al 5% e ho provato a sostituire il roasted barley con un Light Chocolate in quantità leggermente maggiore. L’idea era di ottenere comunque una sfumatura rossastra senza eccessiva presenza di note tostate. Vedremo che questa mossa non si è rivelata vincente.

Mi sarebbe piaciuto utilizzare il classico lievito liquido Irish Ale, ma non ne avevo. Ho optato per il secco London della Lallemand, usato altre volte con soddisfazione. Un lievito che, come molti lieviti inglesi, non attenua granchè (non sono mai arrivato oltre il 75% di attenuazione, con questo ceppo). La scarsa attenuazione di per se’ non è a mio avviso un problema, anzi: in alcuni stili, specialmente se poco alcolici, qualche punto di FG in più aiuta a sostenere la bevuta. Occorre però tenerne conto, bilanciandolo bene con le IBU e tenendosi su una OG di partenza un po’ più alta, per evitare di ritrovarsi poi una birra con grado alcolico troppo basso.

Il colore, secondo i calcoli di Brewfather, sarebbe dovuto arrivare a 25 EBC. Avrei voluto aggiungere una quantità maggiore di Light Chocolate, ma essendo il colore massimo “consentito” per lo stile di 27 EBC, mi sono fermato.

FERMENTAZIONE

Solito profilo a salire partendo da 18°C, poi 19°C il secondo giorno e 20°C il terzo. Sapendo che questo lievito tende a flocculare velocemente, nei primo due giorni di fermentazione ho dato qualche botta di anidride carbonica sul fondo del fermentatore per tenere le cellule in sospensione. Nonostante gli sforzi, al terzo giorno le bolle si erano praticamente fermate.

Ho misurato la densità qualche giorno dopo, trovandola a 1.014, ovvero un 70% di attenuazione circa. Per sicurezza ho mantenuto il fermentatore a 20°C altri 6 giorni (in tutto 14 giorni) prima di procedere con il cold crash. La FG non si è smossa.

Per favorire la limpidezza, ho aggiunto Isinglass prima dell’abbattimento. Ne ho sciolti 5 ml in acqua fredda, usando una bottiglia di Coca Cola che ho poi saturato con anidride carbonica. Ho sparato la soluzione di acqua e Isinglass nel keg con l’aiuto della Carbonation Cap, cercando di introdurre meno ossigeno possibile.

Ho lasciato passare qualche giorno, poi ho trasferito in due fustini da 5 litri dove ho carbonato a circa 2 volumi.

ASSAGGIO

Come già anticipato, dal primo fusto di questa birra non ho avuto una gran bella sorpresa. La birra, dopo aver passato comunque una ventina di giorni al freddo, era ancora molto torbida. Naso non proprio pulito, sporcato da un leggero fruttato che non era terribile ma un po’ infastidiva. Si lasciava comunque bere, ma non mi aveva esaltato. È stato dopo questo assaggio che ho deciso di provare subito a farne una seconda versione, stavolta con lievito neutro.

L’assaggio descritto nel seguito è invece relativo a una bottiglia trasferita in contropressione dal secondo fusto, che avevo attaccato senza grandi aspettative. Ho trovato una birra limpidissima, armonica, con un bel naso pulito. Sono rimasto davvero colpito.

C’è da dire che il primo fustino da 5 litri era di quelli a bocca stretta con gli attacchi ravvicinati sulla testa smontabile. Non aveva chiuso bene, come spesso mi capita con questo tipo di fustini. Lo avevo trovato in frigo senza pressione, scoprendo che la valvola di sfiato si era bloccata rimanendo aperta. Sicuramente è entrata aria, cosa che in parte può spiegare la riuscita mediocre dei primi 5 litri. Ma veniamo all’assaggio.

Sarò breve, visto che oggi ho due birre da raccontare e non voglio dilungarmi eccessivamente.

L’aspetto si descrive da solo: molto bella, limpidissima, colore un po’ scarico per come lo avrei voluto, ma assolutamente nei parametri dello stile. In aroma l’intensità è media, con piacevoli sfumature di caramello e leggero miele. Il luppolo si fa sentire con uno spunto erbaceo e agrumato, forse un po’ troppo. Bel naso, nulla da dire.

La fermentazione è abbastanza pulita, il fruttato-agrumato credo sia dovuto principalmente al luppolo, ma non ci posso mettere la firma. Al palato è agile ma non watery, l’amaro è a un passo dall’essere troppo basso, ma riesce a bilanciare il tutto, evitando che le note di caramello finiscano per risultare stucchevoli. Le note caramellose sono tenui ma nette, senza sconfinare nel regno del mou tipo caramella Alpenlibe.

Nel complesso una birra che si beve molto bene, piacevole e appagante. Si differenzia da una bitter, a mio avviso, per le note di caramello ben presenti e per l’amaro contenuto. Avrei preferito un filo di caramello in più, magari verso note più tostate, e senza dubbio un colore leggermente più intenso. Per il resto, buona birra. In stile. Ne berrei due pinte senza indugio. Poi, cazzo, è bella. Perdonate il francesismo.

VERSIONE #2

Sullo slancio della delusione al primo assaggio della ricetta precedente (poi rivelatasi molto meglio del previsto), ho deciso di ritentare subito una cotta della stessa birra, cambiando piccole cose.

RICETTA

Ho evidenziato in arancione le modifiche più importanti:

  • aumento dell’EBC (sono andato teoricamente fuori range per lo stile)
  • sostituzione del Light Chocolate con il Black Malt
  • introduzione di una base di malto Vienna
  • eliminazione del luppolo in aroma
  • sostituzione del lievito inglese con uno più neutro

L’introduzione del Vienna è stata uina mossa dell’ultimo minuto. Ho preso spunto dalla ricetta della mia bitter, dove questo malto gioca secondo me un ruolo importante con il suo finale nocciolato. Ho alzato anche leggermente il Crystal Dark, osando un po’. Con l’eliminazione del luppolo in aroma e l’introduzione di un lievito neutro volevo lasciare spazio al malto in aroma, senza altre interferenze.

FERMENTAZIONE

Nulla di particolare: fermentazione a 18°C stabili, poi salita a 19°C per stimolare un po’ il lievito. Cold crash di 5 giorni (senza Isinglass stavolta, non mi andava di mettermi a smanettare con la bottiglia di cocacola), passaggio in fusto e carbonazione forzata.

ASSAGGIO

Una parte della birra (circa 4 litri) è passata dal fusto alla bottiglia. Questo assaggio viene da una bottiglia, dove la birra è stata trasferita direttamente dal keg con il Counter Pressure Filler della Kegland. Inizialmente, anche questa birra era piuttosto torbida, quasi fangosa. Dopo una ventina di giorni passati nel fusto di servizio in frigorifero, si è pulita un po’. Non ha mai raggiunto la limpidezza dall’altra, che era stata probabilmente aiutata dall’Isinglass e dal lievito inglese più flocculante.

Anche in questo caso non mi dilungherò troppo nella descrizione. Cercherò soprattutto di evidenziare le differenze rispetto alla versione precedente.

La prima differenza, molto evidente, è nel colore. In questo caso siamo all’estremo alto della tonalità tipica di una Irish Red Ale (numericamente, anche oltre). Tuttavia, devo dire che nel complesso trovo questa gradazione di ambra, con i suoi riflessi rossastri, più in linea con le mie personali preferenze.

L’aroma lo trovo meno intenso dell’altra. L’assenza del luppolo lascia maggiore spazio al malto, che si esprime con note di caramello, nocciola e una nota tostata nelle retrovie, vicina al caffè. Il tutto molto tenue però, bisogna un po’ andarlo a cercare. Ma ci sta. Al palato rotroviamo un flavour simile ai richiami in aroma, con un corpo anche in questo caso leggero e scorrevole, ma non eccessivamente “annacquato”. Il finale chiude con l’evidente “firma” del black malt, tostata e secca. Per il resto, devo dire, molto simile all’altra, al netto delle note agrumate.

VERSIONE #1 vs VERSIONE #2

Quale preferisco tra le due? Devo dire che non sono ancora riuscito a decidermi. La prima versione mi ha stupito in positivo, dopo un primo assaggio piuttosto deludente. È molto bella esteticamente. Questo, come ho detto più volte, mette il mio cervello in uno stato d’animo positivo quando me la trovo nel bicchiere. Secondo me il luppolo è eccessivo, sia in aroma che nel flavour, ma è buono. Ha quei richiami di crostata con marmellata all’arancia che mi piacciono molto, ma che non vedo molto centrati in una Irish Red Ale.

La seconda, che si è un po’ pulita con il tempo, ma non come la prima, è più scura e inizialmente anche più “fangosa” alla vista, il che non invoglia al sorso. Tuttavia, trovo il colore più in linea con lo stile. Per il resto è simile, ma ha quel tocco di tostato sul finale che secondo me rientra meglio nello stile. E niente aroma né flavour di luppolo, che forse la rende meno “attraente” ma più vicina all’idea che ho di questo tipo di birra. Devo essere sincero: il 10% di Vienna non sembra aver dato un contributo apprezzabile. 

Se dovessi rifarla, forse toglierei il Vienna dalla seconda ricetta, che alla fine non ha dato granchè all’equilibrio complessivo. Lascerei invariato il resto, riprovando con il London o con il lievito Irish Ale tipico dello stile.

Due birre piacevoli, che sto bevendo volentieri.

Piccola curiosità sul nome: “What a SHIT day already”, traducibile più o meno come “che giornata di merda, e siamo solo all’inizio” è una frase presa in prestito da una puntata della terza stagione di “After Life“, serie ideata, scritta e recitata dal mitico Ricky Gervais, di cui mi innamorai anni fa per la serie “Extras”. Oltre ai sui fantastici stand-up che si trovano anche su Netflix, è autore, tra l’altro, della versione originale UK della serie “The Office“, poi riproposta con attori diversi in tantissime nazioni del mondo (quella americana la trovo particolarmente riuscita). Il suo black humor, sarcastico, scorretto e pungente, mi piace da impazzire. Purtroppo non rende nelle traduzioni, quindi, se vi capita, guardatelo in inglese con i sottotitoli.

 

4 COMMENTS

  1. Ciao Frank, io per inserire liquidi “senza ossigeno” e in modo semplice nel fermentatore prendo il tubo della co2 collegato alla bombola, ci aggiungo un rubinetto, ci collego un pezzetto di tubo che mi contenga esattamente la quantità di liquido da aggiungere, pre evacuo il tutto con co2, chiudo il rubinetto, riempio di liquido con siringa il più possibile, collego alla bombola, metto in pressione, apro il rubinetto

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