Un mesetto fa sono stato a Londra un paio di giorni, in occasione del LAB Open, una competizione per birre fatte in casa organizzata dai London Amateur Brewers. Oltre a partecipare come giudice, ho avuto l’occasione di condurre un breve intervento di un’oretta rivolto ai giudici BJCP.
Il mio intervento era incentrato sulla analisi organolettica e conseguente valutazione delle stout a gradazione alcolica medio-bassa nei concorsi. Scavando tra le sottili differenze che caratterizzano i vari sotto-stili di birre scure di stampo anglosassone, mi è saltato all’occhio un particolare piuttosto curioso che mi ha fatto riflettere. Approfondendo le sfumature organolettiche delle Oatmeal Stout, in particolare della birra che viene indicata dal BJCP come esempio classico dello stile (la Oatmeal Stout della Samuel Smith), ho notato qualcosa di veramente curioso sull’utilizzo dell’avena, ingrediente che dovrebbe caratterizzare fortemente questo stile.
LO STILE
La mia memoria funziona soprattutto per immagini. Difficilmente riesco a memorizzare le linee guida degli stili riga per riga, preferisco costruirmi dei riferimenti grafici a cui posso facilmente attingere quando spremo le meningi. Ho così riletto le linee guida dei principali stili scuri a medio-bassa gradazione alcolica, costruendo dei grafici a radar che rendessero evidenti a colpo d’occhio le principali differenze nel profilo aromatico di questi stili. Ho semplicemente dato un valore numerico ai descrittori aromatici, assegnando uno 0 se non vengono nominati e un 5 se vengono nominati con intensità alta. Ovviamente i grafici sono qualitativi, ma secondo me rendono bene l’idea.
L’esagono interno vale 0, mentre quello più esterno vale 5. Si evince subito, ad esempio, come il profilo aromatico di una Irish Stout sia molto diverso da quello di una Porter: la prima è piuttosto monocorde, con aroma focalizzato sul caffé; la seconda spazia su più sfumature aromatiche, dove il caffè costituisce solo una delle tante declinazioni aromatiche possibili (spesso avvertibili in contemporanea).
Il profilo aromatico delle Oatmeal Stout è abbastanza simile a quello di una Irish Stout, se non fosse per una componente “nutty” (nocciola). Secondo il BJCP, questo leggera componente nocciolata sarebbe dovuta proprio all’avena, a cui viene attribuito anche il merito della famosa cremosità caratteristica di questo stile.
Non so se avete mai assaggiato l’avena, ma sa veramente di poco. Per dare un contributo al mouthfell con i suoi beta-glucani (e anche maggiori proteine se non è maltata) e soprattutto per uscire al naso dominato dai malti scuri, ce ne deve proprio essere tanta in ricetta. Questo pensavo, fino a quando non ho letto gli ingredienti sull’etichetta dalla celeberrima Samuel Smith Oatmeal Stout.
L’avena compare al settimo posto. Dopo l’acqua, gli altri malti, lo zucchero di canna, il lievito e anche il luppolo. In Italia gli ingredienti su cibi e bevande vengono indicati in ordine di peso, cosa che ho scoperto essere obbligatoria anche in UK.
Quanto peserebbe dunque l’avena in questa ricetta, considerando la posizione in cui si trova nella lista degli ingredienti? Non conosco ovviamente la ricetta precisa della Oatmeal Stout di Samuel Smith, ma possiamo ragionare per approssimazione. Tanto, alla fine, il peso dell’avena sarà minore o uguale del peso dell’ingrediente che la precede, ovvero il luppolo. E quanto luppolo ci potrà mai essere in una Oatmeal Stout? Posizioniamoci nel caso estremo: utilizziamo luppolo classico con bassi alfa acidi (EKG) e facciamo anche una generosa gettata da aroma (improbabile).
Vengono fuori, nel caso più ottimistico, 65 grammi di avena su un grist di 2.27 Kg, ovvero poco meno del 3%. Il 3%: avete letto bene. La birra di cui tutti sbandierano la morbidezza organolettica, ha una percentuale di avena irrisoria. Quasi ridicola, direi. Avena che, secondo il BJCP, dovrebbe anche conferire un aroma nocciolato. Ripeto che quel 3% è ottimistico, perché dubito che un birrificio così grande utilizzi tutto quello luppolo in una Oatmeal Stout. E se il luppolo pesa meno, pesa meno anche l’avena.
E quindi?
Io credo che molti, come è normale che sia, si lascino ingannare dalle aspettative quando assaggiano una birra, dimenticando che dovrebbero valutare quello che c’è nel bicchiere, non quello che hanno in testa. Rimane la possibilità che abbia sbagliato qualcosa nel ragionamento, nel qual caso vi prego di evidenziarlo nei commenti.
Perdona se lascio un commento che non ha nulla a che vedere con la birra ma in confronto Sherlock Holmes con il suo metodo deduttivo era una pippa!
Sei troppo avanti, sul serio!
Ah ah, grazie!
La domanda successiva che verrebbe spontanea…
Allora cosa crea la morbidezza se l’avena è in dosi ridicole?
Lievito poco attenuante? Mash “alto”? Malto Crystal?
Oppure ne basta davvero poca?!
A mio avviso non c’è tutta questa morbidezza in quella birra. Certo non è spigolosa, ma per fare una birra non spigolosa non è che servano miracoli o una tonnellata di avena. Quel 3% secondo me è solo simbolico, per dare il nome alla birra. E ancora, secondo me, lo stile ha un senso storico per come l’avena è finita nella ricetta, ma un buon esempio dello stile, oggi, si può fare tranquillamente senza avena. Ed è molto, molto simile a una Irish Stout senza troppi spigoli (+cloruri, meno tostati, mash alto, attenuazione più bassa, come dici giustamente).
A quanto pare se precedentemente passata in forno, l’avena puo’ impartire aromi piu decisi e quel ‘nocciolato’ tanto caro al BJCP.
Be’, sì, ma siamo nel campo dei malti tostati. Però giusta osservazione, grazie. Chissà che non la mettano in forno (cmq io il nocciolato non l’ho sentito in questa).
Fra l’altro la guida continua così:
Ingredient quantities
You also have to show the percentage of an ingredient if it is:
•highlighted by the labelling or a picture on a package, for example ‘extra cheese’
•mentioned in the name of the product, for example ‘cheese and onion pasty’
•normally connected with the name by the consumer, for example fruit in a summer pudding
In base a questo non dovrebbe esserci la %?
Non ne ho idea, probabilmente per la birra non vale visto che per esempio nelle milk stout non è nemmeno detto che ci sia il lattosio per forza. Sono nomi di stili. Però, ripeto, non so.
Complimenti per la voglia di fare certe raffinate analisi innazitutto. 🙂
Io ne ho tratto questa conclusione, con tutta probabilitá questo stile ovvero l’ oatmeal stout è nato da una semplice necessitá a quanto mi ricordo fu “creato” per dar da bere ai marinai della Royal Navy beh si sá la vita da mariaio era dura e l’ alcol poteva migliorarla.
Come è facile immaginare l’ avena è stata aggiunta per risparmiare ai tempi; le birre contenti avena non erano poi molto gradite; come nelle prime IPA il luppolo in aggiunta serviva solo ad aumemtarne la conservabilitá.
Io provo a mettermi nei panni di un birraio dell’ epoca che deve aver ricevuto una richiesta simile “cerca di preparare qualcosa per quel branco di marinai alcolizzati ah e che costi POCO!” povero birraio mica aveva la fortuna come noi di poter produrre scegliendo gli ingredienti con puro spirito di sperimentazione guidato dal suo gusto magari doveva solo trovare un modo per abbeverare una ciurma di alcolizzati e farlo stando dentro nei costi!
Chi lo sá magari uno dei suoi sottoposti vedendolo in difficoltá disse “maestro mio cugino ha una fattoria coltiva l’ avena ce la passrebbe a poco prezzo!” “Potrebbe essere una buona idea via nel pentolone ! Quelle bestie si berrebbero anche l’ acqua del tamigi se solo ubriacasse!” poi riguardo al fatto che si trattasse di un nuovo stile beh chi lo puó sapere magari qualcuno ha provato un pò di birra avanzata mica potè ammettere che la creò per disperazione e decise di spacciarla per una creazione ricercata sobrerietá insomma una birra appartenente ad un nuovo stile!
Ciao Morgan, grazie per il feedback! La storia della Royal Navy mi è in realtà nuova, non l’ho mai letta né sentita. Qual è la fonte?
Da quello che mi risulta, l’origine delle Oatmeal risiede nelle proprietà salutari dell’avena, che al tempo avrebbero voluto trasferire nella birra per renderla più “attraente” (è il filone che include anche le milk stout con lattosio e che alla fine è sfociato nel famoso slogan “Guinness is good for you!”).
Se avessero voluto davvero risparmiare, avrebbero aggiunto zuccheri semplici di varia natura, come tante altre volte è accaduto nnella storia delle birre anglosassoni.