Qualche giorno fa ho condiviso sulla pagina Facebook del blog un grafico in cui confrontavo le performance di due lieviti a bassa fermentazione (nello specifico W34/70 e S-23) in presenza e in assenza di ossigenazione del mosto.

Sono ben consapevole che un test di questo genere su due lieviti diversi (seppure simili) non può definirsi un vero e proprio esperimento comparativo. Tuttavia, trovo interessante che il comportamento fermentativo rilevato, in termini di attenuazione finale e tempi di fermentazione, sia sostanzialmente lo stesso. L’idea che con i lieviti secchi si possa saltare l’ossigenazione del mosto senza compromettere la fermentazione sembra trovare conferme nella pratica. Del resto non mi sono inventato nulla, si tratta di informazioni disponibili da tempo di cui ho già parlato in precedenza (link).

Tra i commenti al post, a un certo punto è ripartita l’annosa questione dell’aggiunta di olio d’oliva al mosto in sostituzione dell’ossigenazione. Un tema di cui si parla da moltissimo tempo e che prende origine da un lavoro svolto nel 2005 da Grady Hull (disponibile in forma integrale qui) mentre era assistente birraio presso il birrificio americano New Belgium. Lo studio è stato condotto in collaborazione con la facoltà di Brewing and Distilling della Heriot-Watt University di Edinburgo. Parlo di “annosa questione” perché, pur venendo spesso citata da molti, si tratta di una metodologia su cui è molto difficile trovare approfondimenti tecnici successivi alla pubblicazione del suddetto lavoro di Hull. La domanda sorge spontanea: come è possibile che, a distanza di 14 anni, una procedura potenzialmente così innovativa non sia diventata pratica diffusa? La questione mi ha incuriosito, così ho deciso finalmente di scaricare il documento e investigare sul tema.

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STEROLI E ACIDI GRASSI

Steroli e acidi grassi (unsaturated fatty acids, acronimo UFA) sono fondamentali per la regolazione della permeabilità delle membrane cellulari degli organismi viventi. Nel caso del lievito, se le cellule hanno membrane deboli tendono a bloccarsi prima della fine della fermentazione, rilasciando composti indesiderati all’esterno della cellula. Questo produce birre sotto-attenuate con off-flavours (diacetile, acetaldeide e altri).

Le cellule possono produrre steroli e acidi grassi solo in presenza di ossigeno. Questo avviene solitamente nella prima fase della fermentazione (lag-phase), quando il lievito viene inoculato nel mosto ossigenato. Durante la fermentazione, gli acidi grassi e gli steroli prodotti a inizio fermentazione si dividono tra le cellule figlie che via via ne conterranno una quantità minore. A fine fermentazione la quantità di steroli e acidi grassi in ogni cellula non è sufficiente per sostenere una nuova moltiplicazione cellulare. La fermentazione si ferma, il lievito entra in fase dormiente. Prima di avviare una nuova fermentazione, si rivela quindi necessario aumentare le riserve di steroli e acidi grassi nelle cellule. Questo avviene tramite stimolazione del metabolismo del lievito in presenza di ossigeno (ovvero inoculo del lievito nel mosto ossigenato). E si riparte da capo.

Per la sintesi di steroli e acidi grassi il lievito utilizza l’acido acetico attivato dal Coenzima A (Acetyl-CoA), prodotto della metabolizzazione dello zucchero. Durante la lag-phase le cellule metabolizzano in prima istanza le riserve interne di zucchero (glicogeno e trealosio) perché non sono ancora pronte a metabolizzare gli zuccheri presenti nel mosto.

Una volta terminato l’ossigeno presente nel mosto, il surplus di acido acetico attivato (Acetyl-CoA) viene esterificato (si lega agli alcoli) grazie all’attività degli enzimi AAT (Acetil-transferasi). Questo fenomeno produce i tipici aromi fruttati degli esteri di etile, tra cui l’acetato di etile (aroma definito genericamente fruttato, solvente in concentrazione eccessiva) e l’acetato di isoamile (banana, solvente in concentrazione eccessiva).

Dopo questa breve e non esaustiva sintesi, possiamo fare due considerazioni:

  1. l’ossigenazione è necessaria per rifornire le cellule di steroli e acidi grassi. Se, però, si riuscisse in qualche modo a partire da cellule già rifornite adeguatamente, l’ossigenazione non sarebbe necessaria
  2. Nel caso in cui non si ossigenasse, l’eccesso di Acetyl-CoA indurrebbe una maggiore produzione di esteri.

Quantificare questo “eccesso” non è facile, perché il percorso metabolico che porta alla sintesi dell’acido acetico attraverso l’acetaldeide è alternativo a quello che dalla stessa acetaldeide porta alla formazione dell’etanolo (il principale prodotto della fermentazione insieme alla CO2). Entrambi partono dalla metabolizzazione di uno zucchero, ma l’equilibrio tra i due percorsi metabolici è diverso da lievito a lievito e non quantificabile a priori. Banalizzando: non ossigenare porta senza dubbio a una maggiore produzione di esteri, ma quanto questo effetto sia rilevante nel profilo organolettico della birra è difficile da prevedere. E qui veniamo alla tesi di Grady Hull.

IL FAMOSO LAVORO DI GRADY HULL 

Il lavoro di Hull scava nella prima delle due considerazioni: partire da lievito già “bombato” (passatemi il termine) di acidi grassi. Come fare? Anzitutto chiariamo un punto: Hull scrive espressamente che aggiungere acidi grassi (in questo caso olio di oliva, ovvero acido linoleico) direttamente al mosto non è un approccio consigliabile. Cito testualmente da pagina 10:

Hull afferma che sono state già condotte ricerche in cui è stato aggiunto acido linoleico direttamente al mosto, ma questo ha prodotto un incremento (immagino in questo caso sensibile) degli esteri acetati. Inoltre, ricordiamo che l’olio di oliva non è particolarmente solubile in acqua, quindi nemmeno nel mosto. Si potrebbe comunque ovviare a questo inconveniente mescolando l’olio in un piccolo quantitativo di alcol prima di  aggiungerlo al mosto. A ogni modo, Hull è abbastanza esplicito: no olio aggiunto al mosto. Punto.

Piccola parentesi. Il germe dei cereali, e quindi anche dell’orzo, contiene già diverse tipologie di acidi grassi tra cui l’acido linoleico. Una parte di questi viene filtrata durante lo sparge (il BIAB è mal visto proprio perché si porta dietro una maggiore quantità di acidi grassi saltando la filtrazione), un’altra viene intrappolata nel trub (deposito a fine bollitura). Un eccesso di acidi grassi nel mosto non è una buona cosa perché questi tendono facilmente a ossidarsi (irrancidiscono) producendo aromi di capra e/o saponosi. Quindi, se da un lato l’aggiunta di acidi grassi può far bene alle cellule di lievito, un quantitativo eccessivo potrebbe generare difetti. Calcolare il giusto equilibrio è difficile, per questa ragione in genere si ossigena il mosto lasciando al lievito il compito di sintetizzare gli acidi grassi di cui ha bisogno. Se vi siete mai chiesti perché si dice che portare un po’ di trub nel fermentatore stimoli la fermentazione, adesso avete la risposta: in quel trub sono intrappolati acidi grassi provenienti dai cereali.

Ma andiamo avanti.

Se non è “sicuro” aggiungere olio nel mosto, dove e quando si può aggiungere? Ecco l’idea di Hull (sempre a pagina 10):

È stato dimostrato che il lievito, nella fase dormiente, se conservato a freddo, è in grado di incamerare facilmente e velocemente acidi grassi nelle membrane cellulari. Ecco quindi la soluzione: aggiungere olio di oliva al lievito qualche ora PRIMA di inocularlo nel mosto. Andiamo avanti alla pagina successiva del lavoro di Hull:

Hull sta impiegando lievito recuperato da una cotta precedente poche ore prima e conservato a freddo, con vitalità intorno al 90%. Non parliamo quindi di lievito acquistato e conservato in busta per mesi. Questo elemento è importante. Dirimente, direi. Andiamo ai dosaggi (pag. 12):

Sono stati fatti tre tentativi, con dosaggi progressivamente maggiori. Il più basso è di 1 mg di olio per 67 miliardi di cellule attive, il più alto sale a 1 mg per 25 miliardi di cellule. Se consideriamo che per fermentare un batch di 19 litri con OG 1.040 (quindi densità medio-bassa) servono circa 150 miliardi di cellule vitali, i due dosaggi minimo e massimo si traducono in:

  • MIN: 2 mg di olio
  • MAX: 6 mg di olio

Considerando che una goccia che esce da un contagocce equivale a circa 0.05 ml, ovvero 0.05 grammi, ovvero 50 mg, si evince come le quantità di olio in gioco siano davvero modeste. Una goccia sarebbe già troppo. Questo dosaggio mi torna con quanto suggerito da alcuni nei commenti del post di cui sopra.

CONCLUSIONI

Veniamo ai risultati. La procedura operativa del lavoro di Hull prevede di confrontare di volta in volta due birre:

  1. quella fermentata con il lievito “dopato” con aggiunta di olio d’oliva e senza ossigenazione
  2. quella fermentata con lievito dello stesso ceppo non dopato, senza aggiunta di olio e con ossigenazione del mosto.

L’analisi viene svolta su tre livelli:

  1. Valutare le performance della fermentazione (durata, FG)
  2. Valutare la produzione di esteri
  3. Valutare la stabilità del mosto nel tempo (l’ipotesi è che l’assenza di ossigenazione a inizio fermentazione limiti fortemente la produzione di precursori ossidativi).

Nel documento sono riportati diversi dettagli e grafici molto interessanti, che consiglio di leggere, ma il vero succo del discorso lo troviamo nelle conclusioni a pag. 29:

Riassumendo:

  1. Le fermentazioni con lievito “dopato” sono state leggermente più lunghe, ma in genere hanno raggiunto la stessa FG
  2. Le birre fermentate con lievito “dopato”, analizzate tramite panel specializzato e spettrometro, hanno evidenziato una maggiore produzione di esteri
  3. Le birre fermentate senza ossigenazione hanno generalmente mostrato una maggiore stabilità organolettica nel tempo.

E QUINDI?

Eccoci giunti al punto. Leggere a fondo questo documento è stato senza dubbio molto interessante, ma non posso dire che mi abbia convinto a usare olio di oliva al posto dell’ossigenazione del mosto. Tuttavia, ne ho tratto alcuni interessanti spunti:

  • anzitutto non si parla in nessun modo di aggiunta di olio al mosto, cosa che anzi viene sconsigliata. Quindi, a meno di non trovare altre ricerche affidabili su questo punto, mi sentirei di sconsigliare tale pratica (anche perché avrei dei forti dubbi sui dosaggi dell’olio in questo caso)
  • anche se non ne parla esplicitamente, la ricerca conferma che, nel caso in cui si utilizza un lievito con sufficienti riserve di steroli e acidi grassi, l’ossigenazione del mosto è del tutto superflua. In tutti i casi la FG è stata raggiunta senza problemi sebbene in tempi leggermente superiori. Questo conferma la mia esperienza pratica citata all’inizio del post: i lieviti secchi vengono disidratati nel momento in cui le cellule hanno sviluppato una sufficiente quantità di steroli e acidi grassi, quindi ossigenare il mosto in questo caso non serve.
  • arriviamo alla considerazione forse più importante: l’assenza di ossigenazione aumenta la produzione di esteri. Questo è in linea con la teoria citata sempre all’inizio del post, che mette in evidenza come un eccesso di Acetyl-CoA venga indirizzato verso l’esterificazione. Tuttavia, nel lavoro di Hull questo surplus di esteri non ha alterato significativamente il profilo organolettico della birra, stando al giudizio del panel di esperti di New Belgium.

Quest’ultimo punto in particolare mi conforta, anche se bisogna considerare che il birrificio in cui è stato condotto l’esperimento è New Belgium, dove la maggior parte delle produzioni sono di stampo belga e quindi hanno già una buona base di esteri in partenza. Mi chiedo quanto l’aumento di esteri associato all’assenza di ossigenazione possa alterare il profilo organolettico di una bassa fermentazione, ad esempio. Sono a questo punto molto curioso di assaggiare la mia German Pils che in questo momento è nella fase di lagerizzazione, prodotta con lievito S-23 inoculato in un mosto senza ossigenazione.

Detto ciò, attendo con curiosità eventuali commenti nel caso in cui mi sia sfuggito qualcosa. Ma per ora l’olio di oliva lo continuerò ad usare per condire l’insalata.

18 COMMENTS

    • Porca vacca hai ragione! Correggo subito. Non cambia la sostanza dl discorso, ma almeno mi torna il dosaggio che mi avevano indicato Grazie!

  1. Articolo molto interessante, sarebbe interessante farci qualche esperimento, ovviamente ha senso probabilmente solo per i lieviti liquidi… Piccola nota: 1 mg di olio corrisponde a 1,09 uL (non mL). Quindi 2 e 6 mg di olio corrisponderebbero rispettivamente a 2,17 uL e 6,52 uL. Che è una dose più ragionevole 😀

  2. Ciao!
    Ottimo articolo come tuo solito.
    Ti segnalo al riguardo un interessante puntata del podcast della MBAA proprio sull argomento.
    In sintesi, questo birrificio produce apposta un mosto meno limpido possibile (usa un diverso processo in produzione se non ricordo male) in modo da garantire una riserva di lipidi e non ossigenare. La differenza è che a differenza dell’esperimento di Hull non vi è una gran produzione di esteri.
    https://podtail.com/de/podcast/master-brewers-podcast/097-better-fermentations-with-cloudy-wort/
    Ciao!!

    • Ha senso, perché significative quantità di lipidi esercitano una azione inibitoria sull’enzima AAT che catalizza la formazione degli esteri. Il problema semmai è che un dosaggio alto di lipidi aumenta il rischio che questi si ossidino compromettendo la stabilità organolettica della birra nel tempo. Grazie per il link!

  3. Molto interessante. Ho notato una cosa sui dosaggi: prima parli di mg e poi di ml, ma un ml di olio pesa circa 920 mg. Riguardo all’ossigenazione, nelle birre luppolate cerco di evitarla e non ho notato differenze di performance con us-05. Con i lieviti liquidi ossigeno bene lo starter (lo tengo agitato prima dell’inoculo). In questo caso non ho termini di paragone, ma la birra che è arrivata terza nella tappa sotto50 del campionato Italiano non era stata ossigenata (e si è comunque un po’ ossidata durante l’imbottigliamento).

    • Sul peso dell’olio ho fatto un’approssimazione per rendere immediato il paragone con la goccia. Il risultato non cambia, anche perché con i mezzi casalinghi è difficile misurare quantità così piccole.

      Per quanto riguarda invece l’inoculo dello starter senza ossigenazione teoricamente non va bene: durante lo starter avviene comunque una fermentazione perché l’ingresso costante di ossigeno aumenta sì la crescita cellulare ma non inibisce l’effetto CrabTree, quindi il lievito Fermenta e non respira, consumando le riserve interne di steroli e UFA durante la fermentazione. Quindi inoculando il lievito senza una nuova ossigenazione si andrebbe comunque incontro a insufficienza di steroli e UFA nelle membrane cellulari. C’è da dire che comunque si tratta di lievito da starter, quindi maggiormente in salute rispetto a una busta. Purtroppo è difficile generalizzare in assoluto perché le condizioni sono diverse e ogni lievito si comporta a suo modo. Grazie per il contributo!

      • Dovrei studiare, ma mi pare che l’effetto Crabtree dipenda dal grado zuccherino del mosto. Credo che a fine fermentazione lo starter avrà tutto il tempo di incamerare ossigeno

        • L’effetto crabtree dipende dal grado zuccherino, sì, dalla percentuale di glucosio nello specifico. Ma se la fermentazione è finita il lievito è in fase dormiente, non consuma ossigeno (altrimenti avremmo risolto tutti i problemi di ossidazione.

  4. Come sempre rendi le cose complesse alla portata di tutti !! i miei ripetuti complimenti. sarebbe interessantissimo sapere se con i metodi casalinghi di essiccazione dei kveik possa reggere la regola di non ossigenare il mosto. Sicuramente io continuo ad ossigenare.

    • Non bene. Ma non sono convinto la colpa sia da additare alla non ossigenazione. Altre birre non hanno avuto problemi senza ossigenaziobe, anche se comunque ormai preferisco ossigenare anche quando uso i secchi.

  5. Ciao Frank, allora a breve brasserò una pilsner… mi sono reso conto che, essendo estate, non riesco con serpentina di rame ad abbassare la temperatura del mosto (onde anche evitare un eccessivo dispendio di acqua) oltre i 19-20 gradi. Dato che produco un volume in fermentatore di 23 litri di birra, con il frigo in dotazione ci metto almeno 7-8 ore ma anche piu’ a portare il mosto in temperatura di 10 gradi circa pertanto pensavo di inoculare il lievito (fermentis 34/70) non subito ma in un secondo momento evitando però di ossigenare nel timore di una possibile ossidazione in fase lag-time. Tu come ti comporteresti? Ossigenare e inoculare subito, quindi rischiare una partenza di fermentazione in un range di temperatura non ottimale con off-flavours, o seguire il procedimento che ti ho descritto ? Grazie ciao

    • Io in genere oasigeno, chiudo, metto in frigo e poi inoculo. Mediamente nel giro di 6 ore. Ma qualche ora in piùnon credo crei enormi problemi. Puoi inoculare anche qualche grado sopra (12-13°C), ma eviterei di inoculare a 20°C

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