Da diversi mesi, forse anche un paio di anni, assistiamo a un trend di migrazione dei produttori casalinghi di birra verso la tecnica della contropressione/isobarico. Io stesso, come avrete avuto modo di intuire dagli ultimi post del blog, ho abbracciato questa nuova tendenza. A modo mio, adottando un approccio ibrido senza esagerare con gli automatismi. Non mi piace – per ora – l’idea di trasformare il mio hobby in un birrificio professionale, amo mantenere una componente manuale evitando di complicarmi troppo l’esistenza.

Ho quindi scelto di fermentare in keg (nello specifico i corny-keg da 19 litri) per poi passare la birra in bottiglia con Beergun e rifermentarla. Per gli stili che ne beneficiano, come IPA, APA ma anche basse fermentazioni, metà batch viene passato in contropressione in un fustino da 5 litri e carbonato forzatamente. Questo approccio mi ha dato finalmente l’opportunità di mettere fianco a fianco una birra rifermentata e una carbonata forzatamente. Con l’ultima birra che ho prodotto (una Altbier di cui racconterò nel dettaglio in futuro) sono riuscito a fare un vero e proprio test a triangolo alla cieca. I risultati mi sono sembrati piuttosto interessanti, da qui l’idea di scrivere questo post.

QUALCHE DOVUTA PREMESSA

Perché le birre rifermentate dovrebbero essere diverse da quelle carbonate forzatamente, ovvero rese frizzanti aggiungendo anidride carbonica nel fusto? Alla fine dei conti, l’anidride carbonica non cambia “sapore” se è prodotta direttamente dal lievito che si trova nella birra o se viene introdotta nella birra a pressione da una bombola: si tratta sempre dello stesso elemento chimico. Può capitare che l’anidride carbonica nella bombola contenga una minima parte di impurità (come ad esempio ossigeno), ma siamo in genere su livelli bassissimi al di sotto delle soglie di percezione. Poco rilevante, direi.

Se però la birra carbona in bottiglia, oltre alla produzione di anidride carbonica si verifica  una breve fermentazione. Il lievito lavora in un contenitore chiuso, anche se per poco tempo e con pochi zuccheri. Questo metabolismo fermentativo inevitabilmente produce alcuni sottoprodotti, più o meno aromatici, che inevitabilmente rimangono in soluzione nella birra appena imbottigliata. In primis l’etanolo, infatti le birre rifermentate in bottiglia guadagnano mediamente 0.2-0.3 punti percentuali di ABV; ma anche altri composti come acetaldeide, alcoli superiori, diacetile, e molti altri, che possono essere in parte riassorbiti e in parte no. Parliamo di piccolissime quantità, ovviamente, ma in alcuni casi potrebbero avere un impatto sul profilo organolettico della birra.

C’è poi chi, come me, aggiunge lievito da rifermentazione quando imbottiglia. Serve per accelerare la rifermentazione e consumare più velocemente quel poco ossigeno che inevitabilmente si dissolve nella birra durante l’imbottigliamento, a meno che non si utilizzino complicati sistemi di imbottigliamento isobarici con pompa per il vuoto e diverse evacuazioni e saturazioni della bottiglia con anidride carbonica. Se aggiungiamo lievito da rifermentazione e destrosio, la birra rifermenta in 3-4 giorni a temperatura ambiente, l’ossigeno viene velocemente consumato e le bottiglie possono essere subito spostate in frigo rallentando così l’ossidazione. Le birre che necessitano di maturazione più lunga non finiscono subito in frigo, ma in genere hanno più alcol e sono meno sensibili all’ossidazione.

Quanto il contributo della rifermentazione sia avvertibile, è molto difficile dirlo. Anche perché dipende da moltissimi fattori: lo stile della birra di partenza, il lievito utilizzato in rifermentazione, la temperatura di rifermentazione. Inoltre, molti homebrewer tendono a prendere una posizione negativa a priori verso la rifermentazione, specialmente se praticata su stili a bassa fermentazione. Posizione comprensibile, ma a mio parere a volte un po’ estrema. Ricordo con piacere la mia prima pilsner, prodotta ormai 5 anni fa. Ovviamente rifermentata, in quel caso senza aggiunta di lievito da rifermentazione, e mantenuta addirittura a temperatura ambiente per una decina di giorni prima di spostare le bottiglie in frigorifero. Per come la ricordo era molto buona, ma c’è da dire che 5 anni fa non avevo le conoscenze e l’esperienza che ho maturato oggi, quindi il mio “era buona” va preso con un minimo di beneficio del dubbio. Sicuramente non faceva schifo, anche se era rifermentata. Se cercate tra i commenti di quel post, c’è qualcuno che sostiene addirittura che quella birra non avrei dovuto nemmeno chiamarla Pilsner, perché non ho seguito tutti i sacri crismi della produzione classica boema. Il che è vero, per carità, ma certi estremismi tradizionalisti non li condivido. Chissà comunque come sarebbe venuta fuori se non l’avessi rifermentata.

Altre birre subiscono sicuramente meno i potenziali effetti collaterali della rifermentazione. Nei miei ultimi tre batch di birre luppolate, sempre per metà infustate e per l’altra metà imbottigliate, non ho notato particolari differenze tra bottiglie rifermentate e fusto carbonato forzatamente. Ammetto di non aver fatto test alla cieca tra una versione e l’altra, ma ho consumato le bottiglie subito dopo la fine del fusto e le birre mi sembravano del tutto equivalenti. Attendevo di produrre una bassa fermentazione per fare un test più strutturato, e la prima occasione è arrivata con questa birra in stile Altbier. Che in realtà storicamente viene prodotta con lievito ad alta fermentazione, ma io ho optato per un Saflager S23 della Fermentis lasciato lavorare a 14°C. Che ha avuto una discreta riuscita, ma questo sarà oggetto di un altro post.

IL TEST A TRIANGOLO    

Veniamo finalmente al test. Ho messo a confronto:

  • la versione della birra carbonata forzatamente in un fustino da 5 litri. Ho applicato 15 psi di pressione dalla bombola di CO2 mantenendo la birra a 8°C, per ottenere una carbonazione di circa 2.5 volumi. La birra è stata trasferita a freddo non carbonata dal keg al fustino, dove ha subito la carbonazione forzata. È rimasta nel frigorifero a 8°C fino allo svuotamento del fustino.
  • la versione in bottiglia, rifermentata con aggiunta di soluzione di destrosio e lievito CBC della Lallemand in ogni bottiglia. La birra è stata trasferita in contropressione, non carbonata, dal keg alla bottiglia con Beergun e tappata sulla schiuma. Prima di spingere a pressione la birra nella singola bottiglia da mezzo litro, ho sparato 5 secondi di CO2 con la Beergun posizionata sul fondo della bottiglia ancora vuota. La birra è stata imbottigliata a freddo, poi lasciata 6 giorni a temperatura ambiente (circa 24°C) e infine, dopo aver verificato che la carbonazione fosse completa, tutte le bottiglie sono state spostate in frigo.

Sottolineo che l’aggiunta del lievito da rifermentazione non era strettamente necessaria: anche se la birra ha passato 3 settimane di lagerizzazione nel keg dove ha fermentato venendone fuori abbastanza limpida, probabilmente avrei portato in bottiglia una quantità di lievito sufficiente a farla rifermentare. Ho preferito tuttavia seguire una strada diversa e aggiungere altro lievito in fase di imbottigliamento per velocizzare la rifermentazione e il riassorbimento di eventuale ossigeno (la Beergun non può garantire saturazione completa della bottiglia con CO2, essendo la bottiglia aperta e non pre-evacuata).

Inoltre, mi sembrava interessante confrontare questi due scenari per capire se il lievito da rifermentazione può influire sensibilmente sul profilo organolettico della birra in bottiglia. Come già detto, nelle luppolate già imbottigliate con questo sistema non ho trovato differenze sensibili (a parte la primissima session IPA dove avevo però commesso alcuni errori in fase di trasferimento nel fustino).

Sebbene le birre fossero molto simili nell’aspetto (entrambe piuttosto limpide e con buona schiuma persistente), ho preferito fare il test alla cieca, facendomi servire le birre a occhi chiusi. Le ho versate in tre bicchieri: nei due agli estremi della foto sotto trovate la versione in bottiglia, quella al centro viene invece dal fustino. Difficile ottenere la stessa identica schiuma tra le due diverse spillature (in bottiglia e in fusto), tutto sommato la differenza è modesta.

Al centro la versione in fusto, ai due estremi quella in bottiglia.

Fortunatamente ho azzeccato la carbonazione in entrambe le versioni, il che rendeva impossibile riconoscerle al palato in base alla sola frizzantezza. A ogni modo ho preferito prima fare un test solo annusando a occhi chiusi, in modo da non avere nessun altro parametro per identificare le birre oltre al mio naso.

Sebbene al naso le birre mi sono sembrate molto simili, in tutti e due i test alla cieca sono riuscito a individuare le due birre uguali senza grandi esitazioni. Sebbene la base aromatica fosse simile, la versione in fustino al naso mi è sembrata più “cristallina”, con una venatura di caramello delicata ma ben definita che ricordava lo zucchero caramellato. Nella versione in bottiglia questa nota era meno evidente, più amalgamata con il resto.

A destra la versione in bottiglia, a sinistra quella in fusto.

Riguardando le foto, che accentuano sempre moltissimo le differenze cromatiche, mi sembra anche di notare un colore leggermente più brillante nella versione in fusto (bicchiere a sinistra). Dal vivo non ho notato davvero nulla, pur avendo osservato a lungo i due bicchieri.

Al palato ho ritrovato la stessa identica sensazione rilevata al naso: profilo organolettico molto simile, nessun difetto in entrambe, ma di nuovo la versione infustata mi è sembrata più “brillante”, con un profilo maltato più pulito e scandito da diverse sfumature retrolfattive tutte ben definite. La versione in bottiglia, seppure buona e molto simile all’altra, l’ho trovata leggermente più “muta”, con un’espressione maltata meno netta. Anche senza annusare prima i bicchieri, nei test alla cieca ho sempre distinto le due versioni.

CONCLUSIONI

Come sempre, ci tengo a sottolineare che non si possono trarre conclusioni definitive da una singola prova. Quello che posso dire con un buon livello di confidenza è che le due birre sono distinguibili alla cieca, sebbene molto simili ed entrambe buone. Diciamo che non direi mai a qualcuno “non si può fare una Altbier rifermentata, altrimenti non è una vera Altbier!”, ecco. Se avessi prodotto solamente la versione in bottiglia sarei stato comunque molto soddisfatto del risultato, perché la differenza è davvero molto sottile. Però c’è, inutile negarlo.

Se sia dovuta al lievito da rifermentazione, alla rifermentazione in sè o a leggera ossidazione, è davvero difficile dirlo. Da un lato si sa che i lieviti lager sono famosi per la loro abilità nel giocare nelle retrovie lasciando spazio agli altri ingredienti, come mi sembra sia avvenuto nel caso della birra infustata: l’espressione maltata è molto elegante e “crisp”, come direbbero gli inglesi, caratteristica che può fare la differenza in una birra del genere. Ma non è detto che l’altra birra, quella in bottiglia, sia stata “intaccata” dalla rifermentazione. Magari è solo leggermente ossidata, o forse no. Avrei dovuto imbottigliare qualche bottiglia senza lievito da rifermentazione, dirà qualcuno, per avere un terzo campione. Vero, ma poi ci sarebbero volute ore a fare tutti i vari test a triangolo, e l’esperimento sarebbe diventato meno divertente. Magari sarà per la prossima volta.

Una conclusione però mi sento di scriverla: anche la Altbier rifermentata è buona, sebbene non perfetta. La rifermentazione non è il male assoluto, anche in quegli stili che ne possono risentire di più. Se volete fare una Altibier con lievito a bassa rifermentata, fatela pure.

 

8 COMMENTS

  1. Solo per segnalare un piccolo refuso: paragrafo dopo la foto delle birre in frigo, verso la fine
    “quella birra non avrei dovuto nemmeno [penso manchi un ‘chiamarla’] Pilsner,”

  2. Bell’esperimento. Solo una domanda: per la rifermentazione usi il T-58, altri secchi, oppure, come alcuni fanno, il lievito da spumante?

    • In questo caso CBC della Lallemand. O F2. Sulla Tripel stavolta proverò T58, perchè mi pare che l’F2 mi a abbia tolto un pò di aroma la volta scorsa. Mi pare, ma non sono sicuro.

  3. Piccolo refuso: verso la fine del capoverso “la versione in bottiglia, rifermentata con aggiunta di soluzione di destrosio e lievito CBC”, c’è un “crica 24°C” invece che “circa”
    Per il resto grazie, come sempre, per questi articoli interessanti.

  4. Ciao Frank, grazie per questo esperimento molto interessante.
    Volevo chiederti se hai mai provato a fare primimg utilizzando una percentuale del mosto di partenza. Secondo te potrebbe risolvere il problema del “fuori stile” per birre delicate in bassa fermentazione??

    • Non ho mai provato e secondo me non ha nessun senso. Il problema per le basse fermentazioni non è il fatto che il lievito fermenti zuccheri semplici, ma semplicemente che fermenta in bottiglia. L’aggiunta di zucchero semplice inoltre fa sì che non rimanga alcun residuo zuccherino ulteriore in bottiglia, essendo lo zucchero 100% fermentabile. Questo semplifica i calcoli per il priming e riduce l’impatto organolettico sulla birra.

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