Credo che questa sia la prima volta che scrivo di una mia birra a distanza di quasi un anno e mezzo dall’imbottigliamento. L’idea iniziale era di assaggiare questo Barley Wine diverse volte (cosa che ho fatto) aggiornando le note di degustazione strada facendo (cosa che invece non ho fatto). Gli assaggi ci sono stati, ma ho trovato la voglia e il tempo di raccontare nel dettaglio questa birra solo ora, dopo aver stappato e assaggiato le due ultime bottiglie: versione “plain” e versione con aggiunta di pezzi di botte ex whisky. La versione senza legno è stata imbottigliata l’ultimo weekend prima del lockdown generalizzato che si abbatté sull’Italia nel Marzo 2020. Quindi quasi un anno e mezzo fa.
Credo tuttavia possa essere utile far uscire ricetta e degustazione a fine Agosto, visto che questo tipo di birre richiede diversi mesi di maturazione. Per evitare di maturare un Barley Wine al caldo estivo, almeno per i primi mesi, è bene produrlo intorno a settembre, in modo da avere tempo per lasciar evolvere questa birra a temperature ragionevoli senza occupare un intero frigorifero per mesi.
Etichette stampate in casa in bianco a nero stavolta, non potendo uscire a causa del lockdown.
Per questa birra ho scelto un nome che mi ricorda uno dei bellissimi momenti vissuti durante il festival di FyneFest in Scozia, che fino al 2020 si era tenuto tutti gli anni a giugno presso il birrificio scozzese Fyne Ales. Ho avuto la fortuna di partecipare alle ultime tre edizioni prima della pandemia, quelle del 2017, 2018 e 2019. Durante l’ultima edizione, sul pulmino che ci riportava dal festival all’albergo, incontrammo, tra gli altri, una coppia di signori di una certa età. Quel pulmino, che prendiamo ogni anno per tornare in albergo dopo una giornata di bagordi, è un fantastico mondo a parte: una monovolume da 6-7 posti, occupati da persone allegre dopo una giornata di relax e bevute in mezzo al prato, lungo il fiume, in quel posto meraviglioso che è il Loch Fyne. Canti, risate, sguardi che ogni tanto si perdono fissando il paesaggio notturno mentre il pulmino sfreccia tra le colline scozzesi. Arrivati allo spiazzo davanti all’albergo, la coppia scese dal pulmino, braccio a braccio. Dopo pochi passi il signore, ondeggiando palesemente sul marciapiede bagnato dalla pioggia, esclamò in direzione della signora: “Wow! I’m remarkably sober” – e subito dopo aggiunse, cercando di mantenere un ormai precario equilibrio – “…considering the situation“. Poi si allontanarono, sempre sottobraccio. Barcollavamo anche noi, ma la situazione e quell’esclamazione così circostanziata ci fece tanto ridere. È diventato ormai il nostro motto per le serate di intense bevute.
RICETTA
Devo ammettere che a distanza di un anno e mezzo faccio fatica a ricordare i razionali che mi portarono alla definizione della ricetta di questo Barley Wine. Quel che ricordo è che sono partito dall’esperienza precedente, la mia prima con questo stile. La birra si chiamava Grainfather Jack: nel post dedicato trovate una piccola introduzione sullo stile, la ricetta e le note di degustazione. Non fu una birra memorabile, sebbene tutto sommato piacevole, quindi l’intento era quello di migliorarla.
Gli ingredienti da inserire in una ricetta per un Barley Wine possono essere molteplici, le combinazioni potenzialmente infinite. Come sempre cerco di partire da una base semplice, per farmi un’idea sull’effetto che i pochi ingredienti hanno sul risultato finale. Purtroppo questo stile allunga notevolmente i tempi di reazione tra causa ed effetto, richiedendo mediamente lunghe maturazioni. Impiegherò anni a perfezionare la ricetta, ma non demordo.
Dalla ricetta precedente ho preso l’idea di utilizzare due lieviti in fermentazione: uno inglese, più caratterizzante, l’altro neutro, più attenuante. È un approccio che mi sembra ottimale: si riesce a dare un po’ di carattere fruttato alla birra con lieviti anglosassoni, in genere non particolarmente attenuanti, raggiungendo allo stesso tempo una buona attenuazione grazie al contributo del lievito neutro. L’inoculo combinato funziona bene con i lieviti secchi perché il conteggio delle cellule vive è più preciso (in genere circa 100 miliardi per busta). In questo caso ho usato il Liberty Bell della Mangrove Jack’s, che dovrebbe avere un profilo abbastanza fruttato, combinato con il BRY-97 della Lallemand, che garantisce una buon attenuazione e soprattutto è resistente alle alte gradazioni alcoliche. Due buste del primo e una del secondo (non ricordo bene perché, ma probabilmente quelle avevo in casa). In realtà non sono nemmeno sicuro che il Liberty Bell sia di origine inglese, ma dalla descrizione sembrerebbe comunque avere un buon profilo fruttato.
Ho mantenuto la ricetta molto semplice, puntando su una cultivar particolare come base (Halcyon) che non avevo mai provato prima, e limitando molto il contributo dei malti speciali. Con il mio piccolo impianto non riesco ad ottenere grandi efficienze sulle alte OG, quindi mi sono fatto aiutare da un po’ di estratto di malto liquido aggiunto a fine bollitura.
Questa volta ho esteso la bollitura a 2 ore, per favorire la reazione di Maillard ed esaltare la base maltata. Questa della bollitura prolungata è una pratica che sto seguendo per birre con forte carattere maltato: sembra dare una buona profondità alla birra con un minimo sforzo. Alla fine è sufficiente usare un po’ di acqua in più (utile anche per ottimizzare lo sparge) e lasciar andare la bollitura per altri 60 minuti, magari mentre si finisce di pulire l’attrezzatura.
Pensandoci meglio avrei potuto aggiungere l’estratto di malto a inizio bollitura per favorire ulteriormente la reazione di Maillard su un mosto più denso. Ma ormai è andata.
Luppolo solo in amaro. Ho ridotto gli IBU rispetto alla precedente versione del Barley Wine, che è venuta troppo amara. Ho notato che l’amaro si riduce molto poco nel corso di uno-due anni di maturazione, quindi ho preferito non esagerare. Profilo dell’acqua ovviamente sbilanciato sui cloruri, per esaltare la base maltata.
FERMENTAZIONE
L’aspetto maggiormente critico di tutte le birre ad alta OG è ottenere una buona attenuazione (non necessaria altissima), ma soprattutto evitare di imbottigliare prima che la fermentazione sia finita.
Capita spesso che l’alta gradazione “stordisca” il lievito prima della fine della fermentazione, rallentandone notevolmente l’attività metabolica. Gli ultimi punti di densità vengono consumati molto lentamente, con fatica. Se si imbottiglia troppo presto, durante la rifermentazione il lievito riparte consumando anche i punti di densità residui della fermentazione, sovracarbonando la birra. Un Barley Wine sovracarbonato diventa imbevibile, quindi occorre procedere con cautela.
Per questa ragione in genere travaso dopo una quindicina di giorni di fermentazione a temperatura controllata, per lasciare poi il fermentatore a temperature ambiente (ovviamente non in estate) per un periodo di tempo indefinito. Almeno un mese, ma a volte anche di più. In questo caso, visto che la densità è rimasta stabile e l’attenuazione era in linea con le aspettative (75%), ho abbattuto la temperatura e imbottigliato dopo circa un mese dall’inizio della fermentazione.
Al momento dell’imbottigliamento ho trasferito 5 litri in un secondo fermentatore in cui avevo posizionato pezzi di botte ex whisky acquistati da The Malt Miller. Ho usato 100 grammi di legno per 5 litri di birra, con tempo di contatto di circa un mese (non ricordo perfettamente). Ho passato i pezzi di legno sul vapore di acqua bollente per 15 minuti, poi li ho inseriti in una hop bag sanitizzata con un paio di controdadi inox per farle affondare nella birra.
Per entrambe le versioni ho fatto priming in bottiglia puntando a una carbonazione di 1,8 volumi. Le bottiglie hanno maturato a temperatura ambiente che piano piano è aumentata con l’arrivo dell’estate. A Giugno in casa avevamo quasi 30°C, ma almeno i primi mesi di maturazione sono passati a temperatura più umane. A metà Luglio ho liberato il frigo e ho tenuto le bottiglie a 18°C fino a settembre, per poi rimetterle sugli scaffali dello sgabuzzino e iniziare gli assaggi.
ASSAGGIO (versione senza legno)
Partiamo dalla versione senza aggiunta di legno. Come già anticipato, questo assaggio si riferisce all’ultima bottiglia di questo lotto, con ormai quasi un anno e mezzo di maturazione sulle spalle. La birra è andata migliorando nel tempo, seppure molto lentamente. Possibile che il picco di maturazione non fosse ancora arrivato al momento dell’ultimo assaggio.
ASPETTO Premetto che il piccolo campione che ho usato per l’assaggio (vedi foto in fondo al post) e il bicchiere che ho riempito successivamente si sono comportati in maniera piuttosto differente. Il campione, nel bicchiere snello e alto, era leggermente velato e con pochissima schiuma avorio, a bolle fini, con scarsissima persistenza. Con il bicchiere a tulipano pieno la birra si presentava invece più velata (probabilmente per via del maggiore spessore), con una bella schiuma avorio, molto pannosa e con una buona persistenza. Il colore, in entrambi i casi, è ambrato. Ottimo aspetto nel bicchiere a tulipano (tranne l’eccessiva velatura), meno bella nel bicchierino per l’assaggio.
AROMA Intensità molto buona. Arrivano subito al naso intense note di caramello, toffee, mou, accompagnate da un fruttato delicato che ricorda pesca, albicocca e a tratti arancia candita. Un piccolo sbuffo di alcol fa capolino tra le note fruttate, senza appesantire il profilo aromatico. Man mano che la birra si scalda emergono leggere note ossidative che ricordano un vino passito, con una intensità non eccessiva ma sufficiente a impreziosire l’aroma. Ho trovato le note di caramello, in particolare quelle che ricordano le caramelle mou, un po’ troppo prevalenti, ma nel complesso l’aroma è molto interessante, piuttosto complesso e soprattutto pulito.
AL PALATO L’ingresso in bocca delude un po’. Dal naso ci si aspetterebbe una ricca opulenza, ma il passaggio iniziale è piuttosto leggero per una birra di questa gradazione. Tornano prepotenti mou e caramello, ma la base maltata a supporto risulta esile. Da che ricordo, inizialmente questa birra si presentava con un corpo maggiore sebbene più spigolosa, probabilmente la maturazione l’ha resa più morbida ma ha snellito un filo troppo il corpo. L’amaro è ben bilanciato, si presenta puntuale prima che il caramello e la frutta secca (dattero, uvetta) rendano la bevuta stucchevole. Il finale è di media persistenza, con note di arancia candita e retrolfatto di nocciola. Ho notato anche una leggera sapidità, piuttosto piacevole.
MOUTHFEEL Corpo medio, forse un po’ leggero per un Barley Wine. Carbonazione perfetta, leggera e piacevole. L’alcol si percepisce ma non brucia.
IMPRESSIONI GENERALI Nel complesso, la birra non è male. Certo non è un Barley Wine da strapparsi i capelli, ma tutto sommato si presenta bene, soprattutto al naso. Non mi esalta l’eccessiva presenza del caramello, andrebbe bilanciato forse con qualche nota tostata in più. Alla fine, guardando la ricetta, non credo che queste venature dolci di mou siano da imputarsi all’unico malto crystal presente in ricetta, visto che è piuttosto tostato e in quantità molto ridotta. Forse la causa è da ricercare nella lunga bollitura combinata con l’Halcyon, oppure nell’utilizzo dell’estratto di malto. Molto probabilmente una combinazione delle due cose.
È del tutto plausibile anche un eccesso di ossidazione, vista la conservazione delle bottiglie non sempre a temperatura ottimale e il metodo di produzione e imbottigliamento, ancora con i classici fermentatori in plastica senza contropressione.
Non ho ancora chiaro come evolvere la ricetta, ma probabilmente aggiungerei qualche malto speciale in più, forse un tocco di Chocolate o una dose maggiore di Pale Chocolate, per bilanciare meglio le note dolci di caramello. Oppure si potrebbe tentare 100% malto base, sempre con bollitura di 2 ore.
ASSAGGIO (versione con legno)
La versione con i pezzi di legno ha portato diverse sorprese. In primo luogo ha impiegato molto più tempo per carbonare, e forse ha comunque carbonato meno alla fine. Il colore è leggermente più scuro, il che ci può stare: potrebbe derivare dal legno, in parte bruciato all’interno, e da una maggiore ossidazione, dovuta all’ulteriore travaso e al maggiore tempo di stazionamento nel fermentatore.
Anche la schiuma è diversa: minore persistenza e bolle mediamente più grandi. Purtroppo la birra è nettamente inferiore all’altra, sia al naso che al palato. Al naso l’intensità è decisamente minore: ritroviamo note simili alla versione senza legno ma di intensità inferiore, in parte sovrastate dalle note di alcol. Forse, ma proprio forse, si avverte una leggera nota di whisky. Al palato la situazione è anche peggiore: l’ingresso è dominato da note di bruciato che ricordano a tratti anche la plastica, lasciando poco spazio alla complessità rilevata nell’altra birra. Nel complesso non la ritengo una versione riuscita, per nulla. L’apporto del legno è modesto, a dire tanto.
Negli assaggi precedenti la ricordo leggermente più interessante, quantomeno bevibile. L’apporto del legno è stato sempre molto modesto nelle note interessanti (vaniglia, whisky) mentre la parte bruciata delle doghe ha preso il sopravvento. Forse i pezzi di legno andavano puliti meglio, probabilmente andavano bolliti come ho fatto altre volte con le scaglie di quercia. Devo dire che nei miei – pochi – esperimenti con scaglie e pezzi di legno, il risultato non è stato mai soddisfacente. Magari prima o poi proverò con una piccola botte, chissà.